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Attualità
Attualità, 10/2024, 15/05/2024, pag. 294

Sinodo - Dibattito: la breccia

Omosessualità e sacra ordinazione in un recente volume del card. G. Versaldi

Giuseppe Piva SI

Domenica 21 aprile ho avuto l’opportunità di condividere la pagina 17 del quotidiano Avvenire con il card. Giuseppe Versaldi sul tema dell’identità di genere.

Domenica 21 aprile ho avuto l’opportunità di condividere la pagina 17 del quotidiano Avvenire con il card. Giuseppe Versaldi sul tema dell’identità di genere. In quella pagina il giornalista Luciano Moia presentava il nuovo libro del cardinale: Chiesa e identità di genere. Un metodo per il dialogo tra fede e ragione (San Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 2024), mentre io riflettevo su come il rispetto delle differenze sessuali, tutte – a partire da una comune dignità di natura e nel dare la giusta importanza al maschile e al femminile –, sia l’unico modo per superare le contrapposizioni ideologiche sulla questione del gender.

Quella pagina del quotidiano dei vescovi intendeva essere uno dei tanti commenti alla dichiarazione del 2.4.2024, circa la dignità umana Dignitas infinita, a firma del Dicastero per la dottrina della fede, in particolare al paragrafo dedicato alla «Teoria del gender» (n. 55ss). In seguito ho acquistato il testo di Versaldi, anche per leggere gli altri argomenti annunciati: la possibilità di benedire le coppie omoaffettive e l’ordinazione di sacerdoti omosessuali; argomento, quest’ultimo, già affrontato da me sulle pagine de Il Regno più di un anno fa (4,2023,78; 8,2023,219).

Non entro qui nel contenuto del testo del cardinale circa l’identità di genere – ho notato con piacere le molte citazioni tratte dai libri di Aristide Fumagalli (L’amore sessuale, Queriniana, Brescia 22020 e La questione gender, Queriniana, Brescia 42017) –, di cui Avvenire ha dato conto in modo completo. Sottolineo solo che nel capitolo «Verità nella carità» (77-88) viene fornito il criterio fondamentale attraverso cui leggere e comprendere l’intenzione complessiva.

Vorrei invece commentare le pagine (101-107) dedicate a «Omosessualità e sacra ordinazione». In esse Versaldi va al nocciolo della questione citando proprio il secondo paragrafo dell’istruzione In continuità circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri che la Congregazione per l’educazione cattolica ha scritto nel 2005 sull’argomento; congregazione che lui ha presieduto negli anni 2015-2022 (poi confluita nel Dicastero per la cultura e l’educazione) e, per questo, le sue considerazioni sono altamente significative.

Ecco la citazione: «La Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay» (EV 23/1187). Ci ritroviamo, quindi, sui temi affrontati negli articoli su Il Regno. La cosa interessante, a mio parere, è che nel redigere le sette pagine sull’argomento, il card. Versaldi mostra di aver letto – e credo anche apprezzato – questi articoli, che comunque non cita.

Non discriminare sacerdoti e seminaristi omosessuali

Il cardinale stesso, infatti, ammette che questo possa essere un atteggiamento discriminatorio nei confronti di seminaristi e sacerdoti omosessuali, e lo ritiene inopportuno perché impedisce quella fiducia necessaria affinché la loro formazione possa essere vissuta in serena autenticità. Scrive Versaldi: «È altrettanto vero, però, che tale apertura richiede che non si verifichi quello stigma sociale che porta a essere discriminati e condannati da parte della comunità cristiana. Purtroppo, come lamentano quella cinquantina di sacerdoti italiani nel contributo al Sinodo che hanno inviato alla Conferenza episcopale italiana e alla Segreteria del Sinodo nel 2022 (Con tutto il cuore [pubblicato in Regno-doc. 3,2023,101; nda]), questo stigma rimane vivo e provoca un atteggiamento di nascondimento anziché d’apertura con le sofferenze e le solitudini che l’accompagnano» (104).

Bene! È importante che le istanze di quei sacerdoti – e di tutti gli altri che non hanno potuto esprimersi –, siano arrivate tanto in al-
to
, in un contesto che ha effettivamente l’autorevolezza per cambiare le cose.

Il cardinale motiva quanto citato – e questa è la cosa più interessante – affermando che la distinzione del documento circa le «tendenze omosessuali profondamente radicate» e le «tendenze espressione di un problema transitorio» è problematica; infatti, continua: «Di fronte a queste precise indicazioni non sono state poche le critiche anche all’interno della Chiesa, specialmente a proposito della categoria delle persone che presentano tendenze omosessuali profondamente radicate, di cui si lamenta la mancanza di una concettualizzazione» (102).

Qui Versaldi cita il testo di Stefano Guarinelli, Omosessualità e sacerdozio, richiamato anche in Regno-att. 8,2023,219. Tra l’altro, il cardinale mostra di non avere nessun problema a usare l’espressione orientamento omosessuale, che invece non ricorre mai nel documento vaticano del 2005 (e in nessun altro documento dei dicasteri vaticani), che preferisce il termine tendenza o inclinazione.

Così, arriva ad affermare: «In questo senso mi pare che la distinzione contenuta nella citata istruzione dell’allora Congregazione per l’educazione cattolica tra tendenze omosessuali profondamente radicate e tendenze omosessuali transitorie sia di poca utilità per la mancante concettualizzazione della distinzione e anche perché fondamentalmente basata su un criterio quantitativo, anziché qualitativo, in grado di chiarirne la differenza. Meglio fermarsi alla distinzione tra atti e tendenze» (106).

Questa affermazione spazza via la teorizzazione che p. Amedeo Cencini sviluppava per dare sostanza scientifica all’impostazione del documento del 2005, e che tanto danno ha prodotto negli ambienti formativi dei seminari e dei religiosi perché hanno giustificato proprio quella discriminazione lamentata anche da Versaldi.

Di fatto, nel suo testo, il prefetto emerito non lo cita mai. Avrebbe potuto a p. 66 quando introduce la nuova «visione più personalistica e meno giuridica del sacramento del matrimonio» e quindi della sessualità umana, citata anche da Cencini nella risposta – bellissima – ai miei articoli; ma non lo fa.

Ciò che vale anche per gli eterosessuali

A questo punto, alleggerita dalle distinzioni inopportune, l’affermazione iniziale del documento del 2005 potrebbe essere riproposta in questo modo: «La Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità (…) o sostengono la cosiddetta cultura gay», affermazioni, queste, più che condivisibili! Anche perché valgono tali e quali anche per le persone con orientamento eterosessuale, se intendiamo la cultura gay come una qualsiasi cultura edonistica, e quindi contraria alla visione cristiana dell’amore coniugale.

Ma comprendiamo, a questo punto, che se il criterio per l’ammissione o meno agli ordini sacri è «solo» quello che il cardinale indica (la «distinzione tra atti e tendenze» valida anche per gli eterosessuali), cade ogni necessità di criteri di discernimento vocazionale specifici per le persone con tendenze omosessuali, rimanendo però intatti quelli di una necessaria maturità umana, validi per tutti; e su questo Versaldi insiste più volte.

Rimangono ovviamente alcune attenzioni da avere, e se ne parla a proposito dei formatori (cf. 115), soprattutto durante il periodo della preparazione, tenendo conto che spesso questa si svolge in contesti mono-sessuali; attenzioni pedagogiche volte a promuovere una maturità affettiva, e non certo una esclusione tout court delle persone omosessuali.

Per questo è significativo il fatto che in quelle 7 pagine ricorra ben 9 volte l’espressione «questo vale anche per gli eterosessuali» o altre simili, contando anche il paragrafo dedicato al ruolo dei formatori (cf. 109-116). Un esempio: «Si tratta, quindi, di accompagnare la persona in questo delicato tempo di discernimento, tenendo conto che la decisione finale spetta alla Chiesa in quanto non basta l’intenzione del soggetto senza una chiamata (“voca-zione”) da parte dell’istituzione. In questo contesto anche la dimensione (omo)sessuale è inserita nello sviluppo dell’intera personalità del soggetto in modo che, al termine della formazione, si possa fare una valutazione globale della idoneità al sacro ministero» (104).

Ritroviamo in queste parole le stesse indicazioni di Stefano Guarinelli e di Chiara D’Urbano, nel suo libro Percorsi vocazionali e omosessualità (Città nuova, Roma 2020).

Al termine dell’articolo in risposta a p. Cencini ponevo idealmente alcune domande aperte come riflessione per chi nella Chiesa si occupa di formazione ed è chiamato a trattare tali questioni. Ritengo che il cardinal Versaldi abbia risposto a agli interrogativi, e per questo lo ringrazio profondamente. Nell’aver letto e apprezzato le istanze dei 50 sacerdoti con orientamento omosessuale, ha fatto un primo passo verso il riconoscimento della loro sofferenza e, implicitamente, anche rispetto a una richiesta di perdono e ad altre questioni come che cosa pensare oggi dell’istruzione del 2005 e della Ratio fundamentalis, e che senso dare alla distinzione tra omosessualità strutturale e non strutturale e tra tendenza od orientamento.

La Chiesa italiana ha discusso nel novembre 2023 la Ratio nationalis per la formazione nei seminari; quella universale si è impegnata durante la scorsa Assemblea sinodale per una revisione della Ratio universale. Crediamo che su questo tema specifico, il contributo del card. Versaldi sia particolarmente significativo.

 

Giuseppe Piva SI

 

Tipo Articolo
Tema Cultura e società Sinodo dei vescovi
Area
Nazioni