Italia - Comunità di Bose: il tarlo del potere
Nelle ultime settimane la Chiesa italiana (e non solo) ha vissuto momenti di sconcerto e sofferenza per il «caso Bose». Un comunicato del 27 maggio della Comunità annunciava che la Santa Sede aveva ordinato al fondatore ed ex priore Enzo Bianchi e ad altri tre membri (Goffredo Boselli, Lino Breda e Antonella Casiraghi) di «separarsi dalla Comunità monastica di Bose e trasferirsi in altro luogo, decadendo da tutti gli incarichi attualmente detenuti». Il segretario di stato vaticano, Pietro Parolin, aveva emanato l’ordine il 13 maggio. E papa Francesco personalmente aveva approvato la decisione «in forma specifica», cioè in modo definitivo e senza possibilità d’appello.
Nelle ultime settimane la Chiesa italiana (e non solo) ha vissuto momenti di sconcerto e sofferenza per il «caso Bose». Un comunicato del 27 maggio della Comunità annunciava che la Santa Sede aveva ordinato al fondatore ed ex priore Enzo Bianchi e ad altri tre membri (Goffredo Boselli, Lino Breda e Antonella Casiraghi) di «separarsi dalla Comunità monastica di Bose e trasferirsi in altro luogo, decadendo da tutti gli incarichi attualmente detenuti». Il segretario di stato vaticano, Pietro Parolin, aveva emanato l’ordine il 13 maggio. E papa Francesco personalmente aveva approvato la decisione «in forma specifica», cioè in modo definitivo e senza possibilità d’appello.
A questo decreto sanzionatorio si è giunti dopo diversi colloqui, nei quali Bianchi, Boselli e Casiraghi hanno rigettato ogni addebito. Alla fine, pur con una decisione sofferta, tutti hanno ubbidito al papa. Enzo Bianchi viene allontanato a tempo indeterminato. Gli altri per 5 anni. L’intervento della Santa Sede è iniziato con una «visita canonica» al monastero, effettuata dal 6 dicembre 2019 al 6 gennaio 2020 da tre visitatori apostolici nominati dal Vaticano. Visita richiesta dalla comunità, sentito l’ordinario locale, sotto la cui giurisdizione ricade Bose, a motivo del suo statuto di «associazione privata di fedeli» di diritto diocesano.
Recita il comunicato della Comunità: «In seguito a serie preoccupazioni pervenute da più parti alla Santa Sede che segnalavano una situazione tesa e problematica nella nostra comunità per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità del fondatore, la gestione del governo e il clima fraterno, il santo padre Francesco ha disposto una visita apostolica, affidata al rev.do p. abate Guillermo León Arboleda Tamayo osb, al rev.do p. Amedeo Cencini fdcc e alla rev.da m. Anne-Emmanuelle Devéche ocso, abbadessa di Blauvac».
Devéche aveva già fatto parte di una precedente «visita fraterna» che l’allora priore Bianchi aveva voluto e in seguito alla quale aveva deciso di dimettersi nel 2017. La nomina di p. Cencini, delegato pontifico ad nutum Sanctae Sedis, con pieni poteri, lascia intendere, proprio per gli incarichi precedentemente espletati, una preoccupazione seria circa possibili episodi di abuso di potere.
«Con lettera del segretario di stato al priore e alla comunità, inoltre, la Santa Sede ha tracciato un cammino di avvenire e di speranza, indicando le linee portanti di un processo di rinnovamento, che confidiamo infonderà rinnovato slancio alla nostra vita monastica ed ecumenica».
Bose ha svolto e interpretato, dal 1965 a oggi, un ruolo propulsivo nel ritorno alle radici della tradizione, alla Chiesa delle origini, voluto dal Vaticano II e nel rinnovamento postconciliare: sul piano spirituale, liturgico, teologico, ecumenico e culturale. La riscoperta e la riproposta delle tradizioni dei primi cristiani – in particolare delle Chiese orientali – ha aperto orizzonti nuovi. Sul piano ecumenico, essa ha istituito importanti legami con le Chiese anglicane, protestanti e in modo speciale con le Chiese ortodosse. Al punto che le sue iniziative di dialogo sono state anche occasione di incontri per la stessa Santa Sede.
Bose non è una comunità monastica tradizionale o neo-monastica. È composta in maggioranza da fratelli non ordinati e da sorelle. E nella sua intuizione iniziale c’è significativamente il tentativo di ristabilire un rapporto fecondo tra monachesimo e laicità. Di qui, anche per le sue indubbie capacità e qualità, il dialogo verso il mondo laico secolare che il fondatore ha svolto in molti contesti. Infine Bose è stata riferimento di giovani e di gruppi cattolici e interconfessionali. Il contraccolpo è pesante.
La Santa Sede non ha messo in questione né la dottrina, né la prassi di vita ecumenica, né altro della Comunità. E in questo ha cercato di salvaguardarne l’esperienza e il ruolo. Tutto si è concentrato su un punto, quello dell’abuso di potere: «l’esercizio dell’autorità del fondatore, la gestione del governo e il clima fraterno». È qui, secondo l’indagine vaticana che non è stata resa pubblica, ma comunicata tempestivamente agli interessati, che c’è il motivo di scandalo.
Il conflitto con il nuovo priore ha assunto un livello che la Comunità non ha più tollerato. L’elezione di Luciano Manicardi era stata in continuità sia con il carisma fondativo sia con il fondatore. Il passaggio di potere tra il fondatore e la generazione successiva è uno dei problemi di fondo nelle successioni d’autorità. Lo è stato e lo è negli ordini e nelle congregazioni religiose antiche (ma qui le norme sono sperimentate e rigide); lo è ancora di più nei nuovi movimenti, nei quali il problema non è ancora stato risolto.
La celebrità di Bianchi, il ruolo internazionale della Comunità hanno reso difficile negli anni il controllo dell’ordinario locale e hanno fatto di Bose e del suo fondatore un mondo a sé. Un’identificazione univoca tra sé e la comunità, a partire dal ruolo pubblico del fondatore, può mettere capo potenzialmente a distorsioni. Spesso nell’esercizio di un potere – vale per ogni potere – si crea una separazione tra la persona e il personaggio, tra la figura, il ruolo pubblico e la forma vitae; e nel rapporto con la comunità può scattare quello che il monachesimo antico, nelle Regole del maestro, stigmatizzava così: «L’arbitrio dei desideri tiene luogo di legge».
Nella difficile transizione istituzionale e spirituale della Chiesa cattolica affrontata da papa Francesco dopo le dimissioni di Benedetto XVI, non solo il tarlo del potere nell’esercizio dell’autorità rappresenta una sfida profonda, di natura teologica ed ecclesiale, ma anche la distinzione tra il concilio Vaticano II e le sue interpretazioni costituisce una linea di sviluppo fondamentale, perché è con il Vaticano II che si è avviato il più radicale processo di rinnovamento della Chiesa contemporanea.
Non è accettabile che ci si arroghi il diritto all’interpretazione autentica del Vaticano II. Spetta a tutta la Chiesa. Nella quale nessuno possiede nulla.
Gianfranco Brunelli