Italia - Verso la III Assemblea sinodale: no a un Sinodo di carta
Intervista a mons. Erio Castellucci
Il 6 settembre scorso, nella riunione del Comitato nazionale, si è compiuto un passaggio significativo verso la III Assemblea sinodale italiana prevista per il 25 ottobre.
Il 6 settembre scorso, nella riunione del Comitato nazionale, si è compiuto un passaggio significativo verso la III Assemblea sinodale italiana prevista per il 25 ottobre. Un percorso che dal 2021 ha conosciuto momenti di grande partecipazione ma anche confronti serrati, come nell’assemblea di aprile quando oltre 300 emendamenti avevano investito il documento di sintesi e qualcuno aveva parlato di «testo bocciato» (cf. Regno-att. 8,2025,195ss). Il Comitato nazionale si è trovato davanti a una sfida non semplice: trasformare quella vivacità in una proposta capace di delineare il volto della Chiesa italiana dei prossimi anni.
Un documento che oggi s’articola attorno a tre nuclei fondamentali: una Chiesa missionaria nello stile della prossimità, capace d’essere lievito di pace in un mondo lacerato da conflitti; una riforma sostanziale della formazione alla vita cristiana, che superi i tradizionali schemi catechistici per proporre esperienze integrali di fede; e soprattutto una nuova stagione di corresponsabilità ecclesiale, con proposte concrete come l’obbligatorietà dei Consigli pastorali e il superamento della dicotomia tra «consultivo» e «deliberativo». Temi che toccano questioni sensibili, dal ruolo dei laici e delle donne – maggioranza numerica senza voce deliberativa – alla gestione dei beni ecclesiali da affidare a laici competenti.
Un compito che mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola e presidente del Comitato nazionale, ha guidato attraverso un’estate d’intenso lavoro collegiale – una quindicina i passaggi istituzionali tra presidenza CEI, Comitato e Segreteria – mentre la Chiesa universale vive la transizione dal pontificato di Francesco a quello di Leone XIV, che ha già manifestato l’intenzione di proseguire il Cammino sinodale pur con accenti propri.
– Mons. Castellucci, quali passaggi hanno portato dal vivace confronto di aprile al documento che presenterete a ottobre?
«I passaggi sono stati numerosi e articolati. Prima di tutto abbiamo letto e analizzato tutti gli oltre 300 emendamenti proposti nei lavori di gruppo della II Assemblea sinodale conclusa il 3 aprile. Contrariamente a quanto alcuni hanno affermato, il testo non è stato “bocciato”, ma fortemente emendato: abbiamo lavorato su quella base. Durante l’estate ci sono stati almeno 15 passaggi istituzionali: 3 della presidenza CEI, 5 della presidenza del Comitato del Cammino sinodale, 2 dell’intero Comitato a inizio luglio e inizio settembre e altri nelle Commissioni episcopali e negli uffici della CEI.
La segreteria del Cammino sinodale ha lavorato dividendosi in 4 gruppi: uno sull’introduzione e 3 sui rispettivi capitoli che sono rimasti quelli dell’Assemblea – la Chiesa missionaria nello stile della prossimità, la formazione alla vita cristiana e la corresponsabilità –. Il testo sarà presentato al Consiglio permanente della CEI a Gorizia dal 22 al 24 settembre, poi passerà alle regioni ecclesiastiche dove i delegati diocesani organizzeranno incontri per un’ulteriore lettura. Tornerà alla presidenza CEI il 12 ottobre e infine sarà reso pubblico per la votazione del 25 ottobre».
– Quali sono i punti di forza emersi da questo lavoro di sintesi? C’è un nocciolo duro su cui il Comitato vuole davvero scommettere?
«Sono stati rafforzati i tre nuclei tematici, collocandoli più decisamente nel contesto drammatico che stiamo vivendo. È emerso con forza il tema della pace, non come appendice retorica ma come urgenza evangelica. Già dal magistero di papa Leone XIV, si delinea l’immagine della Chiesa come lievito di pace e fraternità. La missione intesa come prossimità non pretende di proporre modelli preconfezionati o di concentrare tutto nella Chiesa, ma d’essere fermento, secondo l’immagine cara anche a Francesco.
Ci siamo mossi nella prospettiva che papa Bergoglio aveva indicato alla Chiesa italiana 10 anni fa a Firenze: una Chiesa umile e disinteressata, nello stile delle beatitudini. In questo contesto è stato collocato anche il tema della cultura, con una svolta importante: non la si intende più come progetto separato, ma come lettura profonda della prassi di carità, assistenza, evangelizzazione e prossimità.
Significa che ogni gesto di carità, ogni iniziativa d’evangelizzazione porta con sé una visione del mondo che va esplicitata, condivisa, approfondita. Richiede un lavoro di rete che superi le tradizionali compartimentazioni».
– Come s’articola nel documento il tema della formazione? Si parla di una vera riforma dell’iniziazione cristiana...
«È stato rafforzato il momento dell’iniziazione cristiana, già prioritario in un terzo delle diocesi italiane. Parliamo di una riforma sostanziale degli strumenti e dei percorsi che, pur rivolgendosi nel 95% dei casi a dei bambini, deve assumere come paradigma gli adulti. Significa proporre un’esperienza cristiana integrale secondo i 4 pilastri degli Atti degli apostoli: ascolto della Parola, frazione del pane, fraternità e preghiera.
Molti desiderano superare i tradizionali catechismi cartacei per andare magari verso materiali digitali interattivi, percorsi esperienziali, valorizzazione delle figure di santità locali, catechesi tramite l’arte. Le diocesi potranno avere maggiore autonomia creativa per sperimentare percorsi innovativi.
Abbiamo affrontato anche il tema della formazione dei ministri ordinati. Per i diaconi permanenti l’ultimo documento CEI risale al 1993! E in questi 30 anni questo ministero è cresciuto numericamente ma spesso senza una chiara identità pastorale. Per i presbiteri, il Dicastero per il clero sta rivedendo la Ratio fundamentalis. Ma la novità più significativa è l’insistenza su momenti formativi comuni tra clero e laici: non solo corsi condivisi, ma esperienze di vita, di missione comune, di discernimento comunitario».
– La corresponsabilità tocca temi delicati come il ruolo delle donne e dei laici. Quali prospettive concrete si aprono?
«Questo è forse il punto più delicato e promettente. C’è un riconoscimento onesto: le donne sono la maggioranza nelle nostre comunità, portano avanti gran parte delle attività, ma con la configurazione canonica attuale non hanno mai un ruolo veramente decisionale. È una contraddizione che non si può più ignorare.
Il documento in elaborazione chiede inoltre che i Consigli pastorali diventino obbligatori in tutte le diocesi e soprattutto che si superi la dicotomia tra funzione consultiva e deliberativa, cosa che ha spesso svuotato questi organismi. Una prospettiva emersa è che il pastore possa decidere diversamente dalla maggioranza del Consiglio solo per motivi di coscienza, quando conosce elementi che il Consiglio ignora. Non è democraticismo ma sinodalità autentica.
C’è poi la gestione dei beni mobili e immobili. Si suggerisce di fare ricorso a strumenti già disponibili ma sottoutilizzati come deleghe, procure, fondazioni, per affidare la gestione economica a laici competenti. Non è solo questione d’alleggerire parroci e vescovi, ma di riconoscere che i laici hanno competenze specifiche che vanno valorizzate».
– Come si collega il percorso italiano con il Sinodo della Chiesa universale?
«Dal 2022 abbiamo dato contributi annuali costanti al Sinodo universale e molti dei nostri temi sono confluiti nel documento di sintesi generale. Il Sinodo universale affronta anche questioni per l’Italia meno rilevanti – i rapporti tra patriarcati e metropolie, il primato petrino nel dialogo ecumenico ecc. Ma sui nostri tre ambiti fondamentali il nostro contributo è stato recepito e apprezzato.
Il Dicastero per la dottrina della fede sta studiando il diaconato femminile, tema che s’intreccia con quello della ministerialità laicale. C’è una commissione per la riforma del Codice di diritto canonico, dove alcuni nostri suggerimenti potrebbero trovare accoglienza. Ma soprattutto c’è consonanza sul metodo: la sinodalità come stile ordinario di vita ecclesiale. Su questo papa Leone XIV è intenzionato a proseguire il cammino di Francesco».
– Questo vuol dire che occorrerebbe rivedere il can. 536 sul ruolo consultivo dei consigli pastorali?
«È una questione tecnica ma decisiva. Il canone parla di voto “soltanto consultivo”, e la giurisprudenza ha talvolta interpretato questo in senso minimalista. Ma “consultare”, nel linguaggio canonico, dovrebbe significare molto di più. Nella tradizione della Chiesa, quando si dice che il superiore deve “udire il consiglio”, significa che deve avere ragioni serie e saper motivare una decisione diversa, e di questo deve rendere conto.
Non immaginiamo di certo dei “parlamentini” dove vince chi ha più voti. La Chiesa ha una struttura sacramentale che va rispettata. Ma dentro questa struttura c’è spazio per una partecipazione molto più sostanziale. È questione di maturità ecclesiale: scegliere membri con vero senso ecclesiale, formarli, dare loro informazioni complete, ascoltarli davvero».
– Quali sono i suoi auspici per i prossimi passaggi?
«L’auspicio è che gradualmente si possa attuare quanto le Chiese locali in Italia hanno elaborato in questi 4 anni. Sarebbe illusorio avviare tutti i processi insieme. L’Assemblea della CEI, che riceverà il testo dopo l’Assemblea sinodale, si muoverà con saggezza, tenendo conto del consenso sulle singole proposte.
Ci saranno quindi 125 votazioni, una per ogni proposta: questo darà un quadro chiaro delle priorità. Alcune proposte potrebbero essere tradotte immediatamente – l’obbligatorietà dei Consigli pastorali o le semplificazioni amministrative che richiedono solo una delibera CEI –. Altre richiederanno tempi più lunghi: come i nuovi strumenti catechetici, la revisione di normative, la formazione di operatori pastorali.
Ma il vero auspicio è che si diffonda uno stile sinodale nel quotidiano delle nostre comunità. Che i ministri ordinati imparino ad ascoltare di più, che i laici superino la delega, la passività e il tradizionalismo, che le donne vedano riconosciuto il loro ruolo, che i giovani trovino spazio per la loro creatività. È un cambiamento culturale prima che strutturale, e questo richiederà tempo, pazienza e soprattutto conversione. L’Assemblea di novembre della CEI avrà il compito di mettere in fila le priorità per l’attuazione, ma il grande lavoro sarà nelle diocesi, nelle parrocchie, nelle comunità.
È lì che il Sinodo diventerà realtà o resterà un pezzo di carta».
a cura di
Paolo Tomassone