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Documenti, 11/2014, 01/06/2014, pag. 369

Sull'accoglienza dei divorziati risposati. Una proposta formale

Basilio Petrà
«Come la Chiesa sulle orme pastorali di Paolo è andata incontro alla fragilità della condizione vedovile consentendo le nuove nozze, così potrebbe ammettere oggi (data la fragilità impressionante del matrimonio nelle nostre culture) a nuove nozze – in un contesto di irreversibile fallimento, di pentimento, di seria volontà coniugale nella nuova unione –, senza porsi la questione della compatibilità del vincolo precedente con la celebrazione di nuove nozze nella Chiesa, questione da lasciarsi del tutto alla sapienza di Dio come già nel caso dei matrimoni vedovili». Nell’ambito del confronto teologico e pastorale che si sta sviluppando nella Chiesa cattolica in vista dei due Sinodi sulla famiglia, quello straordinario del 2014 e quello ordinario del 2015, tra le varie problematiche emergenti c’è l’ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti. Pubblichiamo una proposta formale di Basilio Petrà, professore ordinario di teologia morale presso la Facoltà teologica dell’Italia centrale, che individua la possibilità di tale accoglienza nelle situazioni in cui ricorrano alcuni elementi oggettivi che permettono di parlare di «irreversibile fallimento» dell’unione coniugale.

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Riflessioni sul documento di dialogo firmato ad Alessandria

Basilio Petrà

Il documento pubblicato dalla Commissione internazionale mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa (nel suo insieme) al termine della sua XV Sessione plenaria, tenutasi ad Alessandria di Egitto dall’1 al 7 giugno 2023, ha preso il nome di Sinodalità e primato nel secondo millennio e oggi.

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Preti celibi e sposati nella Chiesa cattolica

Don Basilio Petrà al convegno del movimento Vocatio

Basilio Petrà

«Sono maturi i tempi teologici e in generale ecclesiali perché si passi al riconoscimento formale che il Signore chiama tanto uomini celibi quanto uomini sposati all’esercizio del ministero presbiterale in tutta la Chiesa cattolica». Si è tenuto a Roma dal 24 al 26 marzo il convegno di Vocatio, associazione che dal 1981 dà sostegno ai preti che hanno dovuto abbandonare il ministero essendosi sposati, e che chiede l’abolizione dall’obbligo del celibato per il ministero presbiterale. Don Basilio Petrà, teologo esperto di Chiese ortodosse e presidente dell’Associazione teologica italiana per lo studio della morale (ATISM), nella sua relazione dal titolo «Verso un presbiterato celibatario e uxorato in tutta la Chiesa cattolica» parte dal presupposto che la Chiesa cattolica è una realtà comunionale, frutto dell’unità di 22 Chiese sui iuris – tra cui quella latina –, che contemplano al loro interno clero sia celibe sia uxorato. Anche la Chiesa latina riconosce al suo interno forme particolari di sacerdozio uxorato, da cui consegue che tale stato di vita rappresenta una vocazione teologicamente fondata (anche se, ufficialmente, tollerata). «La Chiesa cattolica sa che Dio chiama tanto uomini celibi quanto uomini sposati al servizio ministeriale. Ogni chiamata ha la sua dignità e il suo modo di esprimere la dedizione piena al servizio della Chiesa».

Attualità, 2016-8

Amoris laetitia, un passo avanti nella Tradizione

Basilio Petrà
Amoris laetitia è un documento complesso che riafferma allo stesso tempo l’insegnamento della Chiesa e l’accoglienza dei percorsi individuali nel discernimento ecclesiale. La ricognizione (D. Sala) su come gli episcopati stanno recependo il testo ha messo in luce da un lato alcune voci critiche ma dall’altro un consenso ampio su un testo rappresentativo dell’intero lavoro sinodale. Più in specifico viene evidenziato da B. Petrà come, mettendosi nei panni dei confessori, sia comprensibile una certa forma di «sconcerto». Familiaris consortio, infatti, ha offerto «per anni un quadro di riferimento dotato d’autorità», nel quale il «confessore ha potuto continuare a essere più un applicatore della norma che un pastore e un padre personalmente coinvolto nel bene del penitente e nel suo cammino cristiano». Oggi, invece, con Amoris laetitia gli si chiede una «maggiore responsabilità personale nel valutare il bene del penitente e delle persone coinvolte dal suo agire, con cuore misericordioso e con intento terapeutico. Il suo ruolo è certamente assai più impegnativo. Bisogna però dire che diventa anche più significativo, più ricco e più ministerialmente pieno».