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La visita del presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky a papa Francesco, nel pomeriggio del 13 maggio, segna, anche visivamente, tutta la difficoltà, tutta la distanza politica (e non solo) fra l’Ucraina e la Sede apostolica.
Dieci anni di pontificato rappresentano un appuntamento periodizzante sia sul piano personale sia su quello ecclesiale. E lo sono certamente anche nel caso del pontificato di papa Francesco. Dieci anni caratterizzati, come non accadeva da secoli, dalla convivenza con un «papa emerito», Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, dimessosi dopo otto anni di pontificato, di fronte a una crisi d’autorità che non riusciva a governare, di cui gli scandali sono stati l’epifenomeno, e che hanno come raffigurato questo tempo della Chiesa come quello della crisi.
A un anno dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina è necessario fissare i caratteri salienti di questa guerra. «Tra le cose che [essa] ha riproposto ci sono l’intensità e la distruttività di uno scontro che gli esperti definiscono peer-peer o peer-near peer (tra eserciti alla pari o quasi)», ovvero «un conflitto che porta due nazioni a impiegare tutte loro stesse l’una contro l’altra», scrive Lorenzo Nannetti introducendo una documentata analisi della situazione militare. «È di per sé una guerra mondiale, la terza dopo il 1914, ed è una guerra che Putin ha dichiarato all’Occidente, segnatamente all’Europa», commenta Gianfranco Brunelli, che prosegue: «Si tratta di una guerra tra due opposti modelli d’organizzazione sociale e politica, che risponde a opposti valori di civiltà»: il modello dittatoriale e autocratico, che calpesta ogni libertà, e quello liberal-democratico, pur con tutte le contraddizioni che hanno le democrazie. Dal canto suo, «la giustificazione del patriarca russo ripete la narrazione che si trova anche nel discorso ufficiale» del governo russo: la guerra «è difensiva contro l’Occidente che cerca aggressivamente d’imporre i suoi valori e il suo stile di vita alla popolazione ortodossa dell’Europa orientale», osserva Thomas Bremer, traendone le gravi implicazioni sul versante dell’ecumenismo. Dunque, «in un senso o nell’altro le conseguenze di questa guerra hanno un esito globale. La questione è quale modello sociale e politico, quale modello di valori esce vincitore» (Brunelli).
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