Chiesa visibile Chiesa invisibile. Sempre pellegrina
Siamo nel tempo della «società liquida», dove la «questione delle istituzioni» e delle loro «mediazioni» viene associata all’aggettivo «autoritario» e «arbitrario». Anche la Chiesa è dentro questo dibattito e, riandando alla lunga e ricca storia della discussione sul rapporto tra realtà visibile e invisibile, emergono gli elementi utili per discernere l’oggi, alla ricerca di un orientamento nel percorso sinodale. Dopo aver quindi passato in rassegna elementi della (variegata) Riforma protestante, della Controriforma di Trento e del Vaticano II (e delle sue questioni aperte), Pierre Gisel, docente di Teologia sistematica all’Università di Losanna, pone la tesi centrale: «La Chiesa non si dà fuori dalla cultura e dovrà resistere a quella tentazione del nostro tempo di essere la realtà resa autonoma e mondiale di un identitario deculturato» e basato su «una rilettura ideologizzata della tradizione da cui proviene». Essa deve essere «eterotopia significativa (…) iscritta in un luogo e determinata nella sua differenza», non s’identifica «in un progetto per il mondo», ma saprà dare valore a «richieste di cui essa non è l’orizzonte, come i riti di passaggio», «luogo di racconto» – a volte «un contro-racconto» – , luogo dove si coltivano pratiche di spiritualità (…) quasi pensate come servizio pubblico per l’umano», «luogo di diaconia attento a urgenze che la società non vede o non vede ancora o di cui non sa come farsi carico».
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