La nuova evangelizzazione – tema saliente del pontificato di Giovanni Paolo II e rilanciato con convinzione da Benedetto XVI, attraverso anche l’istituzione di un apposito dicastero vaticano – non deve essere intesa semplicemente come un rinnovato annuncio che rimedia alla scristianizzazione, ma come una nuova forma di annuncio che si rivolge a una società caratterizzata da una marcata secolarizzazione. Il rapido mutamento antropologico verificatosi dagli anni Sessanta ha condotto alla perdita dei significati elementari del vivere da parte della cultura pubblica, lasciandone il compito alla coscienza privata. «Il rimedio all’impoverimento parallelo della cultura e della coscienza religiosa – sostiene il teologo Giuseppe Angelini – può venire soltanto da un rinnovato investimento di quella coscienza sul fronte delle relazioni sociali», possibile più nel modello della religious freedom americana che in quello della laicité francese. Attraverso la cura per l’uomo e la rottura della «censura che le forme della comunicazione pubblica delle società laiche occidentali esercitano nei confronti della coscienza sola, la Chiesa dispone lo spazio perché possa essere inteso il messaggio evangelico di Gesù e possa esserne apprezzata la verità».
Conviene oggi, secondo uno stile aperto e sereno, riprendere il dibattito
sulla recezione del concilio Vaticano II. Questo contributo intende aprire e proseguire una riflessione, non concluderla. Il Vaticano II ha affrontato
singole necessità di aggiornamento pratico, assai meno le complesse
questioni teoriche che tali necessità evocavano.
In un contesto multiculturale e plurireligioso come l’attuale, la «natura umana» è richiamata ultimamente nella Chiesa come quel minimo denominatore comune a tutti gli uomini a prescindere da ogni ulteriore qualificazione, depositario quindi di una «legge naturale» capace di funzionare da riferimento per stabilire ciò che è giusto e ciò che non lo è. È d’altra parte evidente dalla storia della filosofia, e dagli stessi sviluppi del pensiero tomista su cui l’assunto si basa, che la categoria di legge naturale com’è stata sinora pensata non è in grado oggi di rispondere alle numerose obiezioni rivoltele dal pensiero moderno, neanche nelle forme più recenti in cui si presenta, quali il giusnaturalismo laico e i diritti umani. La legge naturale non può essere intesa come il codice minimale di precetti negativi che mai potrebbero essere trasgrediti e che sono raccomandati dalla ragione per tutti gli uomini. Questo uso, in voga nella teologia cattolica nel quadro del contenzioso con lo stato e la cultura laica, rischia il processo di naturalizzazione della morale e non utilizza adeguatamente la lettura escatologica della stessa legge naturale.