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Attualità
Attualità, 20/2022, 15/11/2022, pag. 677

Il sangue prezioso

Miracolo eucaristico e memorie civili

Piero Stefani

A Ferrara, nella basilica di Santa Maria in Vado, si venera un miracolo eucaristico. Risale al giorno di Pasqua del 1171 (28 marzo). L’evento prodigioso è così descritto da Giuseppe Antenore Scalabrini nelle sue Memorie storiche delle chiese di Ferrara e dei suoi borghi (1773): «Vole il Signore manifestare ai miscredenti ed eretici di quel tempo l’esistenza reale del suo corpo e sangue sotto le specie sagramentali nel gran sacrificio dell’altare, quando Pietro da Verona (…) venuto all’atto di spezar l’ostia sagrosanta, da essa ne usì in tal abbondanza il vivo e vero sangue che (…) a vive gozie s’attaccò e spruzzò tutta l’Abside ò sia volto della Capella sotto di cui si celebrava».

Le gocce della volticina sono ancora visibili. Dopo vari interventi architettonici che hanno monumentalizzato l’originaria chiesetta, i segni del miracolo sono conservati in una specie di tempietto che chiude il lato Sud del transetto. A piano terra c’è un altare, mentre due brevi rampe di scale, una per salire e una per scendere, conducono a guardare da vicino, al di là del vetro, le preziose gocce.

Il «sangue prodigioso» è tuttora oggetto di venerazione. Santa Maria in Vado è un santuario e non manca una qualche presenza di pellegrini. Meno noto di altri miracoli eucaristici, nel corso della storia il sito fu visitato da vari papi, l’ultimo dei quali fu Giovanni Paolo II nel 1990. Nell’850° anniversario del miracolo, la diocesi di Ferrara-Comacchio ha indetto uno speciale Giubileo eucaristico. La lettera pastorale L’eucaristia, sacramento del dono. Orientamenti pastorali per il biennio 2021-2023, promulgata dall’arcivescovo Gian Carlo Perego, prende lo spunto proprio dal citato anniversario.

Le ripetute attenzioni riservate al miracolo eucaristico sono, di norma, disgiunte dal contesto architettonico in cui si colloca il tempietto; la struttura è circondata a destra e sinistra dalle due cappelle laterali Varani e Calcagnini. Negli anni Venti del secolo scorso, le due cappelle sono state trasformate in memoriale ai caduti di tutte le guerre. Almeno questa è la dicitura consueta con cui vengono denominate e pubblicamente ricordate in determinate occasioni, a iniziare dal 4 novembre «giornata delle forze armate». A uno sguardo attento, il discorso diventa più articolato.

Nelle piccole lapidi marmoree poste sulle pareti prevalgono di gran lunga, come ovunque in Italia, i nomi dei caduti nella Grande guerra; non ci sono però solo loro. Sono infatti elencati anche i caduti del Risorgimento, della battaglia di Adua, della guerra di Libia e della guerra dell’Africa orientale.

Nella cappella Varani è stata in seguito aggiunta una colonnina sovrastata da un elmetto, sotto di esso una piccola ciotola contiene la terra del Don in ricordo della campagna di Russia. Che si tratti di un inserimento successivo è evidente dal fatto che l’impianto delle cappelle risale, come si è detto, agli anni Venti.

All’atto dell’inaugurazione la titolazione ufficiale fu «Cappelle votive in memoria dei caduti in guerra e dei martiri fascisti», nello specifico si trattava dei 14 uomini periti durante i sanguinosi scontri armati con i gruppi socialisti locali che ebbero luogo prima dell’avvento del regime. Anche se ben pochi se ne accorgono, al centro della cappella Varani è tuttora visibile un fascio formato con le pietruzze usate per il pavimento. 

Accanto alla celebrazione di molti caduti

Il simbolo impresso nella pavimentazione fascista non è prorompente; un discorso diverso vale per la lapide, secondo certe fonti dettata dal parroco d’allora e posta al centro della parete meridionale. Vi si legge: «Guerra di redenzione 24 maggio 1915 – 4 novembre 1918 in memoria dei caduti a ricordo dei viventi ad esempio dei posteri». Davanti a essa è esposta una bandiera italiana.

Senza dubbio il termine «redenzione» va, in primis, collegato alle «terre irredente», espressione coniata nel 1877 da Matteo Renato Imbriani in occasione del funerale del padre. Tuttavia la scelta di collocare la lapide accanto al tempietto del miracolo eucaristico vuole trasmettere un evidente messaggio sacrificale. Dopo l’immane numero di morti della Prima guerra mondiale (del tutto inimmaginabili all’epoca di Imbriani), il sangue versato doveva essere caricato di un significato redentivo in qualche modo accostabile a quello del sacrificio di Gesù Cristo. Si tratta di una retorica transitata senza mutamenti attraverso decenni.

A quanto riferisce un giornale locale, ancora il 24 maggio 2014, il vicepresidente dell’associazione Nastro Azzurro (che raduna i decorati al valor militare) avrebbe pubblicamente affermato che la cappella è stata trasformata in sacrario per comparare il sangue del miracolo a quello innocente di tanti soldati.

La linea pastorale seguita in questi anni sia dalla diocesi sia dall’unità pastorale di cui fa parte Santa Maria in Vado non è quella indicata dalle parole del vicepresidente. La si potrebbe etichettare con l’espressione di «separati in casa»: le due realtà coabitano ma si ignorano. Ci si affida al fatto che la devozione al sangue prodigioso non s’accorga dell’esistenza del culto secolare riservato a un altro genere di sangue.

Si prega per la pace e si chiudono gli occhi su un sacrario di caduti celebrati, nell’intenzione originaria, in modo selettivo e ideologico, legato alla logica amico-nemico. È un paradosso solo apparente affermare che la storia condiziona soprattutto chi non la conosce. Far affidamento al velo dell’ignoranza è sempre operazione controproducente. Come fiume carsico, certe costanti ritornano. Anche se non si presentano mai allo stesso modo, sono pur sempre dotate di sotterranee affinità.

Si è soliti dire che tutti i caduti meritano rispetto, una frase più che condivisibile a patto di non estenderla a tutte le ideologie o visioni del mondo o agli interessi politici ed economici che hanno portato tanta gente a morire. In tanti casi il pensiero rivolto ai caduti esige di respingere gli ideali in base ai quali molti di loro sono morti.

In epoca di guerra, di preghiera e marcia della pace le due cappelle potrebbero diventare significativi luoghi di riflessione civile ed ecclesiale. Occorrerebbe però guardarle apertamente, facendo propria una modalità in cui il rispetto sia congiunto al pensiero critico. Nell’ambito peculiare alla comunità dei credenti, l’accostamento tra il miracolo eucaristico e la celebrazione dei caduti in quelle guerre (tre delle quali di carattere espansionistico-coloniale)1 dovrebbe indurre a riflettere sulle derive insite nella concezione, accentuatamente se non esclusivamente, sacrificale attribuita per secoli all’eucaristia (di cui vi sono corpose tracce pure nel Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 1356-1372). 

Certo, si è sempre sostenuto in base alla Scrittura che il sacrificio di Gesù sulla croce è unico e irripetibile (cf. Rm 6,10; Eb 7,27; 9,12.26-28). L’eucaristia è memoria visibile ed efficace di quel sacrificio, non un suo rinnovamento. Tuttavia, anche con queste precisazioni l’eucaristia fu troppo a lungo strettamente vincolata soltanto al sangue versato, vale a dire unicamente alla morte e non già anche alla risurrezione.

Anzi, per conformarsi appieno al modo in cui viene celebrato dall’assemblea liturgica, l’arco deve essere ancora più ampio: «Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua riurrezione, nell’attesa della tua venuta». Solo in virtù dell’annuncio, della proclamazione e dell’attesa la memoria eucaristica del sangue versato sulla croce diventa voce imperativa affinché nessun’altro sangue sia più versato.

Per un restauro non solo di facciata

Da sempre questo tempio rappresenta, per i ferraresi, un punto di riferimento in cui riconoscersi e nel quale custodire i propri ideali, sociali oltre che religiosi. Coloro che, nel corso dei secoli, si sono avvicendati alla guida della città – prima i membri della casa d’Este, poi i legati pontifici, infine i rappresentanti del Partito fascista – ne hanno sfruttato dunque il potere d’aggregazione e d’identificazione, intervenendo spesso con operazioni di abbellimento e restauro che risultassero significative per sostenere la propria causa.

Riportata al suo antico splendore dopo numerose campagne di restauri – un importante ciclo di lavori risale agli anni 1993-2000, mentre in seguito al sisma del 2012 si sono resi necessari altri interventi – la basilica di Santa Maria in Vado ancora oggi rappresenta un centro devozionale e artistico di grande interesse per la città, ed è frequentata sia dai turisti sia dai molti fedeli che spesso si possono incontrare fra le sue mura.

La particolare storia di questo tempio, unitamente al pregio delle opere d’arte in esso custodite, ha contribuito ad accrescerne l’importanza all’interno dell’immaginario ferrarese; una fortissima valenza simbolica, sempre presente in tutte le epoche, ha saputo sostenere ideologie di volta in volta diverse, e tuttora la rende portatrice di una suggestiva aura sacrale.

 

1 Solo in epoca recente e lentamente ci si sta, per esempio, rendendo conto della gravità dei crimini commessi dall’esercito italiano durante la guerra di Etiopia: si pensi alle stragi del 1937 prima a Debre Libanòs, poi ad Addis Abeba.

 

Tipo Parole delle religioni
Tema Cultura e società Ecumenismo - Dialogo interreligioso
Area
Nazioni

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