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Attualità
Attualità, 16/2023, 15/09/2023, pag. 542

Rut e Noemi

Rileggendo oggi un libro biblico

Piero Stefani

Il ricordo è affidato alla memoria, non a una documentazione rigorosa. Anni addietro, la qualificata biblista Irmtraud Fischer, mentre commentava il libro di Rut, di cui è grande esperta,1 affrontò il problema di cosa fosse successo tra la vedova moabita e il suo «riscattatore», il possidente Booz, nella notte sull’aia quando, eseguendo gli ordini di sua suocera Noemi, lei gli scoprì i piedi e gli si sdraiò accanto (Rt 3,4.8). Nel linguaggio biblico, i piedi sono consueti simboli sessuali. Cosa avvenne? Ci fu o non ci fu un amplesso?

Fischer riportò, ironicamente, la risposta di un altro studioso (ed è qui che la memoria latita) secondo la quale tutto dipende dall’età del commentatore. Se si è giovani si è per il sì; se si è in là con gli anni si è per il no. Nella lettura dei testi si è propensi a scovare quanto si è predisposti a trovarvi. Tuttavia, nel nostro caso, si è indotti a sottolineare che quanto un tempo poteva suonare ardito (l’accoppiamento anticipato tra i due), oggi appare declassato a realtà secondaria. Rispetto alla sfera sessuale, l’interesse si è spostato verso altri lidi. Per raggiungerli dovremo percorrere una rotta non breve.

La molteplice ermeneutica di Rut inizia già dalla sua collocazione canonica. Nella Bibbia ebraica (Tanak), il libro fa parte delle cinque meghillot (rotoli), lette in sinagoga nelle principali feste annuali. In particolare, Rut è collegata a Shavuot («Settimane»), ricorrenza che cade nel periodo della mietitura; con il trascorrere del tempo, all’originario significato agricolo si è aggiunto quello memoriale che celebra il dono sinaitico della Torah.

Nella Bibbia cristiana Rut, invece, è posta tra i libri storici nella posizione di raccordo tra i Giudici e il Primo libro di Samuele. Il messaggio chiave del testo viene, quindi, individuato nelle sue ultime righe, là dove si espone la genealogia del re Davide (cf. Rt 4,18-22); chiara la risonanza tra questa scelta e l’inizio del Vangelo di Matteo, dove Rut è una delle quattro donne nominate nella genealogia di Gesù (cf. Mt 1,1-11).

L’opzione che vede in Rut un capitolo della «storia sacra» si pone in tensione con l’andamento irrealistico del testo, contraddistinto tanto da incongruenze climatiche (se c’è carestia a Betlemme è assai improbabile che ci sia abbondanza nel vicino territorio di Moab; cf. Rt 1,6), quanto dal valore simbolico dei nomi dei protagonisti (i mariti morti si chiamano rispettivamente Maclon, «languore», e Chilion, «consunzione», Rut significa «amica» e Orpa, la nuora che torna indietro, «nuca» ecc.).

Non stupisce, quindi, che si affaccino altre interpretazioni di un libro che ha come protagoniste iniziali tre vedove. Rut non vuole, in alcun modo, rescindere il legame umano con la suocera. La sua scelta avvia un processo grazie al quale Rut viene integrata nel popolo d’Israele. In sintesi, emigrati nei campi di Moab, Maclon e Chilion sposano due abitanti del luogo. Dopo la loro morte, tre donne sole sono in marcia verso Betlemme; per Noemi è un ritornare, per Rut e Orpa un andare. La suocera impone alle nuore di tornare indietro.

Solo Orpa ubbidisce al comando. Rut, all’apparenza, disubbidisce. È lei a formulare un ordine rivolto verso sé stessa: «Perché dove andrai tu, andrò anch’io e dove ti fermerai mi fermerò» (Rt 1,16). Per amore di Noemi, Rut diviene anche lei emigrante. Al giorno d’oggi, l’opzione è dotata di potenti e ben individuabili risonanze. 

Dalla libera scelta di non conformarsi alle parole della suocera consegue una obbedienza assoluta; Rut rinuncia a sé stessa e lo fa fino al punto di dare l’impressione – lo abbiamo visto sull’aia – di essere eterodiretta. Ciò vale anche quando si giunge al concepimento e alla maternità. In alcune Chiese protestanti delle Filippine, il libro di Rut è letto nel corso della cerimonia nuziale allo scopo di inculcare nella nuora il rispetto della suocera. Alla fine della vicenda le vicine esclamano: «È nato un figlio a Noemi!» (Rt 4,17), non a Rut. Sono versetti oggi applicabili ad alcune dinamiche connesse all’integrazione delle straniere, specie nel caso di matrimoni misti.

Un’ermeneutica omoaffettiva

A parte il Cantico dei cantici, che, per tanti versi, fa storia a sé, nell’intero Antico Testamento solo i rapporti tra Davide e Giònata, figlio di Saul, sono contraddistinti da un dichiarato ed esplicito amore reciproco. Giònata ama Davide (1Sam 18,3) e viceversa (2Sam 1,26). Ciò non è detto per nessuna delle mogli di Davide. La vitalità (come alcuni preferiscono tradurre la parola nefesh, di solito resa con «anima») di Giònata si lega a quella di Davide: «Giònata fece un patto con Davide perché lo amava come amore della sua vita» (1Sam 18,3).2

Nel corso dello stesso capitolo si apprende che pure Mical, sorella di Giònata, ama Davide; Saul gliela dà in sposa (1Sam 18,27). Irmtraud Fischer rileva che tre versetti dopo la nota sul matrimonio con la figlia del re, si enfatizza di nuovo, a mo’ di contrappunto, che «Giònata figlio di Saul, nutriva grande affetto per Davide» (1Sam 19,1). Si dovrebbe perciò concludere che Davide avesse, contemporaneamente, rapporti eterosessuali con la figlia di Saul e omosessuali con il fratello di quest’ultima.3 I celebri versi recitati da Davide alla morte dell’amato vanno letti in questa chiave: «Una grande pena per te, fratello mio, Giònata! Tu mi eri molto caro. E il tuo amore era per me più prezioso dell’amore di donne» (2Sam 1,26).

Il richiamo al rapporto omosessuale tra Davide e Giònata è noto ed è anche dotato di richiami di ordine pratico e associativo (La tenda di Gionata);4 certamente meno attestato è il ricorso a un’ermeneutica omoaffettiva per leggere i rapporti tra Rut e Noemi. Fischer imbocca risolutamente questa strada.

Data l’arditezza dell’interpretazione, è opportuno riportare un po’ estesamente le parole dell’autrice: «Nell’interpretazione tradizionale le parole di Rut [cf. 1,16-17] sono spesso interpretate come assunzione degli obblighi di cura di suo marito defunto per la madre vedova. Una lettura attenta dell’ebraico, tuttavia, rivela una relazione di qualità diversa già nel v. 14, quando si dice: “Rut era attaccata a lei”. In Gen 2,24 è usato lo stesso termine (…) per designare il rapporto tra marito e moglie, che rende secondario il rapporto primario con i genitori (…) Per lei Noemi è la compagna di vita per la quale è disposta ad abbandonare il suo popolo e la sua (le sue) divinità. Se il giuramento di Rut viene spesso letto ad alta voce ai matrimoni in chiesa di coppie eterosessuali (ovviamente senza considerare che qui una donna si lega a un’altra per tutta la vita!) si è colto intuitivamente, con questa recezione, il kairos di questo giuramento: qui una persona si lega a un’altra con fedeltà per tutta la vita, fino alla tomba (…) A Betlemme non c’è ovviamente alcun pregiudizio contro l’amore tra donne – e ovviamente nemmeno contro l’amore tra due uomini…».5 La notte sull’aia, anche nella sua lettura più spinta, è diventata ormai una scena retrò.

La radice classica

Già nel XII secolo, quando il principio di autorità sembrava indiscutibile, Alano di Lilla – nel De fide catholica (I,30) – scriveva: «Auctoritas cereum habet nasum, id est in diversum potest flecti sensum» («l’autorità è un naso di cera che può essere torto a proprio piacimento»). L’ossequio all’auctoritas consiste nel rispettarne la lettera del discorso, riservandosi, però, il diritto d’interpretarla secondo il proprio modo di vedere.

Non si tratta di puro soggettivismo, in quanto in gioco sono le istanze derivate dal tempo in cui si vive. Siamo, in ogni caso, di fronte a un’ermeneutica consapevole della distanza storica posta tra sé e il documento che si sta interpretando. È lecito farlo; tuttavia, a proposito di Rut e Noemi, occorrerebbe rispondere all’interrogativo perché si continua a cercare tra le pieghe dell’Antico Testamento quanto è affermato in modo più completo, aperto e convincente altrove. Risposte ce ne possono anche essere; tuttavia resta fuori discussione che, su questo fronte, la radice classica della civiltà occidentale è più eloquente di qualsiasi traccia biblica. 

La tensione verso il conseguimento della pienezza reciproca trova, nel Simposio platonico (189c-192d; che non ha nulla da spartire con l’«amore platonico»), un orizzonte mitico molto più saldo di quanto è rinvenibile nella Bibbia. La trama di fondo è nota: gli esseri umani all’origine erano non solo doppi ma anche di tre tipi diversi, maschio-femmina, maschio-maschio, femmina-femmina. Poi furono divisi, e da allora ognuno va alla ricerca della sua metà perduta: «Dico in generale di tutti, uomini e donne, che la razza umana sarà felice nella misura in cui ciascuno realizzerà il suo amore e troverà la sua creatura amata, ritornando alla sua antica condizione» (192c).

 

1 I. Fischer, Rut, Herder, Freiburg i. Br. 22005.

2 Id., La sessualità nell’Antico Testamento. Amore, vizio, piacere sessuale e sofferenza, Queriniana, Brescia 2023, 76.

3 Ivi.

4 Gionata è un progetto di volontariato culturale volto a far «conoscere il cammino che i cristiani LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) fanno ogni giorno nelle loro comunità e nelle varie Chiese», in modo che queste esperienze possano aiutare la società e le Chiese ad aprirsi alla comprensione e all’accoglienza delle persone omosessuali.

5 Fischer, La sessualità nell’Antico Testamento, 73-74.

 

Tipo Parole delle religioni
Tema Teologia Ecumenismo - Dialogo interreligioso
Area
Nazioni

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