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Attualità
Attualità, 22/2022, 15/12/2022, pag. 735

Unità, non uniformità

Quando la fede smette di dividere

Piero Stefani

Era il 3 febbraio 1943. Una nave americana adibita al trasporto di truppe solcava le gelide acque del Nord Atlantico. A bordo c’erano più di 900 persone. La minaccia maggiore veniva dal profondo. La Dorchester – era questo il suo nome – fu colpita da un siluro lanciato da un sottomarino tedesco. Affondò. Furono salvati soltanto gli uomini, 230, che trovarono posto nelle scialuppe. I giubbotti salvagente si rivelarono insufficienti a contrastare la morte per ipotermia. Sulla superficie delle acque galleggiarono molti cadaveri. La memoria del tragico affondamento è, però, collegata, in larga misura, alla morte di quattro persone affondate assieme all’imbarcazione perché prive di salvagente.

Erano quattro cappellani militari: George L. Fox metodista, Clark V. Poling membro della Reform Church in America, battista, John P. Washington, presbitero cattolico e Alexander D. Goode rabbino appartenente all’ebraismo riformato.

Mentre la nave stava affondando, si legarono assieme sul ponte, esortarono i soldati a non perdersi d’animo, diedero ad altri i loro giubbotti di salvataggio (gesto forse inutile sul piano pratico, ma sommo su quello umano), pregarono e cantarono inni fino a quando il «mar fu sopra lor richiuso». Un testimone afferma che il latino si mescolava all’ebraico e quest’ultimo idioma all’inglese. «Unity without uniformity» è il motto che li ricorda. Ai quattro cappellani, che a causa della loro morte ricevettero il titolo di immortali, è dedicata una cappella inaugurata nel 1951 dal presidente Truman. Nel 1998 una risoluzione del Senato stabilì il 3 febbraio «Four Chaplains Day».

Uno dei libri più programmatici di Ernesto Balducci è intitolato L’uomo planetario. Una sua riedizione inaugurò nel 1990 la collana che coincideva con il nome della stessa casa editrice: cultura della pace.1 Con ogni probabilità, il messaggio portante del libro è riassumibile in queste due frasi: «Conosce veramente l’uomo chi crede nelle sue possibilità ancora inedite»; «L’asse del rapporto con Dio non è più quello cosmologico e nemmeno quello storico, è quello etico».2

L’uomo planetario partecipa alla propria comunità religiosa per aprirsi a tutti coloro che nominalmente non vi appartengono. Egli rifiuta l’idea di considerare Dio un fattore di divisione o di contrapposizione tra gli esseri umani. L’inedito a volte si è già realizzato. L’esempio addotto da p. Balducci è proprio quello dei quattro cappellani della Dorchester.3 Secondo Grady Clark, un sopravvissuto, «l’ultima cosa che vidi furono i quattro cappellani in preghiera per la salvezza degli uomini».4

Uniformità senza unità

Che nel corso del pericolo ci si rivolga al divino è un’eventualità messa in campo anche da spiriti usi alla Realpolitik: «Mentre il cielo si mantiene limpido, il marinaio è tentato di credere che Dio sia troppo lontano per occuparsi del fragile guscio sul quale naviga; ma appena comincia a mugghiare la tempesta, cade in ginocchio e fa voti a qualche Madonna: è il pericolo che avvicina le distanze» (Otto von Bismarck).

È un atteggiamento conosciuto anche dalla Bibbia. Anzi, in essa c’è un caso in cui, nel corso della tempesta, si attua una preghiera interreligiosa: «I marinai impauriti, invocarono ciascuno il proprio dio e gettarono in mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla. Intanto Giona, sceso nel luogo più basso della nave, si era coricato e dormiva profondamente. Gli si avvicinò il capo dell’equipaggio e gli disse: “Che cosa fai così addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio. Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo”» (Gn 1,5s).

Né nell’uno, né nell’altro caso si è di fronte a «uomini planetari». Sono persone che, come la maggior parte di noi, si preoccupano, prima di tutto, di tutelare sé stessi; allorché non si è nelle condizioni di farlo in proprio, si chiede aiuto a colui o a coloro che sono ritenuti più potenti delle creature umane.

Non c’è bisogno di rivolgersi né a storici uomini di potere, né ad astoriche vicende bibliche per ritenere che numerose, e spesso inascoltate, preghiere si sono innalzate e s’innalzano dalle acque del Mediterraneo, un mare un tempo considerato «nostro» all’insegna del potere. Oggi, se si guarda alla solidarietà, è invece obbligo concludere che l’aggettivo possessivo si è alquanto illanguidito. Nonostante le vittime, nell’area mediterranea si è formalmente in tempo di pace.

Di contro p. Balducci indicò, a suo tempo, come «uomini planetari» quattro uomini collocati in piena guerra. Dalle biografie tutto lascia intendere che, in loro, la scelta di Dio si accompagnasse con la convinzione che fosse necessario combattere militarmente la Germania nazista.

Nella guerra le due parti in lotta sono sempre contraddistinte da uniformità di intenti proprio a causa della reciproca mancanza di unità. Al contrario, la cultura della pace tende al conseguimento di un’unità senza uniformità. Tuttavia, nel nostro mondo globalizzato anche quando non si è travolti dal vortice degli scontri bellici, è sempre più attuale constatare la presenza di un’uniformità avversa all’unità.

L’esempio più percepibile, ma di certo non l’unico, è quello dei social. Tutti li usano, dalle più alte autorità spirituali e politiche alle persone più comuni, giovani ma ormai anche persone avanzate negli anni. Moltitudini di individui assumono linguaggi uniformi, eppure questa omogeneità di comunicazione alimenta, innumerevoli volte, dissipazione e perdita di unità. Quando tutti si esprimono allo stesso modo, per affermare sé stessi, non resta che contrapporsi a qualcun altro. Uniformity without unity.

Solidarietà oltre le differenze

Quando è l’ora della guerra, la solidarietà, con chi sta dalla nostra parte, mette in secondo piano differenze in altre circostanze vissute come rilevanti. Un episodio (termine appropriato anche in chiave cinematografica) inventato lo indica in modo suggestivo. È tratto da Paisà, film di Roberto Rossellini (1946). La pellicola segue l’avanzare delle truppe alleate dal Sud al Nord della penisola.

Ormai si è giunti a Sant’Arcangelo di Romagna. In un convento vive una piccola comunità di semplici frati che sta restituendo ai contadini gli animali da cortile tenuti in salvo dalle razzie. Lì la guerra è appena finita.

Tre cappellani militari, un cattolico, un protestante e un ebreo, chiedono ospitalità. Il loro portavoce è chi, legato alla Chiesa di Roma, si destreggia meglio con la lingua. Il padre guardiano, vedendo la loro unità, la associa all’uniformità. Solo più tardi scoprirà la diversità confessionale dei tre. La differenza, non divisiva, per cappellani che avevano condiviso la stessa campagna militare, si dimostrò sconcertante per i frati che, poco devastati dalla guerra, si dimostravano ancora spiritualmente fedeli all’insegnamento ufficiale cattolico.5

Mentre offrono il pasto ai loro tre ospiti, i religiosi digiunano per ottenere la conversione del protestante e dell’ebreo. Il presbitero cattolico, violando consapevolmente la regola del silenzio che vigeva durante il pasto, giudica indimenticabile l’atmosfera ispiratagli da quella santa semplicità. Quando si è a seguito di truppe mandate, a rischio della vita, a combattere e a uccidere, le differenze confessionali divengono irrilevanti; quando torna un attimo di tranquillità, si riaffacciano le precomprensioni di un tempo.

L’esperienza dei tre cappellani immaginari e quella, assai più qualificante, dei quattro cappellani reali attesta che l’unità senza uniformità si raggiunge, non di rado, quando si è di fronte a un nemico da combattere. Si tratta però di una solidarietà obbligata a essere partigiana e quindi non estendibile al gruppo contrapposto.

In tempo sia di guerra sia di pace, esistono persone capaci d’attuare gesti di solidarietà nei confronti di chi si presenta loro semplicemente come essere umano. Nella parabola evangelica il samaritano soccorre chi è qualificato con la caratteristica che tutti ci accomuna: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico» (Lc 10,30). Non importa chi fosse.

Vasilij Grossman, in un suo romanzo, ripropone questo stesso andamento parlando di un vecchio che ospitò una persona bisognosa d’aiuto. Interrogato severamente, gli fu domandato chi fosse quell’uomo e quale fosse il suo nome. L’anziano rispose che lo ignorava, sapeva solo che era un essere umano.6 Atti nobili, degni dell’«uomo planetario».

Tuttavia ci è chiesto di apprendere anche il nome di chi incontriamo. La persona non si risolve nel suo bisogno d’essere aiutato. Lo si capisce, quando il cuore è attento, lungo le strade, nelle corsie degli ospedali, nelle carceri e in molti altri luoghi. Non lo si comprende sul campo di battaglia quando si uccide un nemico di cui non si conosce il nome. Dal canto loro aerei e missili bombardano sempre anonimi. A più largo raggio, è dato affermare che non lo si capisce ogni volta in cui l’uniformità la vince sull’unità, mentre lo si comprende quando si è nelle condizioni di vivere unity with diversity. 

 

1 E. Balducci, L’uomo planetario, ECP, Fiesole (FI) 1990. 

2 Ivi, 16s.

3 Cf. ivi, 165s.

4 Voce «Four Chaplains» in Wikipedia.

5 L’enciclica di Pio XI Mortalium animos che vedeva nel ritorno alla Chiesa di Roma la sola forma ammissibile di ecumenismo è del 1928; mentre, allora, nella liturgia del Venerdì santo si recitava la preghiera Pro perfidis iudaeis.

6 V. Grossman, Stalingrado, Adelphi, Milano 32022, 30.

 

Tipo Parole delle religioni
Tema Teologia
Area
Nazioni

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