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Attualità
Attualità, 6/2019, 15/03/2019, pag. 131

Santa Sede - Incontro sulla protezione dei minori: liberare le vittime

Dal loro passato e dal radicalismo. Liberare la Chiesa dal clericalismo

Maria Elisabetta Gandolfi

Annunciato il 12 settembre e indetto ufficialmente il 23 novembre 2018, l’incontro in Vaticano su «La protezione dei minori nella Chiesa. Responsibility, accountability, transparency» (21-24 febbraio) a cui Francesco ha invitato tutti i presidenti delle conferenze episcopali internazionali è stato come un’assemblea sinodale. Speciale, sotto ogni punto di vista. Anche da quello mediatico, come avevano intuito le tante testate provenienti da tutto il mondo che gremivano i briefing all’Augustinianum e assediavano mattina e sera gli accessi all’Aula sinodale.

Annunciato il 12 settembre e indetto ufficialmente il 23 novembre 2018, l’incontro in Vaticano su «La protezione dei minori nella Chiesa. Responsibility, accountability, transparency» (21-24 febbraio) a cui Francesco ha invitato tutti i presidenti delle conferenze episcopali internazionali è stato come un’assemblea sinodale. Speciale, sotto ogni punto di vista. Anche da quello mediatico, come avevano intuito le tante testate provenienti da tutto il mondo che gremivano i briefing all’Augustinianum e assediavano mattina e sera gli accessi all’Aula sinodale.

Del sinodo aveva la struttura organizzativa e lo svolgimento,1 oltre alla parte preparatoria, la discussione e la finalità propositiva. C’era un Comitato organizzativo (i cardd. Blase J. Cupich, arcivescovo di Chicago, e Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay e membro del Consiglio dei cardinali; mons. Charles Scicluna, arcivescovo di Malta e segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede; p. Hans Zollner sj, presidente del Centro per la protezione dei minori; Gabriella Gambino e Linda Ghisoni, sottosegretarie del Dicastero vaticano per i laici, la famiglia e la vita, la prima per la sezione Vita, la seconda per la sezione Laici) e un moderatore delle sessioni plenarie, p. Federico Lombardi.

Gli invitati erano vescovi e, diversamente da altri convegni celebrati qualche anno fa,2 erano tutti presidenti delle conferenze episcopali o loro delegati. Inoltre presenziavano i rappresentanti delle Chiese orientali cattoliche, i capi dicastero di curia interessati al tema, i membri del Consiglio dei cardinali e i responsabili della Pontificia commissione per la protezione dei minori; a questi sono stati aggiungi 10 membri dell’Unione internazionale dei superiori religiosi e altrettanti per l’Unione delle superiore femminili e alcune vittime. Per un totale di circa 190 partecipanti.

La (breve) fase preparatoria prevedeva un questionario – anch’esso consueto nella procedura sinodale – inviato ai vescovi (con 5 domande)3 e «l’obbligo» per questi ultimi di venire a Roma dopo aver incontrato nelle proprie diocesi delle vittime di violenze, obbligo al quale quasi tutti hanno ottemperato. E semmai qualcuno non lo avesse fatto, ha avuto tutto il modo e il tempo per recuperare quello che nelle parole del card. Tagle è stato indicato come l’incontro «con le ferite di Cristo (…) condizione per vivere una fede autentica». La centralità delle vittime è quindi innanzitutto teologica.4

Per questo le «vittime» hanno avuto lo spazio fondamentale nell’architettura delle giornate, quello liturgico. Questa è senz’altro stata la prima innovazione. Ogni sessione, infatti, si apriva con una preghiera al centro della quale vi era una testimonianza di persone provenienti da diverse parti del mondo che avevano subito violenze; seguiva poi una preghiera che centrava la supplica sulla richiesta di perdono per il male subito da tutte le vittime, per il fatto di averle ignorate od offese col silenzio o con le parole, per aver tardato ad accoglierle e a credere al loro dolore.

Il nemico è dentro

Particolarmente dura la testimonianza di una donna: «Dall’età di 15 anni ho avuto relazioni sessuali con un prete. Questo è durato 13 anni. Sono stata incinta tre volte e mi ha fatto abortire tre volte».

La centralità di parole taglienti, come solo sanno essere quelle che raccontano una grande sofferenza, è stata poi moltiplicata e amplificata dai cortei fuori dall’aula, di cui i vescovi sentivano parlare o che vedevano di persona attraversando piazza S. Pietro, da incontri che alcuni vescovi (il card. Nichols, arcivescovo di Westminster; il card. R. Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, mons. Pontier, arcivescovo di Marsiglia) hanno avuto con gruppi di vittime, così come il Comitato organizzativo stesso alla viglia dell’incontro.

C’era e c’è un’urgenza:5 far capire che la lotta agli abusi e alle violenze deve essere di tutti, dalla parrocchia alla conferenza episcopale, e che le risposte efficaci e concrete sui fatti del passato e a protezione futura non possono essere rimandate. Perché un fatto è sotto gli occhi di tutti: molti vescovi non hanno agito e non stanno agendo adeguatamente e non solo nei paesi del cosiddetto Terzo mondo.

Ecco quindi l’esigenza da cui è nata questa forma «speciale» di Sinodo: riallineare e spingere l’episcopato mondiale all’azione: come ha detto nella conferenza stampa del 18 febbraio il card. Cupich, ogni singolo vescovo «deve comprendere che il silenzio non è la soluzione. Un leader che ha cura dei propri fedeli non può tacere». E non può aspettare gli eventi.

Per questo occorreva uscire dall’incontro con una proposta «operativa». E per questo è stato consegnato – ulteriore novità – nella prima giornata dei lavori un elenco di 21 punti (una sorta di elenchus anticipato di propositiones operative), come vademecum di buone prassi che ogni Chiesa locale non può ignorare.

In che modo si declina la responsabilità del vescovo di fronte a una denuncia? Poiché i fatti dicono che vi sono ancora dei dubbi, mons. Scicluna (cf. qui a p. 133) ha ripercorso nella sua relazione i passi essenziali del percorso da seguire e ha insistito sul fatto che «la comunità [deve essere] informata del fatto che ha il dovere e il diritto di denunciare».

Ma sappiamo non sempre è così. Lo ha ribadito anche il card. Rubén Salazar Gómez, elencando le colpe dei pastori che spesso le cronache ci consegnano: «Negare la dimensione delle denunce presentate, non ascoltando le vittime (…) trasferendo gli accusati in altri luoghi dove essi continuano ad abusare o cercando di giungere a compromessi monetari per comprare il silenzio. Agendo in questo modo» essi manifestano «chiaramente una mentalità clericale che porta a mettere il mal compreso bene dell’istituzione al di sopra della testimonianza delle persone colpite» e spesso al di sopra delle leggi civili, ritenendo queste ultime «un’indebita ingerenza (…) Dobbiamo riconoscere che il nemico è dentro».

Laici e… donne

Dalla responsabilità quindi il passo è breve verso l’accountability, il dover cioè rendere conto di come nel governo episcopale sia stata gestita (o meno) la relazione con le vittime. E qui si apre l’interrogativo che a cascata ne pone molti altri: chi controlla l’operato del vescovo nella Chiesa locale?

Altri vescovi, la conferenza episcopale regionale o nazionale? Il fatto che a Roma siano stati convocati i presidenti delle conferenze episcopali e che si sia nuovamente insistito sul peso e sul ruolo delle linee guida nazionali va nella direzione di un ripensamento dell’Apostolos suos?

Oppure (o anche insieme) sono i laici? A partire da questa grave crisi, si può ancora pensare che il ruolo del laicato sia solo quello di mero spettatore o di esperto da convocare una tantum? E, soprattutto, «vogliamo davvero questo?», cioè una «Chiesa collegiale e sinodale»? (card. Oswald Gracias).

Nel suo intervento il card. Blase Cupich (cf. Regno-doc. 5,2019,133) da un lato ha ripreso l’idea d’affidare al vescovo metropolita una funzione di supervisione a livello intermedio tra Chiesa locale e universale qualora un confratello non sia all’altezza nella gestione delle denunce; dall’altro ha ribadito che il ruolo del laico non può ridursi a quello di «esperto», che quasi non fosse già parte del corpo ecclesiale.

E parlando di laici, la «Chiesa sinodale» non poteva ignorare la domanda sul ruolo delle donne e su un (necessario) cambio di passo se davvero si vuole che l’aggettivo «sinodale» non rimanga solo un auspicio. Il tema è emerso con forza a seguito della relazione della Ghisoni, in particolare quando la canonista, rispondendo a un intervento critico sull’impostazione del suo testo, ha fatto riferimento al parto.

A quel punto il papa, nel suo primo intervento a braccio in aula ha detto: «Integrare la donna come figura della Chiesa» e «pensare la Chiesa con le categorie della donna»: ora «ho sentito la Chiesa parlare di sé stessa».

Sulla stessa lunghezza d’onda – anche se non tematizzando direttamente la questione di genere – è andato l’intervento di una religiosa, superiora generale della Società del santo bambino Gesù, suor Veronica Openibo. Membro del direttivo dell’Unione delle superiore generali – che alla fine del meeting ha auspicato che alle religiose venga dato il diritto di voto nelle assemblee sinodali –, sister Veronica ha degnamente aperto la sessione dedicata alla trasparenza.

Rivolgendosi con garbo al «fratello Francesco» ed entrando sulla cronaca legata al caso cileno – una delle cause che ha concorso all’indizione dell’incontro vaticano – gli ha manifestato la propria «ammirazione» per «essere così umile da cambiare idea, chiedere scusa e agire: un esempio per tutti noi».

Non solo. Ha ribadito che la pedofilia non è affatto una questione occidentale non presente in Africa o in Asia: per sua esperienza (Stati Uniti e Africa), infatti, ciò che varia è il tabù culturale sul tema della sessualità; poi ha inserito nella categoria «abusi» la violenza sulle religiose nelle strutture di formazione;6 ha definito «inaccettabile» l’idea che alcuni sacerdoti colpevoli «in virtù della loro età avanzata e della loro posizione gerarchica» non siano sottoposti a processo canonico; ha denunciato «la cultura patriarcale nell’ambito della sessualità» a fianco della necessità che una «formazione chiara ed equilibrata sulla sessualità e i suoi confini» venga proposta nei seminari e nelle case di formazione; ha ribadito – lo aveva detto anche Scicluna in un passaggio della sua relazione non ripreso dai media – che laici e religiose e religiosi «responsabili e sensibili» possono «dare una valutazione veritiera e onesta dei candidati alla nomina episcopale».

Al traino dei mass media

Al lungo elenco ha aggiunto altre voci anche il card. Reinhard Marx. Sempre in tema di trasparenza, ha insistito sul rigore dell’amministrazione del governo della Chiesa che – ha detto con una battuta – non è una mania germanica! Essa deve avere due principali caratteristiche: la «trasparenza e la tracciabilità»: in un passato non remoto – ha denunciato il cardinale – vi sono stati casi di dossier «distrutti o nemmeno creati» quando necessari.

Tra le sue proposte per un cambio di passo: la limitazione del «segreto pontificio», «norme procedurali trasparenti e regole per i procedimenti ecclesiastici», la «comunicazione al pubblico del numero dei casi e dei relativi dettagli», la «pubblicazione degli atti giudiziari».

Ma per affrontare la trasparenza non si poteva non parlare dei media, ovvero del soggetto che nel
bene e nel male ha fatto di questo un proprio cavallo di battaglia contro la Chiesa (spesso anche per far dimenticare le proprie opacità). Per la prima volta in un’assise ufficiale in Vaticano, quando ancora per molti vescovi si tratta di una relazione o ingenua o problematica, e per una minoranza strumentale, si è parlato del rapporto tra Chiesa e media e si è chiamata a farlo una giornalista messicana, vaticanista di lungo corso, Valentina Alazraki.

Nel suo testo ha insistito sulla possibile alleanza tra Chiesa e media in nome della ricerca della verità; sul necessario investimento da parte della Chiesa in figure e mezzi informativi professionali che la coadiuvino nella sua missione in una società dell’informazione globale, dove il caso della più sperduta parrocchietta può diventare noto all’altro capo del mondo.

Di fatto anche i promotori dell’incontro hanno ribadito la fiducia nei media non solo ospitando questa relazione, che non ha risparmiato critiche a chi ancora ritiene che la crisi attuale sia addebitabile a un attacco dei media,7 ma anche fornendo ai giornalisti e al pubblico più in generale molti materiali anche d’archivio.8

Tutto questo enorme sforzo basterà a soddisfare le richieste delle vittime? Si riuscirà a colmare il divario tra queste e la Chiesa? In quali tempi si vedranno cambiamenti tali da non smentire le buone prassi che in molte diocesi già esistono ma in altre no?

Per una profonda riforma

L’istituzione avrebbe necessità – lo abbiamo visto – d’interventi di riforma. Già la forma stessa dell’assemblea lo ha reso palese. Ma i tempi per farlo sono lunghi, troppo per le vittime. Esse – lo ha ricordato in una conferenza stampa alla Camera dei deputati Mark Rozzi, membro della Camera dei rappresentanti dello stato della Pennsylvania e a sua volta vittima – hanno una vita sola da ricostruire, non secoli. Il divario potrebbe non essere colmato e ogni ritardo li allontana dall’istituzione e dal suo linguaggio.

Nel discorso pronunciato al termine della messa domenicale celebrata in Sala regia il 24 febbraio (cf. Regno-doc. 5,2019,140) papa Francesco ha dato una serie di indicazioni:9 la tutela dei minori come obiettivo primario; la «serietà impeccabile» come stile per la Chiesa; una sua «vera purificazione»; l’accento sulla «formazione»; l’attuazione delle linee guida; l’«accompagnamento delle vittime», il «perdere tempo» con loro; la cura di ciò che passa nel mondo digitale.

I due punti centrali e decisivi del suo discorso, e cioè l’iniziale ampia contestualizzazione sociale del fenomeno della violenza sui minori nel mondo – a significare che la Chiesa deve agire a partire da un contesto che solo recentemente (e talora in maniera ambigua) ha preso coscienza della protezione dei minori in particolar modo anche nella sfera sessuale – e il passo teologico in cui faceva riferimento al male entrato nella Chiesa – «È Satana che agisce» per mano dei suoi consacrati – e al grido delle vittime come voce dell’«ira di Dio» che ammonisce la sua Chiesa, non sono stati capiti.

Il primo perché è stato letto come il tentativo di cercare un’attenuante – nonostante Francesco concludesse la lunga disamina affermando «anche un solo caso è troppo» –. Il secondo (e più decisivo) perché non è stato colto il linguaggio teologico, forte e drammatico: che cos’altro potrebbe dire un pontefice più del riconoscere alle vittime la voce dell’«ira di Dio» o del fatto che Satana opera proprio dentro la Chiesa stessa?

Assumere la battaglia delle vittime come caso serio cui rispondere con riforme nella Chiesa potrebbe aprire una breccia nel muro contro muro tra Chiesa gerarchica e sulle difensive e vittime. È compito di tutti, specie dei laici e delle laiche. Innanzitutto per giustizia e solidarietà, per non lasciarle sole e inchiodate per sempre al «ruolo di vittime». Poi per ascoltare quel loro grido che, come ha ricordato il card. C. Schönborn (L’Osservatore romano, 23.2. 2019), è, al fondo, una profonda «nostalgia di qualcosa di grande e di puro»,  «anelito» per un Vangelo «vissuto autenticamente» e «rabbia» per quando lo si vede «sporcato».

 

Maria Elisabetta Gandolfi

 

 

 

1 Questo il programma: giovedì 21 Responsibility: preghiera con video-testimonianze, introduzione del papa e relazioni del card. L.A. Tagle su «L’odore delle pecore. Sentire le difficoltà e guarire le ferite, centro del compito del pastore», mons. C.J. Scicluna su «La Chiesa come ospedale da campo. Assumersi la responsabilità», card. R. Salazar Gómez su «La Chiesa trafitta. Affrontare i conflitti e agire con decisione» a cui sono seguiti i lavori di gruppo e relazione in aula. Venerdì 22Accountability: preghiera, relazione dei cardd. O. Gracias su «Collegialità: inviati in missione» e B.J. Cupich su «Sinodalità: responsabilità condivisa», di Linda Ghisoni su «Communio: agire insieme» a cui sono seguiti i lavori di gruppo e relazione in aula. Sabato 23 Transparency: preghiera, relazione di suor Veronica Openibo shcj su «Essere disponibili: inviati nel mondo», del card. R. Marx su «Una comunità di credenti trasparente», di Valentina Alazraki su «Comunicazione: a tutte le persone»; a cui è seguita una liturgia penitenziale in Sala Regia, dove ha preso la parola una vittima. Domenica 24: liturgia eucaristica in Sala regia dove ha tenuto l’omelia mons. M. Coleridge, arcivescovo di Brisbane e presidente della Conferenza episcopale australiana e il discorso finale papa Francesco. Mezza giornata era dedicata alla discussione negli 11 gruppi linguistici, ciascuno con un moderatore e un relatore: 4 di lingua inglese, 3 di italiano, 2 di spagnolo, 2 di francese.

2 Il primo convegno organizzato per portare consapevolezza nella curia vaticana e nella Chiesa universale sul tema delle violenze è stato organizzato all’Università gregoriana nel 2012 su «Verso la guarigione e il rinnovamento» (cf. Regno-att. 4,2012,75); a cui seguì un altro su «La dignità del minore nel mondo digitale» (3-6.10.2017).

3 Esse sono state sintetizzate da p. Zollner durante la conferenza stampa del 18 febbraio: 1) qual è la situazione del proprio paese; 2) quale tipo di consapevolezza diffusa; 3) quali sono i fattori di rischio; 4) quali fattori culturali possono maggiormente bloccare la risposta da parte della Chiesa; 5) quali potrebbero essere delle misure più efficaci. L’89% degli invitati all’incontro ha risposto; i dati sono stati affidati all’Università gregoriana per uno studio che verrà prossimamente pubblicato.

4 La prima formulazione si ritrova nella Lettera ai cattolici irlandesi di Benedetto XVI nel 2010 (cf. Regno-doc. 7,2010,193; cf. anche l’editoriale «Dio nelle vittime», in Regno-att. 10,2010,289).

5 Cf. l’editoriale «È urgente», in Regno-att. 16,2018,449.

6 Alla vigilia dell’incontro se n’era parlato molto anche perché l’inserto «Donna, Chiesa, mondo» de L’Osservatore romano vi aveva dedicato uno speciale, riprendendo la denuncia che negli anni Novanta e Duemila venne fatta da suor Esther Fangman e da suor Maura O’ Donohue; cf. Regno-doc. 7,2001,226.

7 Il primo ringraziamento ufficiale al lavoro dei media venne al congresso della Gregoriana, cf. nota 2. Nella sua relazione è mancata – anche per ragioni di spazio – la parte di critica alla strumentalizzazione cui i media di fatto sottopongono le vittime per ragioni di audience, nonché il ruolo che potrebbero avere i cosiddetti media «cattolici».

8 Cf. il sito Internet appositamente creato www.pcb2019.org che documenta come l’emergenza della pedofilia in ambito ecclesiastico e anche le prime risposte risalgano almeno dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso.

9 Concludendo l’incontro, p. Lombardi affermava che gli obiettivi erano di due livelli. Da un lato la sensibilizzazione di tutto il corpo episcopale sull’urgenza del compito di cura delle vittime e di prevenzione. Ma dall’altro 3 risposte concrete: un motu proprio e una legge generale per la prevenzione e la gestione dei casi di abuso e violenza nella curia romana e nello Stato della Città del Vaticano; un vademecum della Congregazione per la dottrina della fede nella forma di domande-risposte per i vescovi, per spiegare, ancora una volta, passo passo come agire quando si viene a conoscenza di nuovi casi; l’istituzione di alcune task force per aiutare diocesi con scarse risorse sia economiche sia di competenze.

Tipo Articolo
Tema Santa Sede Minori
Area
Nazioni

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