Italia - Film d’animazione: nel segno del rosso
Il corto d’animazione di Francesco Filippi, Mani rosse, presentato in questi giorni al pubblico e che ha già avuto alcuni riconoscimenti della critica, racconta e indaga nel profondo del colore più simbolico che ci sia e nel momento della vita – l’adolescenza, appunto – in cui colori, emozioni e simboli esplodono in contemporanea nel corpo e nella mente.
Ciò che rimane è un’impronta indelebile. Qualcosa che non è possibile cancellare, in cui si dibattono i potentissimi sentimenti del dolore e della rabbia. Questa è la violenza, in particolar modo quella subita in famiglia e, di conseguenza, quella che ci si ritrova dentro prima di saperle dare un nome.
Luna ed Ernesto sono appena adolescenti. Lei è poco più grande ma, come spesso capita, sembra già una donna e lui un pulcino non ancora uscito del tutto dall’uovo e dalla bambagia. Due storie diverse che s’incontrano anche perché accomunate dalla solitudine.
Luna ha un dono tutto particolare di cui è fiera, ma allo stesso tempo se ne sente intrappolata: dalle sue mani sprigiona un colore rosso vivido col quale disegna e dipinge tutto quello che può ovunque trova una superficie libera. Il colore piange dalle sue mani e fa fuoriuscire il grido di un’esistenza segnata da un padre violento.
Ernesto è spaventato e affascinato allo stesso tempo. S’innamora di Luna prima d’avere il tempo di diventare grande e s’accorge che da lei proviene un’intensa richiesta d’aiuto: ma cosa potrà mai fare lui che alla vista del sangue sviene?
Il corto d’animazione di Francesco Filippi, Mani rosse, presentato in questi giorni al pubblico e che ha già avuto alcuni riconoscimenti della critica,1 racconta e indaga nel profondo del colore più simbolico che ci sia e nel momento della vita – l’adolescenza, appunto – in cui colori, emozioni e simboli esplodono in contemporanea nel corpo e nella mente.
Dare un nome alla violenza
Lo stop motion dei pupazzi-personaggi è ambientato per le vie di una città (in questo caso Bologna) tra architetture storiche, altre avveniristiche (la casa di design bianco latte che vorrebbe quasi trattenere le emozioni dei colori) e qualche rudere vecchio-industriale, che funge da collettore di inconsci che l’adolescenza dei protagonisti mette in gioco.
Esso s’intreccia con l’animazione vera e propria che dà voce al mondo dell’immaginazione e dei sogni più nascosti, un piano che non rimane separato ma acquista (com’è giusto che sia) un proprio ruolo nell’elaborazione di ciò che accadrà in questa breve ma intensa storia dal finale aperto. Insieme alla colonna sonora, il disegno nella dimensione del 2D è uno sguardo aperto sul serbatoio immaginifico delle potenzialità dei protagonisti che essi stessi imparano a conoscere.
Pensato per gli adolescenti e per gli adulti – il regista ha un passato non troppo remoto da insegnante ed educatore –, c’è da augurarsi che il corto contribuisca ad abbattere il pregiudizio tutto italico che i film d’animazione siano solo per bambini: e, dando onore alla nutrita squadra di maestranze che vi sta dietro oltre che alla pazienza certosina che occorre per fare ogni secondo di girato in una (sola) giornata di lavoro, occorre proprio dire che vi sono alcune scene dal forte impatto emotivo, in cui si riconoscono citazioni filmografiche importanti (e inquietanti).
È una modalità intelligente per esprimere innanzitutto la decisa condanna della violenza, ma più sottilmente per fare capire ai giovani tre concetti: il primo, che la violenza lascia il segno e che c’è bisogno di molta rielaborazione per potersene, forse, liberare; il secondo che si può chiedere aiuto anche quando essa sembra sopraffarci; il terzo è che le emozioni sono ambivalenti e il non detto a volte pesa come un macigno. Le mani accarezzano, le mani stringono, le mani lasciano il segno.
E sperimentare, anche senza dipingere sui muri, è lecito…
Maria Elisabetta Gandolfi
1 Miglior corto alla Fabrique du cinema di Roma 2018.