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Attualità
Attualità, 8/2025, 15/04/2025, pag. 20

Il lungo cantiere della sinodalità- Da organismo a processo - Speciale Francesco

Maria Elisabetta Gandolfi

Dei tre capitoli principali in cui si è articolato il percorso di riforma di papa Francesco – curia romana e le sue finanze, sinodalità e contrasto alla pedofilia nella Chiesa –, il secondo costituisce il più consistente pezzo di eredità di questo pontificato, che tuttavia è come un’incompiuta che attende di essere portata a termine. Come per altri aspetti del pontificato, non si è trattato infatti di un tragitto lineare e già predefinito nei contorni, ma di un processo e di correttivi messi in campo in itinere (cf. in questo numero a p. 12).

Guardando retrospettivamente a come tutto questo è iniziato, possiamo vedere con chiarezza che l’intenzione iniziale era quella di riformare un organismo (il Sinodo dei vescovi, strumento della collegialità a servizio del primato), diventato poi un evento (come hanno dimostrato le 6 assemblee convocate), che poi si è trasformato in un processo aperto e affidato a tutte le Chiese locali.

Un work in progress che il 15 marzo scorso, quando già la salute di papa Bergoglio era malferma, è stato sancito dall’approdo della fase «attuativa» del recente Sinodo, indetto nel 2021, in un’«assemblea sinodale» da tenersi nel 2028.

Questa modalità di procedere si è vista all’opera sin dalla prima convocazione firmata dal papa argentino nel 2014 (Assemblea generale straordinaria, 2014, sulla famiglia) e poi nelle successive 5 (cf. riquadro a p. 21).

Far emergere il sommerso: la famiglia

Il primo cenno della volontà d’andare in questa direzione emerse per la prima volta da Francesco, che era stato relatore generale al Sinodo sul ministero episcopale nel 2001 e che veniva dall’esperienza della V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano di Aparecida (2007), nell’intervista concessa alle riviste dei gesuiti dell’agosto 2013:1 occorre – disse il papa – rendere il Sinodo una reale e permanente forma d’aiuto nell’esercizio del primato petrino.

Partecipando l’8 ottobre dello stesso anno alla riunione della Segreteria generale del Sinodo, scelse un tema che non era nella terna che gli fu proposta: la famiglia, una questione pastorale sicuramente urgente su cui la pastorale ordinaria registrava una sorta di «scisma sommerso».2 Vi fu anche una prima e sostanziale modifica del regolamento dell’Assemblea, con un allargamento all’intero popolo di Dio della fase consultiva che precede la stesura dei Lineamenta: come rivista ci facemmo punto di raccolta di numerosi contributi di varia provenienza (cf. Regno-att. 18,2014,609ss) e pubblicammo molti di quelli delle conferenze episcopali.

Il dibattito nelle Chiese locali s’avviò con decisione, nonostante molti scetticismi, rilanciato anche da un concistoro convocato da Francesco nel febbraio 2014, nel quale venne affidata una relazione introduttiva (che doveva essere riservata) al card. Walter Kasper sul tema «La famiglia nell’ordine del creato» (cf. G. Cereti in Regno-att. 6,2014,148), uscita poi su Il Foglio.

Nel frattempo in una lettera del papa rivolta all’allora segretario generale del Sinodo, card. Lorenzo Baldisseri (1.4.2014), una piccola «comunicazione interna» come la definì il canonista Ladislas Orsy (Regno-att. 16,2014,537) – scomparso il 3 aprile di quest’anno a 104 anni – il papa chiarì che riformando il Sinodo desiderava mettere mano a una forma di Governo di «collegialità effettiva» e non solo «affettiva». Il testo infatti diceva: «L’attività sinodale, in virtù dell’ordine episcopale, rispecchierà quella comunione affettiva ed effettiva che costituisce lo scopo precipuo del Sinodo dei vescovi»; il riferimento, scriveva Orsy, è chiaramente al Vaticano II e alla questione del rapporto tra primato e collegialità (cf. Lumen gentium, n. 22).

Oggi, forse, possiamo dire che questo rivolo del percorso non è stato portato sino in fondo. Ma la partenza fu questa.

Al primo Sinodo sulla famiglia s’arrivò con slancio, anche se dal punto di vista metodologico l’impianto era quello di sempre, con tre interventi tenuti da un relatore (il card. P. Erdo): uno d’apertura prima della discussione; uno dopo la discussione e uno finale prima della stesura e della votazione delle Propositiones.

Durante la sua celebrazione vi fu un’inaudita anche se non coerente trasparenza comunicativa del processo sinodale verso l’esterno: erano noti i documenti, gli interventi in aula venivano riassunti senza fare riferimento a chi li aveva pronunciati, salvo poi dare il via libera ai partecipanti nel rilasciare interviste. Ma anche all’interno, con un chiaro invito di Francesco, all’inizio dell’Assemblea, a parlare con parresia. Per la prima volta il testo finale delle Propositiones venne pubblicato con il numero dei «sì» e dei «no» ricevuti.

Questa apertura provocò una sorta di «febbre», specialmente sul versante dei media più conservatori (cf. G. Mocellin in Regno-att. 18,2014,616), che tentarono sia nel 2014 sia nel 2015 di far deragliare il dibattito portandolo all’esterno: e infatti man mano che vennero celebrati gli altri Sinodi, la comunicazione dall’aula sinodale verso l’esterno si è rarefatta e ha finito col ritornare unicamente nei canali ufficiali dei briefing della Sala stampa della Santa Sede: nel Sinodo del 2023 Bergoglio stesso spiegò questa retromarcia nella forma necessaria «di un digiuno della parola pubblica» per non avere la «pressione» dell’«opinione pubblica, fatta dalla nostra mondanità», che si era registrata ai Sinodi sulla famiglia e in quello sull’Amazzonia (cf. Regno-att. 18,2023,558).

Peccato, perché il dibattito instaurato attorno alla Relatio post-disceptationem del 2014, il testo di lavoro su cui elaborare il Documento finale, diede prova di un certo coraggio riprendendo il tema conciliare dei semina Verbi presenti anche in situazioni famigliari irregolari e della necessità che la Chiesa fosse «casa accogliente» anche per le persone omosessuali: è stato un banco di prova di una discussione ufficiale aperta e franca che avrebbe meritato ulteriori approfondimenti.3

Il Sinodo-istituzione diventa un processo

Dal punto di vista dell’evoluzione del processo-Sinodo, il discorso che papa Francesco tenne il 17 ottobre 2015, in occasione dei 50 anni di fondazione dell’istituzione-Sinodo da parte di Paolo VI (cf. Regno-doc. 37,2015,16) costituisce una prima pietra miliare. Assieme alla relazione affidata all’allora arcivescovo di Vienna, card. Christoph Schönborn, esso diventò la base della successiva ricchissima elaborazione teologica che stava diventando nelle intenzioni del papa uno stile per la Chiesa (cf. box qui a fianco);4 l’idea e le innovazioni che man mano furono effettuate nello svolgimento delle diverse assemblee verranno poi recepite nella costituzione apostolica Episcopalis communio del settembre 2018, con un primo riordino della materia che previde, tra l’altro, una celebrazione sinodale suddivisa in tre ampie fasi: preparatoria, celebrativa e attuativa (cf. Regno-doc. 17,2018,528).

Nel 2015 vennero poi ulteriormente ritoccate le procedure e venne abolita la Relatio post-disceptationem; mentre la Relazione finale che scaturì dai lavori fece cautamente un «passo indietro» rispetto a tutte le questioni più calde (cf. Regno-att. 9,2015,578): d’altra parte sia le missive del gruppo dei cardinali contrari alla comunione ai divorziati risposati sia l’imprevisto outing di un ufficiale (poi ex) della Congregazione per la dottrina della fede alla vigilia dell’assise non consentivano sufficienti spazi di mediazione, rimandati all’esortazione postsinodale del papa.

Questa uscirà nel marzo del 2016 (cf. Regno-att. 8,2016,248; Regno-doc. 5,2016,129) col titolo di Amoris laetitia e sarà conosciuta soprattutto per una nota a piè di pagina, la n. 351 del c. VIII, che apre timidamente a una valutazione pastorale dell’amministrazione dei sacramenti a fedeli in situazione «irregolare».

Dopo l’esperienza di questi primi due anni il dibattito acceso supera la questione della forma-Sinodo e s’incentra più sul tema del rapporto tra comunione e comunicazione, tra adesione al magistero e dissenso nella Chiesa (cf. Regno-att. 22,2016,645): una delle linee di frattura che maggiormente segnerà la polarizzazione del dibattito ecclesiale e che creerà una vera e propria fazione anti-Francesco.

Nell’ottobre 2018, secondo le modalità stabilite dalla già menzionata costituzione Episcopalis communio, viene celebrata l’Assemblea sinodale dedicata ai giovani, tema cruciale per il futuro della Chiesa, ma considerata una sorta di tregua rispetto ai temi divisivi delle due precedenti.

 

Data  

Tipologia

Tema

Relatore

Postsinodale

5-19.10.2014

III Assemblea generale straordinaria

Le sfide pastorali

della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione

Péter Erdő

4-25.10.2015

XIV Assemblea generale ordinaria

La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa

e nel mondo contemporaneo

Péter Erdő

Amoris laetitia (19.3.2016)

3-28.10.2018

XV Assemblea generale ordinaria

I giovani, la fede

e il discernimento vocazionale

Sérgio Da Rocha

Christus vivit (25.3.2019)

6-27.10.2019

Assemblea speciale

per la regione panamazzonica

Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale

Cláudio Hummes

Querida Amazonia (2.2.2020)

4-29.10.2023

XVI Assemblea generale ordinaria (I sessione)

Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione

Jean-Claude Hollerich

2-27.10.2024

XVI Assemblea generale ordinaria (II sessione)

 

Jean-Claude Hollerich

 

Chi sono i padri (e le madri) sinodali

Cominciò a fare capolino anche un altro aspetto del processo sinodale: chi sono i partecipanti alle assemblee? Parliamo dei giovani o con i giovani (cf. P. Sequeri in Regno-att. 2,2018,8)? Ma se si allarga la partecipazione a tutto il popolo di Dio, quindi anche ai non-vescovi, persisterà la struttura «Sinodo dei vescovi»?

Allora la risposta fu duplice: da un lato si realizzò a marzo un mini-Sinodo previo con la partecipazione fisica di oltre 300 giovani da tutto il mondo e «virtuale» di altri 15.000 circa in collegamento attraverso i social media.5 Dall’altro per ottobre venne prevista una quota di una cinquantina di giovani uditori. Tuttavia, del Documento finale dell’Assemblea e della sua postsinodale non è rimasta molta traccia.

La questione dei partecipanti era già emersa nel secondo Sinodo sulla famiglia, per un piccolo fatto: tra i sinodali superiori religiosi ve n’era uno, quello dei Piccoli fratelli di Charles de Foucauld, che fu equiparato ai membri (religiosi) chierici e gli venne concesso il diritto di voto. Ma non avvenne allo stesso modo anche per le tre superiore maggiori donne.

La stessa cosa si ripropose nel 2019 per il Sinodo sull’Amazzonia, dove c’erano in totale 35 donne presenti come uditrici; esse cercarono di tematizzarlo consegnando a Francesco una lettera nella quale chiedevano di poter votare almeno il Documento finale. Anche perché la Chiesa amazzonica è donna: catechiste e religiose nelle comunità disperse in luoghi difficilmente raggiungibili erano e sono l’anello imprescindibile di trasmissione, animazione e mantenimento della fede, come testimoniarono i numerosi documenti prodotti dall’intenso lavoro preparatorio nelle Chiese locali che coinvolse più di 100.000 persone (cf. Regno-att. 18,2019,518; 20,2019,621).

Quindi dire «donne» non significava solo rivendicare uno spazio di partecipazione nelle assemblee sinodali, ma parlare di uno stile ecclesiale di cui questa regione era portatrice. Tuttavia non basteranno gli auspici del Documento finale: nella postsinodale di Francesco, Querida Amazonia, egli non prende decisioni né su questo tema né su quello dei viri probati, e più in generale sulla norma del celibato ecclesiastico. Si parla del rito amazzonico – che successivamente prenderà avvio –, e solo a voce il papa affermerà la volontà di riprendere i lavori della Commissione per il diaconato femminile, cosa che avverrà nel 2020.6

Bergoglio, in un appunto pubblicato da La Civiltà cattolica (171[2020] 4085), affermerà che il Sinodo sull’Amazzonia riguardo all’ordinazione sacerdotale dei viri probati non ha manifestato «nessun discernimento»; che esso «è stato un Parlamento ricco, produttivo e persino necessario; ma non più di questo». E questo ha influito nella stesura dell’esortazione apostolica, che non ha chiuso la discussione ma ha rimandato una decisione in merito.

La Segreteria Grech: la «macchina» potenziata

La macchina sinodale ha sicuramente subito una netta messa a punto con la nomina nel settembre 2020 del nuovo segretario generale nella persona di mons. Mario Grech (creato cardinale nel novembre dello stesso anno), che già aveva affiancato nel Sinodo panamazzonico Baldisseri essendo stato chiamato a pochi giorni dall’inizio dell’assise a diventare pro-segretario generale con diritto di successione.

Per quanto riguarda il tema della «partecipazione» dell’intero popolo di Dio (e poi anche di una sua «porzione» nelle assemblee vere e proprie), egli conia il concetto di «restituzione»: quanto è stato elaborato da tutte le Chiese locali e a livello centrale deve essere restituito al popolo di Dio che lo recepisce rielaborandolo (cf. l’intervista in Regno-att. 4,2023,71).

Così il Sinodo sulla «sinodalità» – come tutti ormai lo conoscono –, aperto da papa Francesco nel 2021 e che si svolgerà assemblearmente nel 2023 e nel 2024 vedrà l’attuarsi di una serie di novità. Un’ampia articolazione di fasi diocesane-locali; di una rielaborazione al «centro» (grazie all’istituzione di un gruppo di esperti teologi e biblisti) di un Documento per la tappa continentale che prevede a sua volta una discussione entro gli organismi regionali-continentali delle conferenze episcopali (come il CCEE per l’Europa, la FABC per l’Asia, lo SCEAM per l’Africa ecc.); della stesura dell’Instrumentum laboris.

Di fatto con questo Sinodo, svolto in due sessioni, si arriva alla tematizzazione di un percorso che è un processo: «Il Sinodo è già iniziato», disse a Il Regno il card. Grech, sin dall’indizione nel 2021, ed è costituito dalle varie tappe di cui l’ascolto di tutto il popolo di Dio è una di quelle fondamentali. Citando Lumen gentium, il cardinale maltese parlò, ad esempio, del Documento per la tappa continentale come di un grande contenitore del «discernimento proveniente dal popolo di Dio» (Regno-att. 4,2013,71) in vista della missione evangelizzatrice della Chiesa, facendo della sinodalità la cifra interpretativa della vita ecclesiale grazie alla quale «saremo poi in grado di dare risposta alle altre domande che il popolo di Dio sta ponendo oggi: il ruolo delle donne, la partecipazione di tutti, gli abusi, il clericalismo».

Sulla strada si materializza tuttavia un primo ostacolo: quello della diversità di approcci, priorità e visioni, nonostante il ripetuto mantra dell’unità che non significa uniformità. Già i precedenti Sinodi ne avevano dato qualche assaggio; oggi quelle divisioni – sui temi della morale e sul rapporto di questi nella vita pubblica – si ripresentano più agguerrite e affilate, come nel caso dell’Assemblea continentale europea di Praga, tenuta nel febbraio 2023.

Il pregio di quell’incontro fu la capacità di mettere nero su bianco nel testo conclusivo un elenco di azioni prioritarie in vista delle due successive assemblee: «Approfondire la pratica, la teologia e l’ermeneutica della sinodalità; affrontare il significato di una Chiesa tutta ministeriale, con tutto quello che ne consegue; esplorare forme per un esercizio sinodale dell’autorità; chiarire i criteri di discernimento per il processo sinodale e a che livello, da quello locale a quello universale, vanno prese le decisioni; prendere concrete e coraggiose decisioni sul ruolo delle donne all’interno della Chiesa; considerare le tensioni intorno alla liturgia, in modo da ricomprendere sinodalmente l’eucaristia come fonte della comunione; curare la formazione alla sinodalità di tutto il popolo di Dio, con particolare riguardo al discernimento dei segni dei tempi in vista dello svolgimento della comune missione; rinnovare il senso vivo della missione, superando la frattura tra fede e cultura per tornare a portare il Vangelo nel sentire del popolo, trovando un linguaggio capace di articolare tradizione e aggiornamento» (Regno-att. 4,2023,74). L’elenco era tanto preciso quanto vasto.

La sinodalità dei tavoli

La strada verso la celebrazione delle due assemblee ha previsto innanzitutto – anche questa era una novità – alcuni giorni di ritiro spirituale fuori Roma prima delle riunioni in Aula Paolo VI (sempre precedute dalle meditazioni spirituali del domenicano e oggi cardinale Timothy Radcliffe e della religiosa Maria Ignazia Angelini). Poi ha messo in campo il modello delle «conversazioni nello Spirito» guidate dai «facilitatori», uno per ciascuno dei tavoli che hanno caratterizzato anche visivamente i due appuntamenti (in uno sedeva anche il pontefice); il tutto in un continuo scambio tra tavoli e assemblea, fino ad arrivare alla stesura e votazione del Documento di sintesi (2023) e del Documento finale (2024), rispetto ai quali papa Francesco non ha prodotto nessuna esortazione apostolica specifica.

Ulteriore novità è stata quella dell’entrata di un manipolo di donne tra i votanti alle due Assemblee (cf. Regno-att. 10,2023,277): innanzitutto la sottosegretaria del Sinodo dei vescovi, nominata nel febbraio del 2021, la saveriana francese Nathalie Becquart; e poi, come recita un comunicato della Segreteria del Sinodo del 26 aprile 2023, 5 religiose (elette dal relativo organismo di rappresentanza), 70 membri laici designati dal pontefice su indicazione delle Chiese locali (di cui almeno il 50% donne, con la presenza anche di giovani), oltre ad altri nominati dal papa.

Il tutto pensando a un valore di «memoria» dell’intero popolo di Dio e non di «rappresentanza», nel senso politico del termine, entro un organismo, il Sinodo dei vescovi, che non perde quindi la sua principale caratteristica di organismo episcopale.

La sfumatura apparirà ancora più chiaramente quando nel marzo 2025 si parlerà di un’«Assemblea ecclesiale» (cf. Re-blog, 23.3.2025, bit.ly/3YsICIb), quindi di un organismo all’interno del quale sono invece rappresentate tutte le componenti del corpo ecclesiale, segnatamente quella laicale, che si terrà nel 2028 per valutare la recezione di questo lungo Sinodo di 7 anni, iniziato nel 2021.

Il progressivo spostamento da istituzione a evento a processo spiega anche il perché dalle due assemblee non siano emerse decisioni specifiche, ma neppure divisioni, anzi: per molti partecipanti esse hanno rappresentato dei veri e arricchenti momenti ecclesiali e spirituali, dove la presenza di esperti teologi ha consentito di sbloccare dibattiti nei tavoli fermi tra sensibilità diverse (cf. Regno-att. 20,2023,622; Regno-att. 20,2024,599).

Il dissenso tra Chiese disallineate (cf. Re-blog, 6.2.2023, bit.ly/3GrOrzK) era il pericolo che il nuovo corso del Sinodo dei vescovi ha voluto con ogni energia evitare: per esempio sottraendo al dibattito sinodale le tematiche più scottanti,7 affidate invece a 10 «commissioni di studio», il cui statuto venne prefigurato nel dicembre 2023, precisato nel marzo 2024 (cf. Regno-att. 8,2024,217) e poi fatto terminare oltre l’Assemblea sinodale stessa, nel giugno 2025 (con un certo dibattito attorno anche ai criteri di scelta sui loro componenti).

Tra l’altro in questo modo la struttura-Sinodo dei vescovi ha ampliato notevolmente il suo raggio d’azione: si deve tener conto, infatti, che dall’ottobre 2023 esistono anche una «Commissione canonistica istituita a servizio del Sinodo d’intesa con il Dicastero per i testi legislativi», presieduta dal canonista Filippo Iannone, e un «Forum permanente» per «approfondire gli aspetti teologici, giuridici, pastorali, comunicativi della sinodalità della Chiesa».

Gestire il dissenso e l’imprevedibilità

Sempre in tema di dissenso e della sua possibile gestione, tra novembre e dicembre 2023 avvennero due fatti che, se da un lato tolsero anch’essi il tema dall’ordine del giorno sinodale, dall’altro contribuirono ad aggravare il solco tra possibilisti e rigidi in ambito morale e – di conseguenza – tra favorevoli e contrari al pontificato, accusato apertamente dai secondi di «relativismo» (cf. in questo numero a p. 26).

Mi riferisco alla pubblicazione da parte del Dicastero per la dottrina della fede dei Responsa ad dubia (8 novembre; cf. Regno-att. 20,2023,631) relativi alla partecipazione ai sacramenti del battesimo e del matrimonio di persone transessuali e omoaffettive e della dichiarazione Fiducia supplicans (18 dicembre; cf. Regno-att. 2,2024,9) sul senso pastorale delle benedizioni, in specifico, delle coppie omosessuali, a cui è seguita (4 gennaio) una lunga nota a stampa di chiarimento: in effetti il vespaio sollevato dai due testi e soprattutto le dichiarazioni di alcuni leader di Chiese locali (segnatamente africane) fortemente critici contro temi considerati «occidentali» hanno segnalato spaccature profonde non facilmente recuperabili con qualche giornata di confronto vis à vis.

Anche perché nello sviluppo della sinodalità, intesa nel suo senso più ampio, vi è un ulteriore elemento che il pontificato di Francesco ha incoraggiato – a cui qui possiamo solo accennare –: la sua interpretazione come stile e il suo utilizzo come forma da parte di numerose Chiese locali.

La pubblicazione nel 2023 dei testi vaticani sopra citati ha in qualche modo voluto sottrarre il tema alla discussione anche al tavolo della trattativa tra Roma e la Chiesa tedesca, che aveva avviato nel 2019 (a valle della grave crisi provocata dagli abusi e dalle violenze nella Chiesa) un articolato «Cammino sinodale» che ha compreso anche il tema dell’omosessualità (peraltro trattato allo stesso modo, ma in sordina, da altre Chiese locali).8 Poiché tuttavia il processo locale aveva portato a decisioni il cui impatto stava sovrapponendosi alle discussioni del Sinodo dei vescovi, sicuramente su alcuni temi ancora acerbe, Roma e, per certi aspetti, inaspettatamente anche lo stesso Francesco, avevano deciso di fermarne l’implementazione.

Il punto è che la sinodalità, non solo nei processi consultivi realizzati in vista delle celebrazioni romane, ha attivato risorse e riflessioni a tutte le latitudini, intersecando e intrecciando tempi e temi con il centro: l’esempio tedesco è forse uno dei più eclatanti, ma si può annoverare il Concilio plenario australiano (avviato nel 2016), il lavoro capillare in molti contesti latinoamericani e asiatici e anche in quello italiano.

Proprio la celebrazione della II Assembla sinodale nella nostra Penisola ha proposto un esito imprevisto che interroga nuovamente sulla necessaria visione complessiva che si ha oggi del termine «sinodalità», ma anche della sua concreta processualità (cf. Regno-att. 8,2025,195).

Lungo il pontificato di Francesco essa è diventata occasione di ripensamento (e magari, in un futuro non remoto, di riforma) della Chiesa (ecclesiologia), a volte spunto per far nascere nuove forme pastorali e non solo (ecclesiogenesi) e oggi, alla vigilia del conclave, possiamo dire con buona certezza che non abbandonerà la comunità cattolica a breve, anche se dovrà essere rimessa a punto dal prossimo pontificato.

Concludo riprendendo un’affermazione del teologo Christoph Theobald (cf. Regno-att. 20,2024,599): con la forma sinodale propugnata da papa Francesco «siamo usciti da un modello di Chiesa» e siamo entrati in una «fase dai contorni non prevedibili». D’altra parte «l’imprevedibilità della storia umana» fa parte dell’«insondabile ricchezza di Gesù».

Proprio la seconda riforma di Francesco è in realtà la prima per importanza, perché, rendendo concreta la circolarità tra missione, ascolto della Parola e reale partecipazione di tutto il popolo di Dio, pone le condizioni perché la Chiesa possa vivere e testimoniare la fede nel mondo contemporaneo. Ora occorrerà tirare i tanti fili di questo tessuto per vedere la trama che ne è venuta.

 

Maria Elisabetta Gandolfi

Tipo Articolo
Tema Francesco
Area
Nazioni

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