Stati Uniti - Europa: una pace inversa
La visione trumpiana e la crisi europea
L'affarismo e il predominio tecnologico commerciale. Il primato dell’uso della forza. La politica come pura espressione della volontà di potenza e di dominio, contro il diritto internazionale e l’autodeterminazione democratica delle nazioni. La pax americana imposta con ogni mezzo.
L’affarismo e il predominio tecnologico commerciale. Il primato dell’uso della forza. La politica come pura espressione della volontà di potenza e di dominio, contro il diritto internazionale e l’autodeterminazione democratica delle nazioni. La pax americana imposta con ogni mezzo.
La visione trumpiana della politica rovescia drammaticamente l’intero portato della concezione liberal-democratica, in nome di valori che fanno riferimento al cristianesimo – citati qua e là – tuttavia negati, sia formalmente sia sostanzialmente, nel linguaggio, negli obiettivi e nei mezzi.
A leggere il testo della National Security Strategy, pubblicato il 4 dicembre scorso (cf. la traduzione sul prossimo numero de Il Regno-documenti) dall’amministrazione Trump, si ha la conferma della sua visione imperialista che contraddice la stessa tradizione americana (democratica e repubblicana) dalla Seconda guerra mondiale in poi. Basti citare la riaffermazione della «Dottrina Monroe» circa la preminenza americana nell’emisfero occidentale e l’attacco all’Unione Europea.
Si opta per il ritorno ai nazionalismi, dimenticando che la costruzione dell’Unione Europea fu una libera scelta delle nazioni che ne fanno parte. E il Corollario Trump alla Dottrina Monroe sancisce la volontà di un dominio americano di fatto sull’intero continente. Qui meglio si comprendono le dichiarazioni di Trump all’indomani della sua rielezione a presidente circa l’annessione della Groenlandia e del Canada agli Stati Uniti.
Il banco di prova della politica trumpiana, come il documento recita, è la politica internazionale. Tutta la strategia sui dazi commerciali è una minaccia di guerra che mira a piegare nelle relazioni bilaterali la libertà dell’avversario. Nelle relazioni con quelli che oramai appaiono come gli ex alleati quella minaccia ha lo scopo di determinare la dipendenza economica e la subalternità politica e culturale delle singole nazioni; nelle relazioni con i paesi sin qui avversari, d’impedirne una crescita che metta in discussione l’egemonia americana a ogni livello.
La complicità USA-Russia
In questo senso, per quello che riguarda l’intera Europa (e non solo l’Unione Europea) il tema principale, oltre alla politica commerciale, che trascina con sé anche la dipendenza nello sviluppo tecnologico, rimane l’esito della guerra in Ucraina. Nel documento di Trump, l’Europa presa complessivamente non è trattata più come la grande alleata, ma come un continente opportunista e in decadenza; la Russia di Putin non è vista più come l’ex nemico ideologico e geopolitico dei tempi della Guerra fredda, ma anzi come un partner d’affari, cui si manifesta una maggiore vicinanza rispetto all’Ucraina, ignorando quello che è accaduto e rovesciandone il racconto.
Putin ha avviato nel 2022 contro l’Ucraina una guerra che non ha alcuna giustificazione, se non quella illegale e illegittima di un’affermazione espansionistica e predatoria erede della dottrina zarista e sovietica assieme. Una guerra che in quattro anni ha provocato due milioni di vittime, tra morti e feriti. In essa, contro ogni trattato internazionale, Putin ha violato ogni forma di diritto, ha distrutto intere città e infrastrutture; ha fatto continua strage della popolazione civile, ha rapito migliaia di bambini nelle zone occupate, ha esercitato una violenza fisica e sistematica contro le popolazioni occupate.
Mentre l’opinione pubblica europea chiede a maggioranza una pace qualunque purché finisca un conflitto oneroso e il sostegno dichiarato alla vittima perde consenso, l’Ucraina, il paese aggredito, cerca ancora una strada che salvaguardi la propria sovranità e la sicurezza di poter continuare a esistere. E lo fa non solo per se stessa.
E mentre Usa e Russia agiscono attivamente in favore dei partiti europei di estrema destra, al fine di destabilizzare gli equilibri politici interni alle singole nazioni, i Governi mediano tra la loro debolezza politica e la necessità di tenere in piedi le istituzioni comunitarie, ultimo baluardo senza le quali si troverebbero in balia di entrambi.
Coerentemente con la dottrina Trump appena resa pubblica, la proposta di pace statunitense è una proposta d’affari, completamente schierata dal punto di vista politico con la Russia. Trump ha semplicemente chiesto a Zelensky di arrendersi. Quella resa è una temporanea cessazione delle ostilità, non una pace. Essa implica l’incorporazione di un quarto del territorio ucraino direttamente nello Stato russo; la trasformazione dell’Ucraina in un protettorato di Mosca, con un conseguente cambio di regime, oltre che di Governo; l’allontanamento dell’Ucraina dall’Europa e l’impossibilità di difendersi da eventuali futuri attacchi.
Se l’esito finale sarà questo, la proposta di pace scritta dai russi e accettata da Trump non è né vera, né giusta, né dignitosa, bensì una pace perversa. Il patto Witkoff-Dmitriev somiglia molto, come è stato detto, a quello Molotov-Ribbentrop (cf. Regno-att. 4,2025,65).
Oltre alla negazione del diritto internazionale che questa proposta comporta, essa reca con sé il rischio di ulteriori effetti negativi, dal momento che si permette all’aggressore di decidere le sorti dell’aggredito. Morale: il sogno imperiale di Putin vale più della volontà democratica di Zelensky. Le dittature più delle democrazie. È accettabile?
Inoltre, un trattato di pace che non coinvolga tutti i protagonisti non è destinato a durare. La storia del Novecento ha esempi eloquenti da offrire al riguardo. L’esclusione di fatto sia dell’Ucraina sia dell’Europa minaccia la pace e la stabilità dell’intero continente.
La resa dell’Ucraina non porterà la pace
La vittoria dell’aggressore, riconosciuta dal maggiore partner e garante di quella che era la sicurezza dell’Europa, aumenta il rischio di una guerra nucleare. Se l’Ucraina sarà costretta alla resa, il mondo capirà che per prevenire situazioni simili l’unica garanzia d’autodifesa è l’arma nucleare, e si avrà certamente il rischio di una nuova proliferazione.
Fare saltare un ordine mondiale sin qui basato sull’inviolabilità dei confini nazionali (le eccezioni che vi sono state non sono di questa portata), significa dare alla Russia di Putin carta bianca per intraprendere in Europa o altrove altre azioni del genere. Se siamo giunti sin qui è anche perché in passato l’Occidente ha glissato su quello che succedeva in Cecenia, in Georgia, in Crimea. È una tragica illusione quella d’immaginare che la svendita dell’Ucraina sottragga alla Cina la Russia portandola in posizione filoamericana, o che il sistema del caos internazionale, inaugurato da Trump, faccia risparmiare soldi e vite umane agli Stati Uniti nel loro disegno di mantenere l’egemonia mondiale oltre e fuori da un sistema democratico di alleanze.
L’Europa deve fare i conti con i propri fantasmi del passato. Ma deve farlo in fretta. Quella visione che De Gasperi aveva indicato nei primi anni Cinquanta, che si era tradotta nella costruzione di un’Europa unita non solo economicamente, ma anche politicamente e che affrontava la necessità di un sistema di difesa europeo, è oggi più che impellente, se si vuole difendere l’Europa della civiltà, prendendo le distanze anche dalla visione politica di Trump.
La guerra, come crede qualche vero o finto pacifista, non è mai uscita dalla storia. «Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re, e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi». Quando l’annuncio cristiano rovescia il realismo eracliteo, lo fa affermando la pace come sintesi di tutti i beni messianici, senza tuttavia negare la storia e la sua realtà.
Costruire la pace corrisponde all’etica di ogni persona di buona volontà, soprattutto di chi ha una ispirazione e una visione cristiana del mondo, ma l’affermazione della pace non è la sua realizzazione, né l’ipostatizzazione di un valore è il suo inveramento. Spesso anzi l’ipostatizzazione di un valore ottiene come risultato la sua negazione. L’etica cristiana nella sua tradizione ben conosce la distinzione tra morale, diritto e politica.
Ogni affermazione di valore deve fare i conti con la realtà. E quando la realtà è una realtà di male, quel male va contrastato con ogni mezzo moralmente e giuridicamente lecito.
C’è un diritto alla vita, a cominciare da sé stessi. È legittimo – è il magistero della Chiesa che lo afferma – far rispettare il proprio diritto alla vita. Questo diritto diventa un dovere nei riguardi degli altri, soprattutto per chi ha responsabilità pubbliche, come insegna la Gaudium et spes. Per questo la legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è istituzionalmente responsabile della vita altrui.
La difesa della vita di intere popolazioni – in ragione della loro debolezza e impotenza – esige che si ponga l’aggressore in stato di non nuocere, con il ricorso, se necessario, anche alla forza. Non intervenire, potendolo fare, configura una complicità omissiva e quindi una colpa. Il cristiano non può collaborare al male. Quello che è accaduto in Europa a causa di opportunismi, omissioni e paure negli anni Trenta lo abbiamo sperimentato: ha un odore acre e un colore grigio-cenere.
Gianfranco Brunelli