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Attualità
Attualità, 8/2023, 15/04/2023, pag. 219

Chiesa - LGBT+: una risposta

A padre Cencini sull’evoluzione del pensiero relativo all’omosessualità

Giuseppe Piva

Nell’articolo «Con tutto il cuore» pubblicato in Il Regno-attualità 4,2023, 78 facevo alcune considerazioni sul documento sinodale dei 50 sacerdoti omosessuali pubblicato da Il Regno-documenti 3,2023, 101. Affermavo che una delle motivazioni dell’esclusione e discriminazione nella Chiesa che quei sacerdoti raccontavano sta proprio nell’istruzione vaticana sui criteri di discernimento vocazionale delle persone con tendenze omosessuali.

 

Nell’articolo «Con tutto il cuore» pubblicato in Il Regno-attualità 4,2023, 78 facevo alcune considerazioni sul documento sinodale dei 50 sacerdoti omosessuali pubblicato da Il Regno-documenti 3,2023, 101. Affermavo che una delle motivazioni dell’esclusione e discriminazione nella Chiesa che quei sacerdoti raccontavano sta proprio nell’istruzione vaticana sui criteri di discernimento vocazionale delle persone con tendenze omosessuali.1

Sostenevo che il giudizio estremamente negativo di quel documento sull’omosessualità dipendesse anche da un clima – a cavallo degli anni 2000 – di reazione cattolica al progressivo riconoscimento da parte della comunità scientifica mondiale della «normalità» della condizione omosessuale.

Indicavo in mons. Tony Anatrella, psicanalista, uno dei promotori radicali di quel clima di reazione; e in p. Amedeo Cencini, docente di Psicologia, un convinto sostenitore di quel documento vaticano. Di fatto, oltre che in molte altre pubblicazioni, negli articoli «Omosessualità strutturale e non strutturale, I e II» del 2009, Cencini intendeva dare fondamento scientifico alle varie affermazioni di quella istruzione. Queste pubblicazioni e il suo insegnamento hanno contribuito per lungo tempo alla formazione dei formatori dei seminari, molti diventati vescovi; e quindi hanno contribuito al consolidamento della prassi di escludere le persone omosessuali dai percorsi in vista degli ordini sacri.

In un recente articolo uscito su Settimananews il 31 marzo scorso («Formazione presbiterale e questione omosessuale», https://bit.ly/3o5xfGM), p. Amedeo Cencini risponde al mio testo, affermando il suo sostanziale cambiamento di pensiero nei riguardi dell’omosessualità: «Considero che – sul piano della comprensione del fenomeno a livello psicologico – vi sia stato un progresso che sicuramente costringe a rivedere alcune conclusioni di allora (…) Sento personalmente l’esigenza di continuare a portare avanti una riflessione personale sempre più aperta all’approfondimento scientifico e disponibile a rivedere certe posizioni».

Un cambio di paradigma

Indirettamente Cencini descrive il suo cambiamento di paradigma antropologico: «Sino a qualche decennio fa l’approccio nel mondo ecclesiale era di tipo morale, legato a un’antropologia sessuale sostanzialmente naturalista, e che poneva in stretta correlazione l’atto sessuale (e la sua moralità) con la fecondità. (…) L’antropologia naturalista tendeva a definire la tendenza omosessuale come qualcosa di “necessariamente incompiuto e immaturo”, o “d’intrinsecamente deviante”». I suoi articoli del 2009 esprimevano esattamente questa posizione.

Cencini inoltre fa notare che negli anni aveva già mostrato dei cambiamenti d’opinione, chiedendosi perché io non li abbia citati: sinceramente li ho cercati, ma senza successo. In particolare cita La formazione iniziale in tempo di abusi (sussidio per formatori al presbiterato e alla vita consacrata e per giovani in formazione, Roma), pubblicato dal Servizio nazionale per la tutela minori e persone vulnerabili della CEI l’1 febbraio 2021. In realtà conoscevo quel testo, soprattutto per i riferimenti al lavoro della psicologa Chiara D’Urbano; ma non mi sembrava opportuno segnalare che Cencini trattasse di omosessualità – pur in modo nuovo – solo in riferimento alla questione della pedofilia e altri abusi.

E comunque effettivamente p. Cencini ha ora un diverso approccio all’omosessualità, e mi sembra importante metterlo esplicitamente in luce. Se mettiamo a confronto i testi del 2009 con quest’ultimo vedremo in molti punti questo cambiamento. Mi limiterò solo ad alcune citazioni.

«La modalità egosintonica è caratterizzata da un “sentire” già in partenza favorevole alla propria tendenza omosessuale. È la modalità tipica di quei soggetti che dinanzi alla tendenza sembrano assumere un atteggiamento di fatto possibilista, quasi di compromesso mentale; in qualche modo la razionalizzano e la giustificano; certamente non la soffrono, dato che la considerano come qualcosa di semplicemente diverso da quel che provano i più, come una variante di genere, senza valenza etica e oggettiva; qualcosa che riguarda esclusivamente i gusti (sessuali) e che non impoverisce in alcun modo la loro vita relazionale; la sentono come parte di sé, qualcosa che secondo loro non potrà mai cambiare e che essi stessi non vedono perché cambiare (…) È ovvio che la ego-sintonia creerebbe una grave dissociazione tra le esigenze della vita religiosa o sacerdotale e la propria situazione esistenziale e dunque costituirebbe una controindicazione per l’ammissione».2

«Diversa è la modalità egoaliena, propria di chi considera la sua tendenza omosessuale quasi come un corpo estraneo, qualcosa che soffre e non vorrebbe e di cui riesce a vedere gli aspetti oggettivamente carenti e le implicanze negative, in sé e sul piano relazionale e non esclusivamente a livello sessuale. Per questo cerca di contrastare, per quanto può, questa tendenza, non solo sul piano del comportamento, ma di tutta la personalità, in un cammino progressivo di conversione e disponibilità al confronto formativo. La sua è un’accettazione intelligente e attiva, responsabile e illuminata dalla fede, umile e sofferta, che passa attraverso la lotta, in vista di un superamento che così è reso possibile. Questo è un punto decisivo per il discernimento e per il superamento del problema».3

Non credo sia necessario soffermarmi sulla problematicità dal punto di vista scientifico, pedagogico, morale e spirituale di queste affermazioni che, sappiamo, sono state motivo di grandi sofferenze per tante persone, seminaristi e sacerdoti, che in buona fede si sono affidati ai loro accompagnatori, formati proprio a partire da queste prospettive. Un terapeuta che oggi accompagnasse i clienti in base a queste indicazioni avrebbe giustamente problemi dal punto di vista professionale.

Ma, come testimonia in quest’ultimo articolo, Amedeo Cencini oggi ha cambiato il suo approccio scientifico circa la tendenza omosessuale: «Anzitutto, si tratta di riconoscerla in sé stessi, come parte di sé che va coscientizzata e accolta, o quale componente del mistero del proprio io che non può esser negata o rimossa, né caricata di sensi di colpa o d’indegnità (…) Integrazione della tendenza nel progetto vocazionale: (…) Il coraggio di vivere la propria realtà personale nella sua totalità, anche in ciò che riguarda il proprio orientamento, in funzione del ministero che ha scelto, con creatività e originalità (…) Se anche l’orientamento omosessuale indica ed esprime energia affettiva, e dunque capacità d’amicizia, di vincoli intensi, di empatia e partecipazione emotiva alla vita dell’altro, d’amore dato e ricevuto, ebbene tutto questo va vissuto, purificato certamente da ogni rigurgito autoreferenziale (…), ma non può esser messo tra parentesi o negato, al contrario va integrato col proprio progetto sacerdotale, poiché esso stesso è tutto costruito sull’amore, verso tutti/e, senza esclusioni (…)

Perché, come abbiamo detto, più importante e decisivo della tendenza in sé, è il modo di viverla, e dunque l’equilibrio generale della persona nel prenderne coscienza, nell’accettarla come parte di sé, nel gestirla con sufficiente libertà e serenità, e in particolare, come appena sottolineato, nell’integrarla con la natura e gli obiettivi della vocazione presbiterale».

Rimangono alcune ambiguità

Come non essere contenti di questo nuovo approccio, che apre anche alle persone omosessuali la possibilità di una vita cristiana e di una vocazione, finora esplicitamente negate, accogliendo la loro condizione?

Nell’articolo sono molto evidenti i riferimenti antropologici e teologici – anche se non citati – al lavoro significativo di Aristide Fumagalli (L’amore possibile, Cittadella [PG] 2020), al testo di Stefano Guarinelli (Omosessualità e sacerdozio, Ancora, Milano 2019); di Paolo Pala (L’accompagnamento dei presbiteri con orientamento omosessuale, Tau, Milano 2020); e certamente di Chiara D’Urbano (Percorsi vocazionali e omosessualità, Città nuova, Roma 2020). Chi ha letto i loro contributi li ritrova immediatamente.

La nuova riflessione di Amedeo Cencini sull’omosessualità non è quindi originale, ma chiaramente mutuata da questi e altri autori, suoi e miei cari amici e collaboratori. Questo è un segno di apertura mentale, umiltà e disponibilità a cambiare le proprie idee. Di questo lo ringrazio sinceramente.

Tuttavia ritengo doveroso far notare anche quelle che, a mio parere, nell’articolo citato rimangono delle ombre che mi destano perplessità.

Richiesta di perdono. Sono molte le persone con orientamento omosessuale, in particolare seminaristi, religiosi e religiose in formazione, sacerdoti, che per le indicazioni espresse nel passato da Cencini sono state discriminate, colpevolizzate e, piuttosto che essere aiutate a integrare nella loro personalità il loro orientamento, sono state indotte a rinnegarlo pur di non essere escluse. Ciò ha comportato costi psichici e spirituali altissimi, anche permanenti.

Nei loro riguardi che cosa s’intende fare? Il cambiamento di prospettiva scientifica e formativa in questo caso – forse – dovrebbe essere accompagnato da un’assunzione di responsabilità e richiesta di perdono; oppure questa è una richiesta eccessiva?

Che cosa pensare oggi dell’istruzione del 2005 e della Ratio fundamentalis? Nel suo articolo Cencini mostra implicitamente – ma chiaramente – d’aver preso le distanze dal documento vaticano del 2005, e quindi dalle indicazioni delle successive Ratio dei seminari che affermano: «La Chiesa (…) non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che (…) presentano tendenze omosessuali profondamente radicate» (EV 23/1187).

Tuttavia, nel documento CEI sugli abusi del 2021, alla nota 41, in riferimento alle persone omosessuali in seminario, afferma: «Rimandiamo per questo alla Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, pubblicato dalla Congre-
gazione per il clero (Roma 2016), specie ai nn.199s, e al testo della Congregazione per l’educazione cattolica, Istruzione circa i criteri
di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri
, Roma 2005».

I nn. 199s della Ratio sono proprio quelli dell’esclusione delle persone omosessuali. Ma allora, se Cencini ha indicato il suo intervento del 2021 a riprova del suo cambio di paradigma, che cosa pensa veramente dell’istruzione vaticana del 2005 e delle Ratio dei seminari in riferimento all’ammissione o meno delle persone con tendenza omosessuale profondamente radicata? È davvero cambiata la sua opinione rispetto ai suoi articoli del 2009 (da lui scritti proprio a sostegno di quel documento)?

Stefano Guarinelli e Chiara D’Urbano, come riportato nel mio articolo de Il Regno-attualità, hanno messo esplicitamente in discussione le conclusioni di quei documenti vaticani. Credo che Amedeo Cencini debba risolvere in modo chiaro questa ambiguità.

Omosessualità strutturale e non strutturale. Riscontro la stessa ambiguità quando p. Cencini sembra riproporre la distinzione tra omosessualità strutturale e non strutturale del 2009, che tentava di tradurre scientificamente la distinzione dell’istruzione Vaticana del 2005 tra «tendenza omosessuale profondamente radicata» e «tendenze omosessuali che fossero solo l’espressione di un problema transitorio,
come, ad esempio, quello di un’adolescenza non ancora compiuta» (EV 23/1188).

In quel caso, la tendenza profondamente radicata (omosessualità strutturale) era il vero problema, che comportava la dimissione dal seminario; mentre quella transitoria (non-strutturale), pur rimanendo un «problema da superare», non impediva l’accesso al seminario.

Ora, nell’articolo pubblicato da Settimananews, dopo aver affermato che, invece, la tendenza omosessuale va positivamente integrata nel cammino vocazionale, Cencini ripropone la stessa distinzione: «È diverso, infatti, sentirsi da sempre omosessuali, oppure a partire da un’esperienza, (pre)adolescenziale (ma a volte anche successiva a queste fasi d’età), comunque non direttamente cercata (…) ma poi ripetuta: all’inizio subendola (a volte anche in forma grave e violenta) e poi divenuta sempre più frequente e abituale».

Così egli ora ritiene «problematica» solo l’omosessualità non-strutturale, transitoria, perché indice d’immaturità. A parte il paradosso di questo capovolgimento di prospettiva, personalmente potrei essere d’accordo con questa conclusione, a patto che ritenga problematica anche l’eterosessualità non-strutturale o transitoria; cioè quella forma difensiva di eterosessualità, indotta («da un’esperienza, (pre)adolescenziale, ma a volte anche successiva, non direttamente cercata, ma poi ripetuta: all’inizio subendola a volte anche in forma grave e violenta e poi divenuta sempre più frequente e abituale»).

Eterosessualità difensiva motivata inconsapevolmente dal profondo disagio nel riconoscersi diversi dagli altri o, peggio, perché minacciati d’esclusione, od obbligati a rapporti eterosessuali abusivi per dimostrare di non essere gay; magari anche mettendo su famiglia per rientrare nei canoni socio-religiosi.

Questa forma di falsa eterosessualità è molto più diffusa e provoca danni molto più gravi e pericolosi, distruggendo esistenze e inducendo personalità rigide e difensive, potenzialmente violente. Cencini sarebbe ugualmente disposto a trattare anche questa eterosessualità non-strutturale, ego-distonica?

Tendenza od orientamento? Da ultimo… Perché Cencini continua a preferire il termine tendenza omosessuale rispetto a orientamento omosessuale? Forse non si rende conto dell’estrema ambiguità di questo termine, che la scienza non conosce, ma che piuttosto rimanda immediatamente all’ambito religioso-morale (antropologia naturalista) che ritiene quella omosessuale una «tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa dev’essere considerata come oggettivamente disordinata».4 Per questo l’istruzione del 2005 esclude dalla formazione in vista degli ordini sacri le persone che la possiedono.

Stefano Guarinelli, invece, da psicologo ha preso chiaramente le distanze da questa terminologia definendola ambigua, preferendo parlare dell’omosessualità come di un tratto della personalità; «indifferente» in sé, ma che va giocato nell’insieme delle dimensioni personali per un cammino di maturità umana, di cui il tratto omosessuale non è certo una controindicazione. Sulla stessa linea troviamo Chiara D’Urbano che, piuttosto, fa la scelta esplicita d’usare il termine scientifico di orientamento omosessuale, nel senso che la comunità scientifica gli attribuisce.

A mio avviso anche questa è un’ulteriore ambiguità che andrebbe risolta.

 

Giuseppe Piva

 

1 Cf. Congregazione per l’educazione cattolica, istruzione In continuità sui criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri (4.11.2005; EV 23/1183ss).

2 A. Cencini, Omosessualità strutturale e non strutturale. Contributo per un’analisi differenziale, II, in Tredimensioni 6(2009), 132.

3 Ivi, 133.

4 Congregazione per la dottrina della fede, lettera Homosexualitatis problema, sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1.10.1986, n. 3; EV 10/907.

 

Tipo Articolo
Tema Cultura e società
Area EUROPA
Nazioni

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Il contributo al cammino sinodale a cui accenno in questo articolo – interamente pubblicato ne Il Regno-doc. 2,2023,101 – è il frutto della condivisione di circa 50 sacerdoti diocesani e religiosi con orientamento omosessuale o bisessuale, riuniti in vari incontri tra febbraio e marzo 2022, in almeno 7 piccoli gruppi o con un lavoro individuale. Invitati dalla rete degli operatori pastorali con persone LGBT+ hanno accettato di mettersi in gioco per raccontare il loro vissuto, le loro difficoltà e le loro speranze.