Francesco - Alla curia e al corpo diplomatico: no alle ideologie
Globalizzazione dei problemi e mondanità spirituale
Tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, gli appuntamenti tradizionali con la curia e il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede consentono al papa di fare un bilancio dell’anno trascorso e delle dinamiche in atto all’interno della Chiesa. A questi s’aggiunge il tradizionale Messaggio per la Giornata mondiale della pace. L’insieme dei tre appuntamenti riserva annotazioni utili per comprendere lo svolgimento del pontificato. Due sono i temi centrali: la globalizzazione dei problemi e il rischio di risposte ideologiche.
Tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, gli appuntamenti tradizionali con la curia e il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede consentono al papa di fare un bilancio dell’anno trascorso e delle dinamiche in atto all’interno della Chiesa. A questi s’aggiunge il tradizionale Messaggio per la Giornata mondiale della pace. L’insieme dei tre appuntamenti riserva annotazioni utili per comprendere lo svolgimento del pontificato. Due sono i temi centrali: la globalizzazione dei problemi e il rischio di risposte ideologiche.
Nel discorso al corpo diplomatico (10 gennaio) papa Francesco ha ribadito come «tutte le grandi questioni del nostro tempo siano questioni globali». A cominciare dal dramma della pandemia. Qui le sottolineature sono due: da un lato il tema della giustizia nell’accesso ai vaccini per tutti i paesi e dall’altro l’affermarsi di un’ideologia antiscientifica che rischia d’essere altrettanto dannosa. «Viviamo in un mondo dai forti contrasti ideologici. Tante volte ci si lascia determinare dall’ideologia del momento, spesso costruita su notizie infondate o fatti scarsamente documentati. Ogni affermazione ideologica recide i legami della ragione umana con la realtà oggettiva delle cose. Proprio la pandemia ci impone, invece, una sorta di “cura di realtà”, che richiede di guardare in faccia al problema e d’adottare i rimedi adatti per risolverlo».
Un papa che difende la ricerca e la scienza e stigmatizza la fuga dalla realtà.
Modello Europa
Non è mancata la sequenza delle situazioni ancora critiche, quelle di crisi in atto o di conflitti striscianti a livello internazionale. Accanto ai passi avanti nel processo di pace tra Israele e Palestina, Francesco ha elencato le tensioni istituzionali in Libia, come pure gli episodi di violenza a opera del terrorismo internazionale nella regione del Sahel e i conflitti interni in Sudan, Sud Sudan ed Etiopia. E poi l’est europeo: Ucraina e Caucaso meridionale, così come il pericolo di una nuova crisi nei Balcani, in primo luogo in Bosnia Erzegovina. La crisi ucraina, con la possibilità reale di un’annessione da parte della Russia, è in cima alle preoccupazioni del pontefice. A Oriente la situazione in Myanmar e la tragedia dell’Afghanistan.
Qui semmai colpisce il silenzio sulla Cina, sulla situazione di Hong Kong e le tensioni tra Cina e Taiwan. Il silenzio sulla Cina dice di un’oggettiva difficoltà della Santa Sede non solo in relazione all’accordo provvisorio sottoscritto con il Governo cinese sulle nomine episcopali, ma a entrare nello scenario dei difficili rapporti tra Cina e Stati Uniti.
Non mancano le preoccupazioni per il continente americano, Stati Uniti compresi, trattato complessivamente: «Le profonde disuguaglianze, le ingiustizie e la corruzione endemica, nonché le varie forme di povertà che offendono la dignità delle persone, continuano ad alimentare conflitti sociali anche nel continente americano, dove le polarizzazioni sempre più forti non aiutano a risolvere i veri e urgenti problemi dei cittadini, soprattutto dei più poveri e vulnerabili».
Il ricordo dei viaggi apostolici del 2021 (Iraq, Budapest, Cipro, Lesbo), apre le considerazioni sulla questione migratoria. «Occorre vincere l’indifferenza e rigettare il pensiero che i migranti siano un problema di altri. L’esito di tale approccio lo si vede nella disumanizzazione stessa dei migranti concentrati in hotspot, dove finiscono per essere facile preda della criminalità e dei trafficanti di esseri umani, o per tentare disperati tentativi di fuga che a volte si concludono con la morte. Purtroppo, occorre anche rilevare che i migranti stessi sono spesso trasformati in arma di ricatto politico, in una sorta di “merce di contrattazione” che priva le persone della dignità» (cf. anche in questo numero a p. 48).
Spicca l’incoraggiamento all’Unione Europea sui temi migratori, sulla pandemia e sulle questioni climatiche. «In pari tempo, reputo di fondamentale importanza che l’Unione Europea trovi la sua coesione interna nella gestione delle migrazioni, come l’ha saputa trovare per far fronte alle conseguenze della pandemia (…) La capacità di negoziare e trovare soluzioni condivise è uno dei punti di forza dell’Unione Europea e costituisce un valido modello per affrontare in prospettiva le sfide globali che ci attendono».
Se le sfide del nostro tempo interessano tutto il pianeta, la preoccupazione è per la crescente frammentazione delle risposte, che comportano un altrettanto crescente isolamento: «La diplomazia multilaterale attraversa da tempo una crisi di fiducia, dovuta a una ridotta credibilità dei sistemi sociali, governativi e intergovernativi. Importanti risoluzioni, dichiarazioni e decisioni sono spesso prese senza un vero negoziato nel quale tutti i paesi abbiano voce in capitolo. Tale squilibrio, divenuto oggi drammaticamente evidente, genera disaffezione verso gli organismi internazionali da parte di molti stati e indebolisce nel suo complesso il sistema multilaterale, rendendolo sempre meno efficace nell’affrontare le sfide globali».
Cancel culture
Su questa analisi s’apre forse l’affondo più innovativo del discorso, che riguarda una delle tendenze culturali e politiche più insidiose di questo tempo. Dice Francesco: «Il deficit di efficacia di molte organizzazioni internazionali è anche dovuto alla diversa visione, tra i vari membri, degli scopi che esse si dovrebbero prefiggere. Non di rado il baricentro d’interesse si è spostato su tematiche per loro natura divisive e non strettamente attinenti allo scopo dell’organizzazione, con l’esito di agende sempre più dettate da un pensiero che rinnega i fondamenti naturali dell’umanità e le radici culturali che costituiscono l’identità di molti popoli.
Come ho avuto modo di affermare in altre occasioni, ritengo che si tratti di una forma di colonizzazione ideologica, che non lascia spazio alla libertà d’espressione e che oggi assume sempre più la forma di quella cancel culture, che invade tanti ambiti e istituzioni pubbliche. In nome della protezione delle diversità, si finisce per cancellare il senso di ogni identità, con il rischio di far tacere le posizioni che difendono un’idea rispettosa ed equilibrata delle varie sensibilità. Si va elaborando un pensiero unico – pericoloso – costretto a rinnegare la storia, o peggio ancora a riscriverla in base a categorie contemporanee, mentre ogni situazione storica va interpretata secondo l’ermeneutica dell’epoca, non l’ermeneutica di oggi».
Non è un passo indietro rispetto al tema delle richieste di perdono formulate dalla Chiesa a partire da Giovanni Paolo II e poi, seppure in misura meno eclatante, da papa Benedetto e dallo stesso Francesco. Lì il tema aveva una natura strettamente storico-teologica. Qui Francesco si pone su un piano storico-culturale. Esso coinvolge una corretta lettura e memoria responsabile del passato rispetto a un presente ideologico, se riscrive il passato. Questa posizione è fondamentale nel rapporto culturale e religioso tra la Chiesa e la storia. E meriterebbe d’essere approfondita.
L’insistenza che il papa ha posto nel suo Messaggio per la celebrazione della 55a Giornata mondiale della pace (cf. Regno-doc. 1,2022,1) sul tema dell’educazione e della formazione delle nuove generazioni va letta non solo come un criterio di giustizia, ma anche come una posizione anti ideologica sul tema di una matura concezione della cultura.
La lebbra della superbia
L’ultima osservazione va riservata al discorso con il quale il papa ha presentato gli auguri di Natale alla curia il 22 dicembre scorso (cf. Regno-doc. 1,2022,16). Per il secondo anno consecutivo non si è assistito a una critica diretta nei confronti della curia né a riferimenti al percorso della sua riforma; piuttosto si sono uditi toni più generali nei confronti di tutta la Chiesa, certo a cominciare dai pastori. Qui il papa, nell’insistere sullo stile sinodale, sulla partecipazione e sulla comunione come antidoti al clericalismo, ha ripreso uno dei temi a lui più cari: quello della mondanità spirituale. La superbia è per noi come una lebbra, ha detto il papa. Brucia in fretta le radici e i germogli.
La risposta della Chiesa e lo stile del cristiano confidano nell’umiltà. «Umiltà è la capacità di saper abitare senza disperazione, con realismo, gioia e speranza, la nostra umanità; questa umanità amata e benedetta dal Signore. L’umiltà è comprendere che non dobbiamo vergognarci della nostra fragilità. Gesù ci insegna a guardare la nostra miseria con lo stesso amore e tenerezza con cui si guarda un bambino piccolo, fragile, bisognoso di tutto. Senza umiltà cercheremo rassicurazioni, e magari le troveremo, ma certamente non troveremo ciò che ci salva, ciò che può guarirci. Le rassicurazioni sono il frutto più perverso della mondanità spirituale, che rivela la mancanza di fede, di speranza e di carità, e diventano incapacità di saper discernere la verità delle cose».
Gianfranco Brunelli