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Attualità
Attualità, 12/2023, 15/06/2023, pag. 405

L’Anticristo piacevole

E la nonviolenza può diventare un idolo

Piero Stefani

Opera ultima. Titolo lungo. Vladimir Solov’ëv, I tre dialoghi sulla guerra, il progresso e la fine della storia universale con assieme un breve racconto dell’Anticristo e un’appendice.1 Siamo allo scadere del XIX secolo. La Prefazione dell’autore è datata domenica di Pasqua 1900. Il progetto dei Dialoghi era contenuto in una lettera del 1896. L’opera, temporalmente collocata a fin de siècle, non ha niente da spartire con il clima della Belle époque. Solov’ëv (1853-1900) affidò infatti a essa il suo messaggio conclusivo quando, prese le distanze da precedenti orientamenti teocratici e ridimensionato il predominio da lui attribuito alla teosofia, si orientò verso visioni apocalittiche.

Solov’ëv guardava alla fine («respice finem»). Rispetto alle realtà ultime, egli si affidò a tre certezze ricavate dalla parola di Dio. La prima è che il Vangelo sia predicato su tutta la terra; la seconda è che, nonostante la diffusione della «buona notizia», il Figlio dell’uomo alla sua venuta troverà poca fede sulla terra (cf. Lc 18,8): i veri credenti saranno numericamente insignificanti; la maggior parte dell’umanità seguirà infatti l’Anticristo. Tuttavia dopo una breve, accanita lotta, la vittoria definitiva spetterà alla minoranza credente.

L’immediata conclusione proposta da Solov’ëv rischia di suonare sorprendente: «Da queste tre verità semplici e incontestabili per ogni credente io deduco tutto il piano della politica cristiana» (28). La chiosa si spiega a partire dalla precedente convinzione orientata in senso teocratico. Se è certo che la verità sarà definitivamente accettata solo da una minoranza, bisogna abbandonare l’idea di potenza e di grandezza esterna della teocrazia. Il fine diretto e immediato della politica cristiana è la giustizia e la gloria è una conseguenza che verrà da sé (cf. 29).

Un segno dell’approssimarsi del tempo ultimo consiste nella crescita dell’incredulità. In questo contesto, occorre prendere in considerazione quanto l’inedita situazione richiede ai credenti: «Se l’enorme maggioranza delle persone pensanti rimane del tutto incredula, i pochi credenti divengono per necessità tutti pensatori, secondo la prescrizione dell’apostolo: “Siate fanciulli nel cuore, ma non nella mente” (1Cor 14,20)» (189). Valutazione applicabile, pure a prescindere da un orizzonte apocalittico, ai credenti di oggi; fermo restando che sono troppi i segnali che inducono a consegnare «il diventar pensanti» più alla sfera del «dover essere» che a quella della necessità.

La tonalità d’impianto che regge i Dialoghi è indicata da una domanda iniziale che, pur ponendo due alternative, lascia subito intendere quale sia la risposta. La scelta va compiuta tra, da un lato, una visione del male concepito soltanto come un difetto di natura destinato a scomparire da sé con lo sviluppo del bene e, dall’altro, una prospettiva stando alla quale esso va inteso come «una forza effettiva che domina il mondo»; per rendere impotente il male occorre, quindi, appoggiarsi a «un altro ordine di esistenza» (45). L’autentica essenza della lusinga anticristica sta nella pseudo-convinzione stando alla quale l’aggressività del male è destinata a scomparire in virtù di una riconciliazione universale suscitata, in primis, dalla comparsa di una figura demiurgica.

L’annuncio cristiano di fronte alla violenza

L’Anticristo si presenta con la faccia benevola. Gesù Cristo ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre l’Anticristo li unirà con i benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi. «Sarò il vero rappresentante di quel Dio che fa sorgere il suo sole e per i buoni e per i cattivi e distribuisce la pioggia sui giusti e sugli ingiusti. Il Cristo ha portato la spada. Io porterò la pace». Gesù ha prospettato la presenza di un terribile giudizio finale; l’ultimo giudice sarà però l’Anticristo che farà prevalere la clemenza. Ci sarà anche spazio per la giustizia; essa, però, sarà di taglio distributivo: «Opererò una distinzione fra tutti e a ciascuno darò ciò che gli è necessario» (191).

L’Anticristo, a differenza di Gesù, sarà accolto perché dotato della caratteristica imprescindibile per garantire un simile esito: essere piacevole (cf. 195).

Il bersaglio principale delle critiche di Solov’ëv era rappresentato da Tolstoj. Il displuvio sta nella concezione che i due autori hanno del regno di Dio. Per l’«ultimo» Solov’ëv, esso non può essere privato della sua dimensione escatologica: «Senza la fede nella risurrezione futura di tutti non si può trattare che a parole del regno di Dio: di fatto tutto si riduce al regno della morte» (36s).

Nel 1893 Lev Tolstoj aveva pubblicato Il regno di Dio è in voi. Ovvero il cristianesimo dato non come una dottrina mistica, ma come una morale nuova. Il libro culmina nell’esporre la dottrina della «non-resistenza al male per mezzo del male». Gandhi, a distanza di decenni, assegnò a quel testo un ruolo fondamentale. Lo lesse quando aveva ancora fiducia nella violenza. Quelle pagine lo guarirono dallo scetticismo e lo resero un fermo sostenitore dell’ahimsa (nonviolenza).2

Attribuire una dimensione anticristica a un’opera ispiratrice della nonviolenza gandhiana è un’opzione che suscita qualche sconcerto. Pare un cedimento al fanatismo. Che le religioni siano perennemente esposte a questo rischio è terribile evidenza (di recente se ne è avuta un’ulteriore, tragica conferma nelle vicende legate alla cosiddetta «setta del digiuno» di Shakaola in Kenya).

Altrettanto palese è però il fatto che per Solov’ëv (e certo non solo per lui) l’annuncio evangelico smarrirebbe sé stesso se fosse ricondotto, in toto, a un ambito puramente etico, fosse pure quello contraddistinto dalla nonviolenza integrale. Che il cristianesimo non sia solo etica è affermazione condivisa dalla (quasi) totalità dei credenti.

La domanda di fondo è altra. L’interrogazione più stringente sta nel domandarsi se l’etica cristiana sia compatibile con l’uso di un determinato tipo di violenza o se, al contrario, la piena conformità al messaggio di Gesù implichi l’adozione di una nonviolenza integrale.

Il tema è affrontato in più sezioni dei Tre dialoghi (segnatamente nella I); una sua sintesi particolarmente efficace la si trova nel saggio «Nemesi (in occasione della guerra ispano-americana del 1898)» (221-237) che apre la sezione intitolata Appendici. La visione storica in essa proposta è d’ampio respiro. La tesi di fondo è che la plurisecolare riconquista spagnola fu una guerra condotta in sintonia con il Vangelo. Tuttavia, raggiunta la meta, si smarrì la retta via e il predominio passò a una visione e a una prassi aggressive che ebbero nell’Inquisizione spagnola la loro realizzazione più rappresentativa.

Anche la nonviolenza può essere idolo

Emerge una questione di fondo: la violenza non è forse sempre da condannare? Le parole di Gesù non parlano forse di amore per i nemici e di non resistenza al male? Solov’ëv sostiene che limitarsi a ripetere alla lettera questo o quel passo evangelico si discosta dal cogliere lo spirito delle parole di Gesù.

Ci sono circostanze nelle quali «si può permettere l’uso delle armi (…) senza per questo tradire lo spirito di Cristo, ma al contrario ispirandosi a esso» (223). Per quale ragione s’addiviene a una simile conclusione?

«Gli uomini fedeli a questo spirito si fanno guidare nella loro azione non da precetti esteriori, anche se provengono dal Vangelo secondo la lettera, ma da un giudizio interiore secondo coscienza di una data situazione di vita. Ecco perché sant’Alessio metropolita andò all’Orda a ingraziarsi i tartari e persuase i principi russi a fare atto di sottomissione al khan, come loro legittimo sovrano, mentre, qualche decina di anni dopo, san Sergio Radonežskij diede la propria benedizione a Dmitrij Moskovskij in occasione della stessa rivolta armata contro la stessa Orda (…) E nonostante l’apparente contraddizione, sia Sant’Alessio che San Sergio operarono con lo stesso spirito di Cristo per il bene degli uomini» (223s).

La posizione di Solov’ëv appare ancora influenzata da sue precedenti convinzioni di stampo teocratico. Che lo «spirito di Cristo», sia pure solo in determinate circostanze, conduca alla benedizione delle armi risulta incompatibile con le convinzioni più profonde presenti nella coscienza di un gran numero di credenti. Ciò però deve accompagnarsi alla convinzione che «lo spirito di Cristo» esige una radicale confutazione di ogni presunta assolutezza mondana, ivi compresa quella della nonviolenza integrale.

Anche quest’ultima opzione può trasformarsi in idolo. La storia è e resta contrassegnata dal relativo. In questo senso, l’appello al «giudizio interiore secondo coscienza di una data circostanza di vita» rimane fondamento imprescindibile.

Al dotto musulmano dell’VIII secolo al-Khalil ibn Amad è attribuito questo detto: «Se qualcuno fa del male e in cambio riceve il bene, nel cuore di costui si forma una barriera che lo trattiene dal fare altro male simile».

È fiducia nell’animo umano o illusione? L’alternativa è pratica, non teorica. Si tratta comunque di una possibilità (non di una constatazione) che vale sul piano interpersonale; assai ardua è trascriverla in termini di gruppi, popoli, nazioni e stati.

 

1 Il libro è stato edito nella stessa versione, trad. G. Faccioli, da Marietti, Casale Monferrato (AL) 1975 (1996); Vita e Pensiero, Milano 1995; EDB, Bologna 2021. Le citazioni presenti nell’articolo fanno riferimento all’edizione del 1975. In quelle successive è stata adottata la grafia Solov’ëv. Una traduzione di S. Rybnikova, M. Dal Monte è stata edita da Fede & Cultura, Verona 2019.

2 Composto da a («non»), e hisa, in sanscrito forma desiderativa del verbo han («uccidere» o «nuocere»).

 

Tipo Parole delle religioni
Tema Teologia
Area
Nazioni

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