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Attualità
Attualità, 2/2023, 15/01/2023, pag. 42

L’ultimo Natale di Giovanni XXIX

Mariapia Veladiano

Muore un papa, in questo racconto. Piccolo straordinario racconto uscito sull’Independent nel 1988.
Un papa che da più di vent’anni è sparito dal mondo e il cui essere stato papa è per lui un ricordo confuso, appena tenuto a galla da piccoli affioramenti di memoria. L’ultimo Natale di Giovanni XXIX è opera di Graham Green e in Italia è stata pubblicata nel 1994 dall’editrice vicentina La Locusta, straordinaria impresa editoriale nata dalla passione del suo creatore, Rienzo Colla, per la fede, la verità, la bellezza. Si tratta di più di trecento libretti pubblicati fra il 1954 e il 2004, a volte sottilissimi, tutti bianchi, coperti di carta velina trasparente, caratteri di copertina rossi, pagine da aprire con un tagliacarte, autori che sono un programma: Mazzolari (La Locusta nasce per pubblicare lui che in quel momento nessuno pubblicava), Rebora, Rilke, Turoldo, Maritain, italiani e stranieri, spesso scritti sconosciuti pescati dalla cultura libera e curiosa dell’editore, inediti, come questo di Greene.

C’è un vecchio che vive e dorme, ormai da molti anni, «in un’unica stanza, con una piccola cucina e un gabinetto» (5). Una volta al mese arriva una esigua pensione «da Chissadove» (maiuscolo nel testo) «perché lui non sapeva da dove venisse». Con la pensione compra quel che gli basta per vivere, e a lui basta quasi solo il pane.

Non ricorda il suo nome, non comunica con i vicini perché sente che hanno paura di rivolgergli la parola, come se sapessero qualcosa di lui mentre lui non sa più niente di sé. Ma una donna in quegli anni in un’occasione lo ha chiamato Giovanni. Sa di essere tenuto d’occhio da qualcuno, si alternano persone fuori dalla sua casa, una volta gli è venuto di salutare una di queste: «Che Dio la benedica, amico» ma «l’uomo aveva avuto un sobbalzo, come per una fitta di dolore, e aveva voltato le spalle» (6).

Un giorno uno sconosciuto gli consegna un passaporto intestato a un nome che non conosce con un visto per un paese che non ha pensato mai di visitare. Gli dice che il 25 del mese qualcun altro verrà a prenderlo per accompagnarlo in aeroporto. La data gli sveglia un ricordo, perché dal momento che quello è il mese di dicembre, allora il 25 è il giorno di Natale. «Il giorno di Natale è stato abolito più di vent’anni fa. Dopo quell’incidente» (6) gli risponde lo sconosciuto. L’incidente il vecchio lo ricorda vagamente, un rumore, secco, un lampo, giorni difficili e poi il risveglio nella stanza in cui vive. Un attentato? Rimasto solo si chiede come sia possibile abolire un giorno e nel mentre che se lo chiede alza gli occhi verso un piccolo crocifisso in legno che ha trovato due anni prima in un bidone della spazzatura, buttato da qualche vicino. Manca un braccio, sia della croce che della persona, al crocifisso, troncato in qualche incidente.

«E tu? Hanno abolito anche te?», gli chiede. «In un certo senso c’era una comunicazione tra loro, come se avessero dei ricordi in comune» (7). Il giorno arriva, il vecchio impacchetta le poche cose che possiede, lo sconosciuto che lo prende in carico gli sottrae, scandalizzato, un libretto «di storia antica» (10) che qualche controllore negligente gli ha colpevolmente lasciato – un piccolo Vangelo? – e un ufficiale gentile glielo restituisce, perché «questo libro non rappresenta più un pericolo adesso» (13).

E scopriamo, grazie alle discrete domande del vecchio, che il mondo ha trovato «stabilità e pace» (14), il nuovo Mondo Unito è governato da un Generale e l’aeroplano straordinario che lo ha imbarcato come unico passeggero lo sta portando proprio da lui. Intanto l’ossequio e lo sfarzo che lo circondano stuzzicano i ricordi e anche il vestito che trova in albergo, una cotta e una cappa, bianche, «prese dal Museo dei Miti» (27) gli spiega un ufficiale, che gli mette anche l’anello al dito. Il dialogo con il Generale chiarisce un passato che in qualche modo il vecchio ha ormai ricostruito.

L’ultimo papa, Giovanni XXIX, è anche ormai l’ultimo cristiano, e la storia va chiusa in modo solenne, dal Generale stesso, che lo invita alla sua ultima cena, ma il papa rifiuta, e che gli offre un calice di vino, e questo  invece il papa lo accetta. Segue lo sparo. E il dubbio.

Mille fili si tendono carsici e discretissimi in questo racconto. Bisogna essere dentro, per vederli, come capita nella fede, che si rivela solo a chi per qualche misteriosa chiamata, a volte di Dio direttamente, a volte degli uomini, ha detto un giorno sì. Fra l’abisso possibile del non credere e quello possibile del credere scelgo, scelgo di credere e poi gli occhi e i sensi tutti cambiano e c’è un altro vedere.

C’è il filo della solitudine. Sarà anche un mondo che ha fieramente sconfitto la guerra, ma sono tutti così soli, non vedo, non sento, non parlo. I vicini di condominio, i guardiani che si susseguono a distanza, anche il papa certo, ma non del tutto, con quel libriccino e quel crocifisso che si porta appresso fin dal Generale.

C’è il filo di un’umanità che non cede al pensiero unico. Qualcuno dopo l’attentato gli ha lasciato il libriccino, un vicino per vent’anni ha tenuto in casa un crocifisso prima di buttarlo nella spazzatura forse per paura, una donna gli restituisce il nome sia pure di sfuggita, un ufficiale interpreta le leggi in modo libero.  «Noi rischiamo di fare della nostra fede una cosa da Museo», ha ammonito papa Francesco (al Regina caeli del giorno di Pentecoste, 5 giugno 2022).

Questo papa senza memoria, senza Chiesa, senza insegne, che mangia appena solo pane e, solo alla fine, beve del vino, offerto da chi lo ucciderà, inconsapevole ministrante che permette il compimento del sacrificio, questo papa senza cerimonie e con un nome che ancora non c’è nella storia, la fede ce l’ha viva e nella sua esiguità, questa fede è così potente da riaprire le porte del pensiero, improvvisamente non più pensiero unico, e della libertà.

 

Tipo Riletture
Tema Cultura e società
Area
Nazioni

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