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Attualità
Attualità, 2/2023, 15/01/2023, pag. 14

Violenze - Dopo il caso Rupnik: le domande che restano

Per imparare dai numerosi errori

Maria Elisabetta Gandolfi

Inutile ripercorrere i fatti relativi al «caso» Rupnik, ormai a tutti noto in molti dettagli (cf. anche Regno-doc. 1,2023,35). Peccato averli saputi così: entrano dentro e lavorano come i tarli nel legno delle menti, della Chiesa, dei fedeli. Qualcuno se ne difende, accusando «i media» e chiudendo gli occhi perché, davvero, quello che è emerso è troppo. Ancora più amaramente si potrebbe dire, tuttavia, che «non basta mai». La violenza e soprattutto l’abuso di potere spirituale è un abisso e ogni volta si rimane attoniti di fronte alla sua profondità.

 

Inutile ripercorrere i fatti relativi al «caso» Rupnik, ormai a tutti noto in molti dettagli (cf. anche Regno-doc. 1,2023,35). Peccato averli saputi così: entrano dentro e lavorano come i tarli nel legno delle menti, della Chiesa, dei fedeli. Qualcuno se ne difende, accusando «i media» e chiudendo gli occhi perché, davvero, quello che è emerso è troppo. Ancora più amaramente si potrebbe dire, tuttavia, che «non basta mai». La violenza e soprattutto l’abuso di potere spirituale è un abisso e ogni volta si rimane attoniti di fronte alla sua profondità.

Ma questo caso ha alcune caratteristiche che lo rendono emblematico, anche perché riguarda la Chiesa in tutta la sua estensione gerarchica e per almeno metà del tempo si svolge in Italia. Perciò ritengo sia necessario tentare di capire perché è grave, non solo per la responsabilità personale, che non sta a noi accertare (di Rupnik stesso abbiamo per ora solo il suo silenzio), ma per il contesto nel quale sono state lasciate prosperare azioni che andavano fermate e nel quale le orecchie sono state sorde come non mai al grido delle vittime: donne, religiose, persone in ricerca.

Enucleo alcuni snodi e molte domande: ciascuno di essi potrebbe costituire un capitolo a sé stante.

 

Le fonti.  Partiamo dal come  il caso è venuto a nostra conoscenza. Ancora una volta (ma ci saranno mai volte diverse?) un’indiscrezione. Uscita da un blog (Silere non possum, il 1° dicembre) che ha avuto accesso a documenti tenuti riservati.

Ancora una volta non è l’istituzione a dare la notizia, in questo caso i gesuiti, come invece lodevolmente avvenne in Germania nel 2010 con la lettera del rettore del Collegio Canisius di Berlino, Klaus Mertes, sulle violenze avvenute (cf. Regno-att. 4,2010,83). Anzi, nella programmata conferenza stampa di fine anno del preposito generale della Compagnia di Gesù, Arturo Sosa, il caso è stato posto solo a metà dell’ordine del giorno, dando informazioni non complete (cioè non dicendo che i procedimenti a carico di Rupnik erano stati due), poi puntualizzate da Nicole Winfield di Associated Press.

La notizia iniziale è stata data da un blog, non da una testata giornalistica e dai suoi redattori professionisti, vaticanisti o meno. Un motivo in più per riflettere su che cosa sia il giornalismo al tempo dei leaks di documenti-fonte (quali? perché non altri? da quale provenienza? con che finalità?) e quale sia il ruolo da un lato del giornalista e dall’altro del comunicatore istituzionale.

Il polverone sollevato arma, lancia in resta, i soggetti che si sentono punti sul vivo. E ne vengono dichiarazioni che tradiscono l’imbarazzo per le vittime, come quella del Vicariato di Roma del 23 dicembre, laddove afferma che siamo «di fronte» a una «sconcertante comunicazione, soprattutto mediatica, che disorienta il popolo di Dio». Sconcerta la comunicazione, non il fatto in sé.

E quanto più si condanna il ricorso ai media senza operare un vero cambiamento, tanto più lo si favorisce. Certo, se si volesse dare un consiglio alle vittime (cf. «Dieci consigli alla vittime», in questo numero a p. 16), occorrerebbe dire loro che parlare con la stampa non è la prima cosa da fare: ma oggi ci sono vere alternative?

 

Trasparenza. Il tema sottostante è quello della trasparenza, laddove l’opacità di un’istituzione non è riservatezza ma segretezza, fino all’«abuso della segretezza».1 Così il metodo «Vatileaks», il mettere in piazza informazioni ottenute di «straforo» viene legittimato come necessario strumento comunicativo.

Nel 2019 papa Francesco in un rescriptum ex audientia ha abolito il segreto pontificio per quanto riguarda i casi di abusi sessuali: gli interessati dovrebbero essere quindi informati del-
l’andamento e dell’esito dei processi presso il Dicastero per la dottrina della fede che li riguardano. Dove ci troviamo rispetto a questa decisione? Chi è responsabile della sua realizzazione? Il nuovo assetto della Pontificia commissione per la protezione dei minori che cosa prevede al riguardo?

Altre domande. Rupnik è incorso
in una scomunica latae sententiae. Perché non è stato detto? Perché è stata levata così rapidamente? Erano già state sentite anche le vittime? E per quanto riguarda le «restrizioni al ministero» che non sono state né rispettate né comunicate?

 

I nuovi movimenti e il carisma dei fondatori. Specie nelle fondazioni dei nuovi movimenti, quelli nati nella seconda metà del Novecento, in nome del carisma del fondatore sono state compiute le peggiori nefandezze. L’alea che circonda questo carisma, spe-
cie se portatore di oggettive intuizio-
ni e novità – in questo caso nel campo dell’arte – giustifica l’assenza di controllo e di supervisione sui fondatori e sulle fondatrici e l’esistenza di un cerchio di protezione attorno a loro. Molti di questi movimenti presentano caratteristiche simili: i Legionari o l’Arche, dove il colpevole era tra gli stessi fondatori; i focolarini, al cui interno sono stati coperti predatori.2

In nome dell’«unità» non si può criticare o mettere in discussione la metodologia seguita dal fondatore; in nome della «creazione artistica» il linguaggio del corpo si può prendere delle licenze…

 

Derive nella direzione spirituale. Un altro capitolo è quello della direzione spirituale e di come essa viene esercitata – anche qui, spesso senza supervisione – all’interno delle congregazioni religiose. A volte tra «direzione», «disciplina» e controllo è breve il passo verso l’abuso spirituale, di cui ormai si parla compiutamente a partire dalla Lettera al popolo di Dio che papa Francesco ha scritto nel 2018. Lì si parla di «abuso sessuale, di potere e di coscienza» (Regno-doc. 15,2018,457).

A che punto siamo?

 

Cancel art?  Lasciando agli esperti il giudizio sull’arte di Rupnik, non si può dire che non sia diventata «popolare»: dalla cappella privata di Giovanni Paolo II alle nuove chiese e ai santuari (San Giovanni Rotondo, Fatima), fino a una pervasiva presenza nell’editoria religiosa. Il fascino del recupero della tradizione «orientale», anche se con una qualche ripetitività, ha indubbiamente colmato un vuoto nella crisi dell’arte liturgica. Questo è un dato di fatto.

Ci sono parrocchie indebitate per le decorazioni musive commissionate all’artista sloveno: che cosa devono pensare ora i fedeli pregando davanti a quelle tessere? Non si tratta solo di separare un’opera da chi l’ha fatta: tanti noti artisti hanno lasciato il segno nei luoghi di culto a prescindere dalla qualità morale della loro vita. L’arte vive di sé stessa, oltre l’artista.Tuttavia qui vi sono ore e ore di lezioni e di catechesi che sui suoi lavori Rupnik ha tenuto. Tutti i mosaici ce lo ricorderanno per sempre.

La verità aiuta le distinzioni, come il sacramento è separato da chi lo amministra.

 

Omertà. Spesso «corrono voci». Si sa che il trasferimento di un chierico da una realtà pastorale all’altra quando ci sono di mezzo questioni che riguardano il sesso è prassi consolidata. Qui il salto dalla Slovenia all’Italia è stato ampio. Ma le informazioni non sono state passate e i meccanismi di adescamento e seduzione delle vittime sono ripresi uguali a prima.

Tra le altre cose, nelle testimonianze delle vittime sin qui rese note mi colpisce che nessuno abbia mai dato loro il consiglio di denunciare alle autorità civili. Cosa che nei già citati «Dieci consigli alle vittime» viene prima di quello di parlarne all’interno della Chiesa. E si capisce il perché.

Certo, come nel caso del card. McCarrick (cf. Regno-doc. 21,2020,661) si fa fatica a vedere l’evidenza anche laddove è sotto gli occhi, a maggior ragione se è coinvolta una persona che è stata amica di tre papi.

 

Donne. Non importa andare lontano – ad esempio in Africa (cf. Regno-att. 2,2022,52; 22,2022, 717) – per capire che tanto meno le donne ricoprono ruoli di leadership ecclesiale tanto più le violenze nei loro confronti sono accettate come uno spiacevole
inconveniente. La posizione di subordinazione implicita di una donna in formazione rispetto a un sacerdote le rende difficile denunciare ed essere creduta.

Lo testimonia la domanda non del tutto retorica su «che tipo di suora fosse e quale formazione avesse quella povera ragazza» che ha subito violenza, rivolta da un confratello spagnolo, il teologo J.G. Faus, a Rupnik. «Come a dire che una donna abusata deve giocoforza essere “povera” di formazione».3

Certamente, anche negli istituti religiosi femminili (come nel resto della compagine ecclesiale, italiana in particolare) non circolano ancora abbastanza quelle informazioni di base relative ai segnali d’allarme che fanno riconoscere per tempo una relazione «tossica».

 

Vittime. Le vittime disturbano, esasperano, insistono. Sono arrabbiate. A volte tentano strumentalizzazioni. E quanto più non si dà loro voce tanto più la loro è una presenza di contrapposizione dura, senza mediazioni possibili. La Chiesa in molti, troppi, casi non le vuole riconoscere, le considera «altro da sé». La trasparenza relativa ai procedimenti che le riguardano sarebbe, per così dire, un minimo sindacale.

È interessante notare come laddove questo ascolto esiste, pur se imperfetto e sempre migliorabile, le associazioni sono tante, con sensibilità diverse. Laddove non c’è, questo spazio è un muro contro muro, contrapposizione «anticlericale».

Fondamentale sarebbe riconoscere che a questa forma di «povertà» – per altro provocata da pezzi della Chiesa stessa – è dovuto ascolto e una cura specifica. Lo abbiamo già scritto: «Dio è nelle vittime» (cf. Regno-att. 10,2010,289).

Occorre ricordarlo sempre.

 

Maria Elisabetta Gandolfi

 

1 Istruttivo il volume di J. Pujol Soler e R. Montes De Oca su Trasparenza e segreto nella Chiesa cattolica (Marcianum Press, Venezia 2022; cf. in questo numero a p. 31): qui, a fronte di un «abuso di segretezza» che mina la credibilità della Chiesa (28), si teorizza una comunicazione «traslucida», che rende conto delle proprie azioni e omissioni e che al contempo mantiene valori come la «confidenzialità, il silenzio, il pudore, il rispetto del mistero» (223).

2 Ne parla F. Pinotti in La setta divina, Piemme, Milano 2021; ma anche il Rapporto di un’indagine indipendente sugli abusi storici sui minori nel movimento dei Focolari, curato da GCPS Consulting e reso noto anche in italiano nel 2022, https://bit.ly/3kmtJpP.

3 L. Alioto, «Abusi: chi punta il dito su chi?», in Il Regno delle donne, 16.1.2023, https://bit.ly/3HcqNVE).

 

Tipo Articolo
Tema Ministeri - Vita religiosa Santa Sede
Area EUROPA
Nazioni

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