Questioni aperte. La via della misericordia - Speciale Francesco
La morte di papa Francesco, anche se in qualche modo entrata in un orizzonte più vicino nelle settimane successive al suo ultimo ricovero, è tuttavia avvenuta in un momento non atteso. Dopo una domenica di Pasqua vissuta con grande intensità, con la benedizione Urbi et orbi e un contatto vivo con i fedeli raccolti in piazza San Pietro, il Signore lo ha improvvisamente chiamato a sé all’alba del lunedì dell’Angelo. È morto così dopo avere condiviso con il suo popolo la fede pasquale, l’annuncio del Signore risorto, il dono della pace e aver chiesto al mondo intero di aprirsi alla pace di Cristo facendo tacere le armi.
La sua ultima giornata è stata fisicamente gravosa, senza alcun dubbio: ha forse avvicinato la sua morte. È stata tuttavia la manifestazione culminante e commovente del modo in cui papa Francesco ha sempre vissuto il suo ministero episcopale e petrino. Un ministero di servizio alla comunione fraterna e gioiosa degli uomini in Cristo, specialmente dei più dimenticati, dei più piccoli e dei più poveri.
La dimensione cosmica dell’amore fraterno
Per questo subito, fin dai primi mesi del suo pontificato, invitando la Chiesa «a una nuova tappa evangelizzatrice» (Evangelii gaudium, n. 1; EV 29/2104), egli ha richiamato «i cristiani di tutte le comunità del mondo» a offrire al mondo «una testimonianza di comunione fraterna» capace di diventare «attraente e luminosa» (ivi, n. 99; EV 32/2205).
Lo ha fatto con parole intense e concrete, secondo il suo stile: «Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). È quello che ha chiesto con intensa preghiera Gesù al Padre: “Siano una sola cosa… in noi… perché il mondo creda” (Gv 17,21)» (ivi).
L’annuncio cristiano, infatti, si fa innanzitutto con la testimonianza dell’amore fraterno che unisce i discepoli: «Se vedono la testimonianza di comunità autenticamente fraterne e riconciliate, questa è sempre una luce che attrae. Perciò mi fa tanto male riscontrare come in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate, si dia spazio a diverse forme di odio, divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che sembrano una implacabile caccia alle streghe. Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti? Chiediamo al Signore che ci faccia comprendere la legge dell’amore. Che buona cosa è avere questa legge! Quanto ci fa bene amarci gli uni gli altri al di là di tutto! Sì, al di là di tutto! (...) Non lasciamoci rubare l’ideale dell’amore fraterno!» (Ivi, nn. 100-101; EV 29/2206s).
La parola dell’annuncio prende concreto corpo nella relazione fraterna vissuta nella/dalla comunità dei discepoli, una relazione aperta a tutti gli uomini e a tutte le creature.
Papa Francesco ha ribadito questo con grande chiarezza anche in importanti documenti successivi all’Evangelii gaudium.
Nell’enciclica Laudato si’ del 2015, sulle orme del «poverello di Assisi», richiama la dimensione cosmica dell’ideale cristiano dell’amore, scrivendo parole di grande bellezza: «Quando il cuore è veramente aperto a una comunione universale, niente e nessuno è escluso da tale fraternità. Di conseguenza, è vero anche che l’indifferenza o la crudeltà verso le altre creature di questo mondo finiscono sempre per trasferirsi in qualche modo al trattamento che riserviamo agli altri esseri umani. Il cuore è uno solo e la stessa miseria che porta a maltrattare un animale non tarda a manifestarsi nella relazione con le altre persone. Ogni maltrattamento verso qualsiasi creatura “è contrario alla dignità umana” (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2418). Non possiamo considerarci persone che amano veramente se escludiamo dai nostri interessi una parte della realtà: “Pace, giustizia e salvaguardia del creato sono tre questioni del tutto connesse, che non si potranno separare in modo da essere trattate singolarmente, a pena di ricadere nuovamente nel riduzionismo” (Conferenza dell’episcopato dominicano, Sobre la relación de l’hombre con la naturaleza, 21.1.1987). Tutto è in relazione, e tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra» (Laudato si’, n. 92; EV 31/672).
Nell’enciclica Fratelli tutti del 2020, poi, sottolineerà con forza che l’ideale cristiano dell’amore fraterno si estende a tutti gli uomini, specialmente i più deboli e i più poveri: «Chiamata a incarnarsi in ogni situazione e presente attraverso i secoli in ogni luogo della terra – questo significa “cattolica” –, la Chiesa può comprendere, a partire dalla propria esperienza di grazia e di peccato, la bellezza dell’invito all’amore universale. Infatti, “tutto ciò ch’è umano ci riguarda. (…) Dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire i diritti e i doveri dell’uomo, noi siamo onorati, quando ce lo consentono, di assiderci fra loro” (Paolo VI, Ecclesiam suam, n. 101). Per molti cristiani, questo cammino di fraternità ha anche una madre, di nome Maria. Ella ha ricevuto sotto la croce questa maternità universale (cf. Gv 19,26) e la sua attenzione è rivolta non solo a Gesù ma anche al “resto della sua discendenza” (Ap 12,17). Con la potenza del Risorto, vuole partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato delle nostre società, dove risplendano la giustizia e la pace» (Fratelli tutti, n. 278; Regno-doc. 17,2020,573).
La Chiesa è sempre apparsa a papa Francesco come una comunione di amore fraterno protesa alla realizzazione della comunione fraterna con tutti gli uomini e con tutte le creature. Una comunione irrorata dall’acqua della vita, dall’amore fatto carne ed effuso in Cristo Signore, dall’agape misericordiosa del Padre, del Figlio e dello Spirito.
Misericordia è il nome dell’amore
Questa comunione fraterna, infatti, scaturisce come dono dall’alto ed è frutto di un amore «viscerale», lo stesso amore viscerale di Dio. Papa Francesco usa questo termine a ragion veduta, perché l’amore che il cristiano è chiamato a vivere è lo stesso amore di Dio, un amore concreto, reale, previo, interiore, «viscerale» appunto. Nella bolla d’indizione del giubileo straordinario della misericordia, Misericordiae vultus (2015), questo amore previo, che prende il cuore, è la misericordia, l’amore stesso che Dio ha per l’uomo. «Insomma, la misericordia di Dio non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fin dal profondo delle viscere per il proprio figlio. È veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”. Proviene dall’intimo come un sentimento profondo, naturale, fatto di tenerezza e di compassione, di indulgenza e di perdono» (n. 6; EV 31/445).
Misericordia è a ben vedere il nome intimo di ogni vero amore, ne è la forma originaria perché include la tenerezza del cuore, la capacità di soffrire con la persona amata (compassione), la comprensione sofferta e perdonante della sua debolezza e della sua fragilità, dei suoi limiti e delle sue presunzioni. È l’amore dei genitori, è l’amore promesso, l’amore previo, l’amore divino manifestato in Cristo, è l’amore che suscita la comunione e la condivisione dei pesi dell’esistenza.
La misericordia è l’amore che lo Spirito del Signore effonde nella Chiesa e che la Chiesa è chiamata a vivere nei confronti di ogni creatura, in particolare nei confronti dell’uomo ferito e peccatore, di chi è violato nella propria umanità, di chi fallisce nella propria umanità generando il male. È l’amore che accoglie, perdona, include, integra specialmente coloro che portano le ferite dell’esistenza e che cercano in qualche modo guarigione, aiuto, accoglienza. L’amore del quale molto ci ha parlato papa Francesco: in modo particolare lo ha fatto nell’esortazione apostolica Amoris laetitia (2016), documento controverso ma tutto proteso a non ferire ulteriormente i feriti della vita e ad aprire l’abbraccio paterno/materno della Chiesa a chi lo cerca con sincerità di cuore.
Il filo conduttore dell’etica bergogliana
La misericordia, ha scritto non casualmente J.C. Scannone, è «il filo conduttore, così genuinamente evangelico e tipicamente bergogliano» della sua etica sociale, e aggiungeva: «Direi che partendo da questo punto sembra facile poter raccogliere molte delle sue modalità di affrontare gli argomenti, le idee, gli scritti, gli atteggiamenti e i gesti chiave che caratterizzano il suo pontificato. In particolar modo, la sua pastorale e la sua teologia sociale che il popolo di Dio del XXI secolo ha saputo ricevere e valorizzare».1
Come sappiamo, è proprio il modo nel quale papa Francesco ha prospettato la via pastorale della misericordia, che ha generato turbamento e reazioni nella Chiesa, nel clero e in non pochi fedeli.
Questo turbamento ha cominciato a emergere presto, a dire il vero. Pochi mesi dopo l’elezione, nel luglio del 2013, papa Francesco andò alla XXVIII Giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro e nel volo di ritorno per più di un’ora ebbe un colloquio a ruota libera con la stampa. Fecero subito il giro del mondo le parole da lui pronunciate: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?». Nella stessa intervista parlava così dell’assoluzione nel sacramento della penitenza: «Ma se una persona, laica prete o suora, commette un peccato e poi si converte, il Signore perdona. E quando il Signore perdona, il Signore dimentica. E questo per la nostra vita è importante: quando noi andiamo a confessarci e diciamo “ho peccato in questo”. Il Signore dimentica. E noi non abbiamo diritto di non dimenticare».
Era solo l’inizio. In particolare queste prime e occasionali parole sul sacramento della penitenza e sul suo senso sono state ripetute e rafforzate in varia forma da papa Francesco, sempre attento a sottolineare la necessità di accogliere il movimento di pentimento/conversione della persona – per quanto limitato dalle condizioni reali della sua vita – perdonando sempre, perdonando tutto, perdonando tutti. Il suo richiamo ai confessori è stato continuo ed esplicito, ovunque ne abbia parlato, nelle diocesi che ha visitato, negli incontri di inizio Quaresima con il clero romano, nelle udienze di curia... La Chiesa, diceva, non deve mai dimenticare di essere un vero «ospedale da campo», chiamata a prendersi cura dell’uomo e delle sue ferite in luoghi e tempi di emergenza, di lotta e di combattimento, sul campo di battaglia dell’esistenza.
Per papa Francesco è sempre stato chiaro che il cuore della prassi pastorale sta nell’edificazione di una comunità «misericordiata», una comunità nella quale ognuno sperimenti la misericordia del Padre e possa sentirsi accolto, amato, riscattato.
«Tutti, tutti, tutti»
Per questo essa è per definizione una prassi essenzialmente inclusiva, tesa a integrare tutti («todos, todos, todos»). Celebri sono diventate le parole con le quali papa Francesco inizia il n. 297 dell’Amoris laetitia: «Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia “immeritata, incondizionata e gratuita”. Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino».
Quello che papa Francesco ritiene incompatibile con l’attitudine pastorale della Chiesa è il rifiuto, l’esclusione, la condanna nei confronti dei fedeli in situazioni impropriamente dette «irregolari». La pastoralità della Chiesa si prende cura di tutto il gregge affidatole dal Signore, particolarmente delle pecore ferite, realizzando tutte le forme possibili di comunione e cercando di crescere con esse e in esse.
Questa visione accogliente e abbracciante della Chiesa ha portato ad alcune indicazioni pastorali che hanno suscitato reazioni e polemiche, anche violente.
La più violenta reazione è stata senza dubbio quella suscitata dalla già ricordata Amoris laetitia del marzo 2016 che apparve a molti, tra i quali alcuni autorevoli teologi e cardinali, una sorta di rovesciamento dell’esortazione apostolica Familiaris consortio di Giovanni Paolo II (1981). In realtà papa Francesco non negava quest’ultima, ma faceva un misericordioso passo avanti nell’approccio pastorale alle convivenze, ai matrimoni civili e ai divorziati risposati.
Forse meno violenta ma ugualmente intensa è stata la polemica suscitata dalla dichiarazione Fiducia supplicans, documento pubblicato dal Dicastero per la dottrina della fede nel dicembre 2023 e approvato da papa Francesco, ove si affronta la questione della liceità della benedizione non liturgica di coppie «irregolari», anche omosessuali.
Polemiche sofferte e ancora non del tutto sopite nella Chiesa. Polemiche in parte inevitabili, giacché all’origine di esse vi è la non accoglienza da parte di molti di uno dei quattro principi esposti nella Evangelii gaudium, principi che di fatto hanno costantemente guidato papa Francesco nella sua azione magisteriale e pastorale.3
Se la realtà è superiore all’idea
È il principio della superiorità della realtà sull’idea, formulato nell’Evangelii gaudium con queste parole: «Esiste anche una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà. È pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma. Da qui si desume che occorre postulare un terzo principio: la realtà è superiore all’idea. Questo implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza» (n. 231; EV 29/2337).
La formulazione offerta da Francesco è linguisticamente ricca, anche se non immediatamente afferrabile in tutti i suoi significati. Quello che appare chiaro è che seguire interpretazioni o normazioni della realtà che la negano o la ignorano significa perdere la saggezza.
Ciò può spiegare perché papa Francesco ha maturato un atteggiamento pastorale nuovo e accogliente nei confronti delle persone omosessuali, così come nei confronti delle unioni «irrregolari». Ancora di più può spiegare perché nella Chiesa alcune sue posizioni pastorali hanno suscitato contestazioni e accuse.
Il rilievo primario attribuito alla realtà piuttosto che all’idea non può non entrare in collisione con una prospettiva nella quale l’idea ha un primato di principio sulla realtà e la «vera» realtà è decretata dall’idea, al punto che ciò che non corrisponde all’idea è interpretato come un’imperfezione variamente spiegabile ma in ogni caso non corrispondente alla verità (anche etica). Il presupposto, per altro non privo di fondamento, è che si dia un originario ordinamento razionale dell’esistente e dell’umanità: la ragione in tal senso precede la realtà e la struttura. Nella prospettiva della fede, con altro linguaggio, si direbbe che c’è una verità della realtà, quella corrispondente al progetto creativo di Dio e rivelato a noi nella Scrittura e nella connessa interpretazione autorevole, concettualmente consolidatasi nel tempo.
Il linguaggio usato qui da papa Francesco, molto suggestivo, può apparire poco «realistico», nonostante le sue intenzioni. La successione degli «ismi» specialmente oggi suscita una forte impressione di astrattezza. Tuttavia, se andiamo oltre l’immediata veste linguistica, tale impressione si scioglie rapidamente. Se ad esempio proviamo ad applicare questo principio all’orientamento omosessuale e ci chiediamo se l’orientamento omosessuale sia un dato originario della realtà o sia una tendenza disordinata (che orienta al male), segno della caduta originale, allora ci rendiamo conto che il principio diventa estremamente significativo e serio. Una conclusione analoga non possiamo non trarla se applichiamo il principio guardando all’unione affettiva/sponsale di due persone e ci chiediamo: è la realtà concreta di tale unione a costituire antropologicamente la loro condizione coniugale, oppure la corrispondenza di essa al modello storico di unione giuridicamente e/o teologicamente fissato?
Papa Francesco ha in qualche modo formulato questo principio del primato della realtà sull’idea e ha cercato di operare alla luce di tale principio, adottando o indicando soluzioni pastorali più accoglienti e aperte. Tuttavia non è riuscito a convincere tutti della bontà di questo approccio pastorale, come mostrano in vario modo le reazioni ricordate sopra a vari documenti.
Il modo nel quale si svilupperà l’approccio pastorale della Chiesa nel futuro non è in questo momento del tutto prevedibile.
È convinzione di chi scrive tuttavia che questo principio del primato della realtà sull’idea non soltanto non debba andare perduto, ma debba essere coltivato con grande attenzione e intelligenza, perché solo nel rispetto di esso diventa possibile realizzare la ricca e accogliente bellezza della comunione di tutti i viventi.
Il primato della realtà sull’idea, nel senso ricordato sopra, va anche coltivato per un altro motivo, sempre più emergente negli ultimi tempi, mi pare. Se nel passato la manipolazione ideologica della realtà era la forma dominante dell’idea sulla realtà, oggi la manipolazione tende a configurarsi come costruzione di mondi immaginari o varianti immaginarie del mondo reale, sulla base di strumentazioni tecnologiche attivate dalla libertà, ultimamente mossa dalle passioni soggettive.
Valorizzare il principio di realtà nella nostra riflessione etica e nella prassi pastorale, sulle orme dell’apostolo Paolo3 e di papa Francesco, sarebbe indubbiamente un atto di saggezza.
Basilio Petrà
1 J.C. Scannone, Il vangelo della misericordia nello spirito di discernimento. L’etica sociale di papa Francesco, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2017, 11.
2 A partire dal n. 221 di Evangelii gaudium, papa Francesco ricorda i «quattro principi» ai quali conformarsi per avanzare nella costruzione di un popolo in pace, giustizia, fraternità: il tempo è superiore allo spazio; l’unità prevale sul conflitto; la realtà è più importante dell’idea; il tutto è superiore alla parte.
3 Cf. «L’apostolo Paolo e la genealogia pastorale dell’etica sessuale cattolica. Un modello per il terzo millennio?», nel mio Una futura morale sessuale cattolica. In/fedeltà all’apostolo Paolo, Nuova edizione ampliata, Cittadella Editrice, Assisi 2025, 140-148.