Con la lettera apostolica motu proprio Antiquum ministerium con la quale si istituisce il ministero di catechista, pubblicata l’11 maggio, papa Francesco prosegue nel ridisegno dei ministeri istituiti, cui aveva posto mano pochi mesi fa con il motu proprio Spiritus Domini sull’accesso delle donne al lettorato e all’accolitato (Regno-doc. 3,2021,65).
Con l’elevazione a ministero istituito, tale antico carisma – che affonda le sue radici nella Chiesa delle origini e ha svolto «una missione insostituibile nella trasmissione e nell’approfondimento della fede» – viene riconosciuto come «un servizio stabile reso alla Chiesa locale secondo le esigenze pastorali individuate dall’ordinario del luogo, ma svolto in maniera laicale come richiesto dalla natura stessa del ministero». «Non si dimentichi – ha aggiunto nella conferenza stampa di presentazione mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione – che in diverse regioni dove la presenza dei sacerdoti è nulla o rara, la figura del catechista è quella di chi presiede la comunità e la mantiene radicata nella fede».
Le conferenze episcopali sono ora incaricate di «rendere fattivo il ministero di catechista, stabilendo l’iter formativo necessario e i criteri normativi per potervi accedere, trovando le forme più coerenti per il servizio che costoro saranno chiamati a svolgere».
Il 4 novembre 2020 con il motu proprio Authenticum charismatis papa Francesco ha modificato il can. 479 del Codice di diritto canonico, stabilendo che i vescovi possono validamente autorizzare nuovi istituti di vita consacrata di diritto diocesano solo previa autorizzazione della Sede Apostolica (www.vatican.va; cf. Regno att. 6,2021,148).
Il 30 marzo 2021 è stato presentato presso la Sala stampa vaticana il documento Orientamenti pastorali sugli sfollati climatici, a cura della Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale.
Il testo evidenzia le nuove sfide poste dall’attuale scenario globale, presentando interpretazioni e concrete proposte pastorali. Si parte dal presupposto che ci troviamo nel bel mezzo di una vera e propria emergenza, su cui dobbiamo acquisire una maggiore consapevolezza. I concetti di «crisi climatica» e «sfollati climatici» sono da tempo oggetto d’interesse per la Chiesa cattolica, che con questa pubblicazione intende fornire le linee guida per la pianificazione pastorale e la programmazione di un’adeguata assistenza, sulla base della pluriennale esperienza operativa di numerose organizzazioni cattoliche che lavorano sul campo.
Il testo è stato accolto con favore, in quanto lo stato di emergenza peggiora rapidamente e, come sottolineato da papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, «stiamo per esaurire il tempo». Come si evidenzia (cf. anche l’infografica qui a p. 344), il numero degli sfollati per disastri naturali ha ampiamente superato quello degli sfollati a causa di conflitti.
Dopo l’elezione del cattolico liberal Joe Biden alla Casa Bianca nel novembre 2020, una delle prime iniziative da parte di un gruppo di vescovi della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (USCCB) è stata quella di trattare il problema della partecipazione alla comunione eucaristica da parte del presidente e della «confusione» che il ruolo di Biden avrebbe creato nei cattolici circa il vero insegnamento della Chiesa (cf. Regno-att. 6,2021,183), e formulare una linea di condotta (policy) nazionale sull’ammissione alla comunione di politici cattolici a favore delle leggi che permettono aborto, eutanasia o altri mali morali. Con una lettera datata 7 maggio al presidente della USCCB José Gomez, il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il card. Luis F. Ladaria, chiede ai vescovi di dare la priorità alla conservazione dell’unità tra loro nel discutere i temi riguardanti la vita. E nota che «sarebbe fuorviante» se una dichiarazione sull’indegnità di alcuni cattolici a ricevere la comunione «dovesse dare l’impressione che solo l’aborto e l’eutanasia costituiscono l’unico tema grave dell’insegnamento morale e sociale cattolico che domanda il massimo livello di responsabilità da parte dei cattolici».
L’«Assemblea generale ha votato la seguente mozione: “I vescovi italiani danno avvio, con questa Assemblea, al cammino sinodale secondo quanto indicato da papa Francesco e proposto in una prima bozza della Carta d’intenti presentata al santo padre. Al tempo stesso, affidano al Consiglio permanente il compito di costituire un gruppo di lavoro per armonizzarne temi, tempi di sviluppo e forme, tenendo conto della nota della Segreteria del Sinodo dei vescovi del 21 maggio 2021”». È forse il passaggio più emblematico di un’Assemblea che, dopo le distanze imposte dalla pandemia, si è ritrovata in presenza per prendere alcune importanti decisioni. Innanzitutto sulla questione del Sinodo, su cui i vescovi italiani erano stati ripetutamente richiamati dal papa; poi sui due nuovi vicepresidenti (eletti E. Castellucci e G. Baturi) e sulle presidenze delle 12 commissioni episcopali, nonché sulla nomina dei 4 membri del Consiglio per gli affari economici. Il Comunicato finale riferisce poi di altri temi in discussione come i tribunali ecclesiastici, la tutela dei minori e dell’approvazione di alcuni bilanci (consuntivo per il 2020 della CEI e dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero), nonché dell’approvazione della ripartizione e dell’assegnazione delle somme derivanti dall’8 per mille per il 2021 e di alcuni adempimenti statutari, tra i quali la nomina del presidente dell’Azione cattolica italiana, Giuseppe Notarstefano.
Sul disegno di legge Zan, recante «Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità» e citato nel Comunicato finale dell’Assemblea della CEI, la Presidenza dell’episcopato italiano si è sinora espressa con due Note, rispettivamente del 10 giugno 2020 e del 28 aprile 2021 (www.chiesacattolica.it).
Da un lato la presente situazione sociale del nostro paese, segnata, come quella del resto del mondo, da un modello di vita «inconsapevole dei limiti del pianeta» e nella quale ha fatto «irruzione» il COVID-19; dall’altra il magistero sociale di papa Francesco, sviluppato nelle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti e nell’esortazione apostolica Querida Amazonia. Sono i due poli sui quali è costruito l’Instrumentum laboris della 49a Settimana sociale dei cattolici italiani, firmato dal vescovo Filippo Santoro a nome del Comitato scientifico e organizzatore. L’assise, che rispetto alla data prevista è stata posticipata e si svolgerà a Taranto dal 21 al 24 ottobre prossimi, si muove nella prospettiva di «dare un contributo per sostenere e orientare la formazione di un nuovo modello di sviluppo capace di ridefinire il rapporto tra economia ed ecosistema, ambiente e lavoro, vita personale e organizzazione sociale». L’ampiezza dell’orizzonte nel quale prepararsi a quello che vuole essere un «cammino di popolo» è ben delineata dalle «Domande per il lavoro comune» poste al termine del documento, che spaziano dalla recezione della Laudato si’ al livello delle nostre comunità, al buon uso possibile delle tecnologie digitali, alle iniziative concrete per la «costruzione di un nuovo modello di sviluppo a sostenibilità integrale».
«La tenerezza è lo stile di Gesù che noi dobbiamo imitare e che, nello Spirito Santo, ci mette al tempo stesso in relazione con il Padre e con gli altri. Essa tocca la sete profonda di ogni persona di essere amata e di amare». Il 4 aprile 2021, giorno di Pasqua, mons. Nicolas Lhernould, giovane vescovo di Costantina e Annaba (Ippona) in Algeria, ha pubblicato la sua prima lettera pastorale, a poco più di un anno dal suo ingresso nel ministero. Intitolata Il nostro Dio è tenerezza, è divisa in quattro parti: «Apostoli della tenerezza», «Nell’intimità con Gesù», «Attraverso la nostra comunione reciproca» e infine «Verso la fraternità con tutti». La riflessione rielabora il magistero di papa Francesco sui temi dell’evangelizzazione, dell’incontro, dell’inculturazione e della fraternità e nello stesso tempo rispecchia l’esperienza di una piccola Chiesa locale immersa in un contesto culturale arabo a maggioranza musulmana.
«In noi, attorno a noi, nelle nostre comunità e nella nostra società, c’è una grande sete di tenerezza. Come famiglia chiamata a servire e a crescere, sforziamoci di placare questa sete: attraverso la preghiera e la vita interiore, la formazione, una vita di famiglia gioiosa… Attraverso la lingua, la cultura, l’ascolto, la meraviglia, l’ospitalità, l’incontro a tu per tu, la riflessione a più voci, l’impegno mano nella mano al servizio del Regno».
Al largo delle coste africane orientali, le isole Canarie sono diventate un’altra frontiera dell’immigrazione in Europa e un altro vicolo cieco per i migranti, come una nuova Lampedusa, e la pandemia ha reso la situazione ancora più difficile sia per loro sia per la popolazione dell’arcipelago spagnolo. Un’altra nuova rotta dell’immigrazione riguarda l’enclave spagnola di Ceuta e Melilla.
Per questo nelle ultime settimane si sono fatte sentire le voci delle Chiese spagnole. In aprile la diocesi di Tenerife ha emesso un comunicato congiunto del Tavolo diocesano delle migrazioni intitolato Chiamati a costruire ponti e non muri, al quale ha aderito il Dipartimento per le migrazioni della Conferenza episcopale spagnola, per denunciare la politica della detenzione dei migranti, che genera paura e insicurezza sia in loro, sia nella popolazione. E il 18 maggio i vescovi spagnoli, attraverso un Comunicato sulla situazione a Ceuta e Melilla del Dipartimento per le migrazioni, hanno criticato la gestione del problema migratorio nell’enclave da parte delle autorità spagnole e marocchine: facendo appello al valore supremo della vita e della dignità umana, il comunicato ricorda che «la disperazione e l’impoverimento di molte famiglie e minori non possono e non devono essere usati da nessuno stato per sfruttare le legittime aspirazioni di queste persone a fini politici».
«Ora più che mai l’Europa dev’essere il continente della coesione sociale e della prosperità. Ribadiamo il nostro impegno ad adoperarci per un’Europa sociale». Afferma questo la Dichiarazione di Porto sulle questioni sociali, adottata durante il Vertice sociale tra i leader dell’Unione Europea, che si è tenuto nella città portoghese il 7 e l’8 maggio ed è stato il culmine della presidenza portoghese del Consiglio dell’Unione Europea. L’appuntamento, a quattro anni dall’adozione del Pilastro europeo dei diritti sociali (2017), ha dato vita a una prima forma di coordinamento nel campo del lavoro e soprattutto dei diritti sociali, che potrebbe essere l’embrione di un mercato comune del lavoro, di fronte alla sfida della transizione ecologica e digitale avviata dal piano di ripresa Next Generation EU. Il Pilastro europeo dei diritti sociali esprime principi e diritti fondamentali per assicurare l’equità e il buon funzionamento dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale nell’Europa del 21º secolo, e ribadisce alcuni dei diritti già presenti nell’acquis dell’Unione.
Insieme all’impegno per ridurre le disuguaglianze, difendere salari equi, combattere l’esclusione sociale e la povertà, c’è anche il progetto di studiare «un insieme alternativo di indicatori per misurare i progressi economici, sociali e ambientali, che integri il PIL come misura del benessere per una crescita inclusiva e sostenibile».