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Attualità
Attualità, 18/2019, 15/10/2019, pag. 528

Africa – Repubblica democratica del Congo: dramma lontano dai riflettori

Giusy Baioni

Tutto inizia con una mail inviata alla redazione del Regno. Una mail in francese, che racconta di un dramma nel dramma dell’Est della Repubblica democratica del Congo (RDC). Una mail con foto terribili, a testimoniare le atrocità e l’inderogabile necessità anche etica di parlarne.

 

Tutto inizia con una mail inviata alla redazione del Regno. Una mail in francese, che racconta di un dramma nel dramma dell’Est della Repubblica democratica del Congo (RDC). Una mail con foto terribili, a testimoniare le atrocità e l’inderogabile necessità anche etica di parlarne.

Siamo nella regione dell’Ituri, estremo Nord-est della RDC, al confine con l’Uganda. Una regione ancor più trascurata di altre, dove da anni si consuma una guerra nella guerra, fatta di scontri a bassa intensità, stragi impunite e nemmeno raccontate.

«L’ultimo massacro si è tenuto a Ngle, verso Bule, dove hanno ucciso molti bambini e anziani nei campi sfollati (…) La causa è il petrolio e le altre ricchezze del sottosuolo. Ci sono già più di 1.000 morti, fra i quali molte mamme, bambini e anziani. Viviamo nella paura. Gli orfani arrivano ogni giorno».

Il messaggio prosegue: «Gli attacchi degli assalitori ai campi di rifugiati e ad alcuni villaggi proseguono a Drodro e dintorni, sull’asse Bule. La notte scorsa e quella precedente, hanno attaccato il campo di Rho (per la seconda volta) dove hanno ucciso due sfollati. Grazie alla OMNUSCO e alle FARDC sono stati respinti. Contemporaneamente, c’erano combattimenti anche a Ndoki (Koli), dove hanno ucciso 11 persone. Dopo tutti gli attacchi a Luko, Darr, Maze, Kpatiz, solo quello di stanotte a Rho ha visto una risposta militare adeguata».

La critica è netta: spesso gli assalitori operano in maniera indisturbata, anche non lontano da postazioni militari, che intervengono con grande ritardo, «tanto da far sospettare una complicità» dei vertici militari. Si presume anche che dal confine ugandese giungano ai miliziani rinforzi di armi.

I ripetuti attacchi ai villaggi provocano ingenti spostamenti di popolazioni, sfollate dalle proprie case in direzione del capoluogo Bunia o dell’Uganda.

La cronaca spicciola parla di continui attacchi ai civili nel territorio amministrativo di Djugu, iniziati a fine 2017, proseguiti con diversa intensità e ripresi negli ultimi mesi. L’impennata si era avuta in giugno: oltre 150.000 sfollati nel territorio di Djugu, rimasti senza cibo né riparo, né cure. Fuggendo dagli scontri, avevano lasciato deserti molti villaggi, concentrandosi in quelli di Katoto, Rho, Drodro, Bule, Loda, le zone in cui si trovano i caschi blu della MONUSCO o le forze armate congolesi, le FARDC.

In quei giorni, si contavano 18.000 sfollati a Rho, in condizioni igienico-sanitarie spaventose; oltre 60.000 a Bule; nella sola parrocchia cattolica di Drodro, una marea umana di circa 77.000 persone accalcate. Il Programma alimentare mondiale era intervenuto per distribuire viveri ed erano arrivati anche Medici senza frontiere (MSF), che avevano lanciato un appello: «La recente impennata delle violenze nelle regioni di Djugu, Mahagi e Irumu ha costretto migliaia di persone ad abbandonare le loro case. Nonostante MSF abbia ripetutamente chiesto alle organizzazioni umanitarie internazionali d’espandere gli aiuti nell’area, la maggior parte degli sfollati non ha ancora accesso ai beni di prima necessità».

Contemporanamente, la locale associazione Solidarité féminine pour la paix et le développement intégral denunciava il conseguente aumento esponenziale di stupri. Ma cosa sta accadendo, davvero, nella zona?

Il gruppo armato da giugno ha un nome: si chiama CODECO e sarebbe guidato da un certo Ngudjolo. L’uomo è stato identificato dopo mesi di indagini volute e coordinate dal capo di stato maggiore gen. Amisi Kumba, detto Tango Fort. Si tratterebbe, secondo il maggiore Jerry Gbelo Pazonga (portavoce di Amisi), di un uomo originario della chefferie di Walendu Pitsi (da dove spesso sono partiti gli attacchi) e che avrebbe stabilito il suo quartier generale nella foresta di Wago.

Da lì gestirebbe il gruppo CODECO, che sarebbe in sostanza una setta mistico-religiosa che attirerebbe adepti con l’obiettivo dichiarato di «liberare» la RDC, come chiesto da una non meglio precisata divinità. L’esercito e la MONUSCO invitano la popolazione a isolare questi assalitori e a collaborare con le autorità per metter fine alle stragi.

Ciò che colpisce è che nessuno faccia più il nome dei due gruppi che si scontrano da decenni. Fino a pochi anni fa era normale parlare di hema (o hima) e lendu e della loro storica rivalità. Oggi in nessuno dei documenti consultati ce n’è traccia esplicita, anche se i riferimenti allusivi non mancano. L’unica notizia di cronaca esplicita è quella che spiega come la MONUSCO stia conducendo nel mese di ottobre incontri nei villaggi con le popolazioni lendu per isolare i ribelli e convincere la gente comune a collaborare.

Ci spiega una fonte della società civile raggiunta telefonicamente a Bunia – anch’essa vuol rimanere anonima –: «Il conflitto fra gruppi locali prosegue da decenni, ma si è incancrenito nell’ultimo periodo. Le cause ultime stanno nelle ricchezze della nostra regione, in primis il petrolio nel Lago Alberto, ma anche l’oro, che abbonda, e i legnami pregiati. Questi gruppi di assalitori, chiamati CODECO, ricevono certamente finanziamenti dall’estero, dall’Uganda, ma anche dai paesi occidentali. Vengono arruolati per creare instabilità e poter così sfruttare le nostre risorse senza impedimenti».

 

Giusy Baioni

Tipo Articolo
Tema Pace - Guerra
Area AFRICA - MEDIO ORIENTE
Nazioni

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