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Attualità
Attualità, 18/2021, 15/10/2021, pag. 545

Italia - Elezioni amministrative: la natura della vittoria del PD

Franano Lega e 5 Stelle

Gianfranco Brunelli

Come si dice di solito: le elezioni amministrative non sono le politiche. Vero, ma i segnali ci sono tutti. Il Partito democratico (PD) vince stando fermo, direi immobile politicamente, e arretrando elettoralmente di meno. Lega e Movimento 5 Stelle (M5S) perdono la partita elettorale e la prospettiva. Non hanno espresso una linea politica (la Lega salviniana) e non avevano e non hanno trovato un’identità (il M5S).

 

Come si dice di solito: le elezioni amministrative non sono le politiche. Vero, ma i segnali ci sono tutti. Il Partito democratico (PD) vince stando fermo, direi immobile politicamente, e arretrando elettoralmente di meno. Lega e Movimento 5 Stelle (M5S) perdono la partita elettorale e la prospettiva. Non hanno espresso una linea politica (la Lega salviniana) e non avevano e non hanno trovato un’identità (il M5S).

Una legislatura nata con la loro eruzione elettorale e sulla loro convergenza politica sta per finire con la loro dissoluzione. Una dissoluzione politica prima ancora che elettorale. Anche se i numeri non perdonano. L’astensionismo cresciuto enormemente al primo turno, effetto del forte rallentamento degli astenuti nelle elezioni politiche del 2018, fissa un risultato da democrazia bloccata, da ritorno alla cosiddetta «Prima Repubblica», senza la Prima Repubblica.

Le piazze no-vax (meglio: no-qualsiasi-cosa che la comunicazione e i provvedimenti governativi presentino) dicono che il vento anti-sistema soffia ancora. Ed è un vento potenzialmente violento (come si può vedere da quello che è successo con l’assalto alla sede della CGIL a Roma e quello che sta succedendo al porto di Trieste). Dire che hanno perso i populismi è un cortocircuito analitico. La concettualizzazione fascismo/antifascismo non basta, nonostante gli elementi indubbiamente fascisti dell’assalto alla CGIL. La protesta può prendere qualsiasi segno e le piazze possono essere strumentalizzate da gruppi organizzati. Il problema principale sono le piazze.

La partecipazione e i flussi

Il dato della partecipazione è il primo da considerare. Con i dati dell’Istituto Cattaneo alla mano, si nota come il calo subito dalla partecipazione alle attuali comunali è stato il più drastico, se confrontato con le politiche del 2018 e le europee del 2019. Nell’ordine: -15%, -7%, -11%. La differenza che esiste tra la partecipazione alle comunali e la partecipazione alle politiche si è dunque ampliata. In mezzo c’è stata la pandemia. Non ne conosciamo l’incidenza. Ma il calo è impressionante.

Sostiene il Cattaneo: «Le elezioni comunali – che, in una fase della politica italiana che oggi appare ormai lontana, sembravano al centro del confronto e avevano effetti cruciali nel modificare gli scenari politici – oggi sembrano attrarre scarsa attenzione da parte degli elettori: la partecipazione sembra ormai non molto lontana da quella delle elezioni europee, tradizionalmente poco considerate dall’elettorato».

Un dato sociale e culturale sul quale riflettere, visto che le riforme elettorali degli anni Novanta avevano catalizzato la loro espressività democratica proprio sui sindaci, eletti direttamente dagli elettori, mentre il resto del processo riformatore o era fallito o si era fortemente ridotto a seconda del tipo di elezione (politiche, regionali).

Un altro elemento che emerge dalla ricerca dell’Istituto riguarda le differenze tra Nord e Sud. Mentre nelle politiche e nelle europee, il Nord partecipa maggiormente rispetto al Sud, nelle comunali del 2021 le differenze s’annullano. Anzi, emerge un divario a favore del Sud: dallo 0,7% nel 2011 al 2,8% nel 2021. La spiegazione di questa novità deve probabilmente essere cercata nel prevalente «voto di scambio», o personalizzato, tradizionalmente più presente nelle regioni meridionali. Un dato anche questo poco confortante.

Gli spostamenti (flussi) del primo turno (3-4 ottobre) sono i più interessanti, perché riguardano i soggetti politici assieme ai candidati, mentre i ballottaggi del 17 riguardano esclusivamente i candidati.

A Torino, il vantaggio del candidato di centrosinistra, Lo Russo, sembra essere stato determinato dall’aver limitato le perdite verso l’astensione e dall’aver recuperato qualcosa dal bacino elettorale del M5S (1,1%, rispetto alle europee). Vi è stata, peraltro, una perdita non trascurabile (1,7%) di voti che hanno fatto il salto verso il candidato di centrodestra Damilano.

«Nel centrodestra – sottolinea l’Istituto Cattaneo – le perdite verso l’astensione sono state più consistenti. In particolare, è stato l’elettorato della Lega che ha tradito il candidato di centrodestra: le stime dei flussi registrano una perdita consistente verso l’astensione (il 4,2% degli aventi diritto) e perdite minori verso il M5S e verso il candidato di centrosinistra». Il crollo del M5S è stato totale.

A Napoli le stime dei flussi mostrano che la grande vittoria di Manfredi (candidato congiunto di PD e M5S) è stata alimentata da un potente afflusso di voti dall’ampio bacino del M5S: gli elettori pentastellati alle europee erano il 15,5% del corpo elettorale. Una quota si è persa nell’astensione (2,2%) ma il grosso (11,8%) si è riversato sul candidato di centrosinistra. Il PD possedeva un bacino di minore entità (pari al 9,1% del corpo elettorale): una parte si è persa nell’astensione (1,4%), una parte ha scelto il suo vecchio sindaco Bassolino (1,8%), mentre la parte più consistente ha scelto Manfredi.

A Bologna, la vittoria eclatante di Matteo Lepore (centrosinistra) rispetto al suo antagonista Fabio Battistini (centrodestra) sembra determinata dal «carattere asimmetrico dell’astensionismo». «Gli elettori che avevano votato per liste di sinistra o centrosinistra nel 2018 si sono astenuti in una quota molto contenuta e le (poche) assenze dalle urne sono state compensate da una quota più larga di astensionisti del 2018 che stavolta hanno votato per Lepore. Da tutti gli altri partiti, compreso il Movimento 5 Stelle, ci sono stati invece poderosi flussi verso l’astensionismo a fronte dei quali non ci sono stati flussi in entrata di segno opposto».

Se si guarda al passaggio di elettori tra un campo e l’altro, si nota che «il candidato del centrosinistra non attrae quote di elettori che nel 2018 avevano votato per il campo del centrodestra. Al contrario, una quota del 2-3% del corpo elettorale di elettori PD del 2018 ha votato per Battistini nel 2021. Una quota dell’1-2% di elettori PD si è diretta verso candidati terzi o verso l’astensione».

Una democrazia ancora bloccata

Il primo dato osservabile a centrosinistra è quello della mancata saldatura (eccezion fatta per Napoli, dove tuttavia le percentuali PD erano sotto il 10%) tra l’elettorato PD e quello del M5S. Mentre il risultato del PD è tutto interno alla propria capacità di mobilitare i propri elettori.

Una brutta notizia per Letta e per Conte. La strategia che fu prima di Zingaretti, e ora riconfermata da Letta, di privilegiare un’intesa strategica tra i due partiti, saldatasi nell’ultima fase del secondo governo Conte, con l’intento tradizionale della sinistra (prima comunista e poi post-comunista) di annettersi gli alleati, non funziona. Nel caso dell’alleanza con il M5S, l’alleato muore, ma non porta consensi, se non in misura residuale. Quella strategia è saltata nei fatti.

Calenda e Renzi con quel poco che hanno pesano potenzialmente più del M5S. A Torino e a Roma, le due capitali pentastellate, il movimento è fuorigioco. E il PD, dove ancora è forte, vive della propria splendida solitudine. Il che lascia intendere che il PD difficilmente potrà uscire dalla strategia del proporzionalismo. Il centrosinistra non si sa che cosa sia. Figuriamoci il neo-ulivismo. Pur vincendo, il PD non va oltre le colonne d’Ercole della sinistra. E provvederà a raccogliere tutti quei cespugli che hanno a che fare con questa storia insuperata, a cominciare da Bersani e dintorni.

Al centrodestra va persino peggio. La fine del berlusconismo corrisponde alla crisi radicale del centrodestra e all’assenza di un leader che sappia dapprima ricostruire e poi coalizzare quel campo su un disegno democratico ed europeista. Anche qui si muore di proporzionalismo. Il disastro di queste amministrative sta tutto nella competizione interna tra Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni (inchiodata nel proprio passato post-fascista) e nel funambolismo di Salvini. La Meloni vince la sfida elettorale interna, ma non ha possibilità politica. Non è da Fratelli d’Italia che si coalizza il centrodestra.

La legislatura era stata di Salvini e ancora fino a poche settimane fa la Lega era il principale interlocutore del governo Draghi, soprattutto di fronte a un PD piuttosto privo di idee e prospettive politiche per il paese. Ora emerge interamente la sua insufficienza politica.

Fu un errore, da posizione di forza dentro il centrodestra, abbandonarlo per il governo con il M5S. Insistere sulla vittoria (ancorché parziale) del centrodestra nel 2018, avrebbe impresso alla politica italiana altra direzione.

Fu un errore, dopo le elezioni europee del 2019, non eseguire la sinfonia europea al seguito della Merkel e trasformare la Lega nel Partito popolare europeo sezione italiana. In quel caso (l’unico possibile) Salvini avrebbe ereditato non solo quel che resta di Forza Italia, ma tutti i ceti produttivi del paese e un pezzo significativo di cattolicesimo.

Ed è un errore, di fronte a questo governo, radicalizzarsi su qualche tema di risulta per marcare la propria identità (quale?). Oltre che perdere elettoralmente, Salvini si è perso politicamente.

Se il PD eccederà in trionfalismi, dopo queste amministrative, non potrà che spingere i due sconfitti (Lega e M5S) a radicalizzarsi e allora a rischio sarà lo stesso governo Draghi. Risultati troppo sbilanciati anche per una Prima Repubblica e preoccupanti perché senza leader in grado d’immaginare il futuro.

Una democrazia bloccata non significa una democrazia stabile e sicura.

 

Gianfranco Brunelli

Tipo Articolo
Tema Politica Vita internazionale
Area EUROPA
Nazioni

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