Secondo i vescovi cattolici europei, alle prossime elezioni per il Parlamento europeo (6-9 giugno) sarà importante «votare per persone e partiti che chiaramente sostengano il progetto europeo e che riteniamo ragionevolmente vorranno promuovere i nostri valori e la nostra idea di Europa, come il rispetto e la promozione della dignità di ogni persona umana, la solidarietà, l’uguaglianza, la famiglia e la sacralità della vita, la democrazia, la libertà, la sussidiarietà, la salvaguardia della nostra “casa comune”». Il 13 marzo la commissione congiunta dei rappresentanti delle 25 conferenze episcopali, la Commissione delle conferenze episcopali dell’Unione Europea (COMECE), presieduta dal vescovo di Latina mons. Mariano Crociata, ha pubblicato la dichiarazione Per un voto responsabile che promuova i valori cristiani e il progetto europeo.
«Sappiamo che l’Unione Europea non è perfetta e che molte delle sue proposte politiche e legislative non sono in linea con i valori cristiani e con le aspettative di molti dei suoi cittadini, ma crediamo di essere chiamati a contribuire a essa e a migliorarla con gli strumenti che la democrazia offre». Tra le sfide del prossimo futuro identificate dai vescovi ci sono le guerre in Europa e nei paesi vicini, le migrazioni e l’asilo, il cambiamento climatico, la crescente digitalizzazione e l’uso dell’intelligenza artificiale, il nuovo ruolo dell’Europa nel mondo, l’allargamento dell’Unione Europea e la modifica dei trattati.
In vista delle elezioni europee che si terranno quest’anno tra il 6 e il 9 giugno, il 20 marzo la Commissione delle conferenze episcopali dell’Unione Europea (COMECE, vescovi cattolici), la Conferenza delle Chiese europee (KEK, vescovi ortodossi ed evangelici), l’Assemblea interparlamentare dell’ortodossia e il progetto Insieme per l’Europa (che coinvolge associazioni e movimenti cristiani) hanno inviato un messaggio alle istituzioni europee, ai candidati al Parlamento europeo e ai partiti politici intitolato Europa, sii te stessa! (www.comece.eu; nostra traduzione dall’inglese).
Il nuovo appuntamento sinodale del prossimo ottobre impegna la Chiesa universale in un cammino articolato, illustrato da due documenti della Segreteria generale del Sinodo presentati il 14 marzo presso la Sala stampa vaticana (cf. anche in questo numero a p. 203 e 213).
Il primo, qui proposto, s’intitola Come essere Chiesa sinodale in missione? Cinque prospettive da approfondire teologicamente in vista della seconda sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi. Esso annuncia sulle cinque prospettive descritte (il volto sinodale missionario delle Chiese locali; dei raggruppamenti di Chiese; della Chiesa universale; il metodo sinodale; il «luogo» della Chiesa sinodale in missione) il lavoro di cinque gruppi, che, assieme alla nuova consultazione nelle Chiese locali, e a quello che emergerà dall’incontro internazionale «I parroci per il Sinodo» che si terrà a Sacrofano (Roma) tra il 29 aprile e il 2 maggio, confluirà – arrivando rigorosamente entro il 15 maggio 2024 – nella base per la redazione del nuovo Instrumentum laboris.
Il secondo testo presentato dalla Segreteria generale del Sinodo il 14 marzo (per il primo cf. in questo numero a p. 196) s’intitola Gruppi di studio su questioni emerse nella prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi da approfondire in collaborazione con i dicasteri della curia romana.
Come annunciato in dicembre (cf. Regno-doc. 1,2024,17), papa Francesco ha deciso di sottrarre alla discussione dell’Assemblea sinodale di ottobre 2024 alcune «tematiche di grande rilevanza», che quindi sono state affidate a 10 gruppi di studio, ognuno dei quali dovrà elaborare un piano di lavoro e consegnare un breve report entro il 5 settembre 2024, in modo che possa essere presentato alla Seconda sessione dell’Assemblea sinodale.
I dieci gruppi, che dovranno terminare i loro lavori entro la fine del mese di giugno 2025, «per affrontare le diverse tematiche avranno cura di coinvolgere esperti e vescovi delle diverse parti del mondo, individuati in ragione delle loro competenze e avendo cura di rispettare la varietà di provenienze geografiche, ambiti disciplinari, genere e condizione ecclesiale necessaria per un approccio autenticamente sinodale; raccoglieranno e valorizzeranno i contributi già esistenti sulle tematiche loro assegnate».
Il 17 febbraio è stato pubblicato un Chirografo del santo padre Francesco sulla collaborazione tra i dicasteri della curia romana e la Segreteria generale del Sinodo, datato 16 febbraio (www.vatican.va).
Il 14 marzo è stata pubblicata la Lettera del santo padre all’em.mo cardinale Mario Grech, segretario generale della Segreteria generale del Sinodo, datata 22 febbraio, che indica la necessità di gruppi di studio per affrontare alcune «importanti questioni teologiche, tutte in varia misura connesse al rinnovamento sinodale della Chiesa e non prive di ripercussioni giuridiche e pastorali» (www.vatican.va).
Giovedì 14 marzo scorso la Segreteria generale del Sinodo dei vescovi ha presentato in conferenza stampa due nuovi documenti (in questo numero alle pp. 196 e 203), che, assieme a una lettera del papa al card. Mario Grech, segretario generale, sono un ulteriore passo verso la definizione dell’oggetto della II sessione della XVI Assemblea generale, che si terrà in ottobre.
La pace – da invocare, da costruire, da promuovere – è stata il Leitmotiv della sessione primaverile del Consiglio episcopale permanente, che si è svolta a Roma, dal 18 al 20 marzo, sotto la guida del cardinale presidente Matteo Zuppi. In apertura dei lavori i vescovi hanno ribadito la loro vicinanza e solidarietà a papa Francesco, sottolineando la necessità di un impegno per la pace a 360°, fatto di preghiera, formazione e gesti concreti.
«Camminando insieme, ci siamo riconosciuti come discepoli di Gesù Cristo che amano Dio e desiderano essere fedeli alla guida dello Spirito. Con gratitudine a Dio per la dignità e la chiamata che ognuno di noi ha ricevuto nelle acque del battesimo, proclamiamo volentieri che la nostra comunione in Cristo è fonte di gioia e di vita. Sebbene questa comunione non sia ancora piena, decenni di ricco dialogo teologico, alimentato dalla preghiera per e con gli altri, ci hanno portato a un punto in cui i legami che ci uniscono sono profondi e radicati. Eppure nelle nostre Chiese abbiamo appena iniziato a fare tutto ciò che è possibile fare insieme». I vescovi anglicani e cattolici che hanno partecipato al vertice ecumenico «Growing together» (Crescere insieme) dal 22 al 29 gennaio a Roma e a Canterbury (cf. Regno-doc. 3,2024,65ss) hanno diffuso il loro «appello» il 1° febbraio. Intitolato La nostra testimonianza, la nostra chiamata e il nostro impegno, il documento giunge dopo una settimana di incontri che ha visto vescovi cattolici e anglicani «a coppie» da 27 paesi di tutto il mondo riunirsi a Roma e a Canterbury per un pellegrinaggio e una discussione sulla missione e la testimonianza comuni. La loro riflessione ha toccato temi come la sinodalità (n. 7), il passato coloniale delle Chiese (n. 12), il cambiamento climatico (n. 14) e lo scandalo degli abusi (n. 15).
Testo del conferimento del mandato ai vescovi di IARCCUM durante la celebrazione dei Vespri nella solennità della Conversione di San Paolo.
Dopo aver affrontato il tema dell’ecclesiologia e quello della comunione, la «missione» della terza fase del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali (Chiese copta ortodossa, siro-ortodossa di Antiochia, apostolica armena, ortodossa sira malankarese, ortodossa tewahedo etiope e tewahedo eritrea) «era quella di determinare i punti di sostanziale accordo e di divergenza nelle rispettive concezioni dei sacramenti». Una missione che lo studio I sacramenti nella vita della Chiesa, rilasciato dalla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali il 27 gennaio 2023, ha portato a termine con successo. Dopo aver analizzato uno per uno i sette sacramenti quanto all’origine storica, alla prassi attuale nelle varie Chiese coinvolte in questo dialogo e agli aspetti da approfondire, il documento conclude che esiste «un ampio consenso tra le nostre Chiese, sia a livello teologico sia per quanto riguarda la prassi dei sacramenti, pur ferme restando alcune differenze teologiche che richiedono approfondimento, in particolare per quanto concerne i ministeri del battesimo e del matrimonio» (n. 49). È quindi giunto il momento «di analizzare le opportunità di una più stretta collaborazione pastorale, innanzitutto in ambito non sacramentale, ma anche in ambito sacramentale» (n. 50).
«La teoria della modernità come processo di sconfinamento pluriforme… getta nuova luce sulle ambivalenze della modernità, aprendo nuove prospettive per le relazioni tra culture diverse all’interno della società globale». Di fronte alle critiche che provengono da diverse parti all’Occidente e all’Europa, nati dalla modernità, il saggio di Hans Schelkshorn, docente del Dipartimento di filosofia cristiana dell’Università di Vienna (Austria), affronta il tema delle ambivalenze della modernità, proponendo di essa una nuova teoria.
A differenza delle teorie della modernità dell’Illuminismo (Habermas) e della loro critica sotto forma di teorie del potere (Foucault, filosofie postcoloniali), la modernità viene descritta come un processo complesso di vari «sconfinamenti», che viene messo in moto dalla filosofia rinascimentale e dalle scoperte geografiche e scientifiche. Con diversi esiti positivi, tra cui la possibilità di riconoscerne le straordinarie conquiste razionali, dalla rivoluzione astronomica fino al concetto di stato costituzionale basato sui diritti umani, al tempo stesso sollevando il problema di dover re-introdurre, nella sua idea caratteristica di crescita infinita, un’autolimitazione dell’azione umana per il bene del pianeta.
La stagione di riforme nella quale si è avviata la Chiesa cattolica ha riaperto la questione del dogma, che in realtà è «un dossier che ha più di un secolo». Se ne è occupato di recente, con una relazione dal titolo «L’attualità inattuale del dogma», il teologo Alberto Cozzi, docente di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e membro della Commissione teologica internazionale, nell’ambito di un convegno di studio sul tema «Consenso democratico e verità cristiana. Dire la fede in un contesto pluralistico», organizzato dalla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale il 20 febbraio scorso. Nell’attuale cultura postmoderna «il sospetto dominante… è che ci sia un irrigidimento dottrinale dell’autocomprensione della Chiesa, bloccata nel riaffermare una Tradizione che la imprigiona su posizioni superate, rendendola incapace di far fronte alle sfide del contesto postmoderno». Tuttavia la comunità cristiana non può prescindere da una regolazione linguistica della propria fede, e questa postura rispetto al dogma è ancora riferibile a un rapporto negativo con la modernità: «Se la Chiesa si riappropriasse delle decisioni recenti che l’hanno portata a una simile postura di fronte alla cultura moderna, valutandone adeguatamente la provvisorietà, sarebbe più libera nel rispondere alle sfide attuali, connesse allo spazio pubblico pluralista e democratico».