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Attualità, 4/2018, 15/02/2018, pag. 83

Lituania - Corte europea per i diritti dell’uomo: per un paio di jeans…

La sentenza europea e il moralmente legittimo

Cristiana Cianitto

È il 2012. La ditta Sekmadienis Ltd. di Vilnius, Lituania, dà il via a una nuova campagna pubblicitaria per la propria linea d’abbigliamento. Tre i manifesti: una donna con un abito bianco e una fila di perle tra le mani che assomiglia a un rosario; un uomo a torso nudo con lunghi capelli che indossa un paio di jeans in una posa vagamente effemminata e l’uomo e la donna insieme a richiamare vagamente La pietà. Entrambi i modelli hanno i corpi tatuati, dietro un’aureola e sotto le scritte «Jesus, what trousers!»«Dear Mary, what a dress!» «Jesus, Mary, what are you wearing!».

 

È il 2012. La ditta Sekmadienis Ltd. di Vilnius, Lituania, dà il via a una nuova campagna pubblicitaria per la propria linea d’abbigliamento. Tre i manifesti: una donna con un abito bianco e una fila di perle tra le mani che assomiglia a un rosario; un uomo a torso nudo con lunghi capelli che indossa un paio di jeans in una posa vagamente effemminata e l’uomo e la donna insieme a richiamare vagamente La pietà. Entrambi i modelli hanno i corpi tatuati, dietro un’aureola e sotto le scritte «Jesus, what trousers!», «Dear Mary, what a dress!» e «Jesus, Mary, what are you wearing!».

Alcuni lituani si sono lamentati con la State Consumer Rights Protection Authority (SCRPA) per l’uso improprio delle immagini di Gesù e della Madonna in un contesto non consono alla propria natura di simboli della religione cristiana. L’autorità ha quindi interpellato la Lithuanian Advertising Agengy (LLA), organismo d’autoregolamentazione per la pubblicità, che ha decretato che la campagna non si atteneva al Code of Advertising Ethics poiché utilizzava dei simboli religiosi in maniera impropria offendendo la sensibilità dei credenti. La Chiesa cattolica, consultata a proposito, ribadiva la propria contrarietà a tale uso irrispettoso delle immagini di Gesù e della Madonna.

Nel 2013 la SCRPA ha condannato la Sekmadienis Ltd. per violazione dell’art. 4 § 2 (1) della Legge sulla pubblicità. La società, svilendo l’immagine di Gesù e della Madonna per un mero fine commerciale, ha leso il sentimento religioso dei cristiani lituani poiché non ha rispettato la morale sociale e i principi fondamentali della fede cristiana che sono alla base dei valori della società lituana.

Per questo motivo la SCRPA ha inflitto alla Sekmadienis una sanzione pecuniaria, ritenendone necessaria la limitazione della libertà di espressione per evitare la lesione del diritto di libertà religiosa dei cittadini lituani. A proprio favore la società ha sostenuto che l’intento dell’operazione era solo quello di creare un effetto comico a partire dalle frasi utilizzate, intercalare comune nel linguaggio del lituano medio, accostandovi poi una rappresentazione iconografica di Gesù e di Maria lontana dalle rappresentazioni classiche, per rendere evidente ed esplicita l’assenza di qualsivoglia intento offensivo.

I ricorsi successivi promossi dalla società presso il Tribunale amministrativo di Vilnius e presso il Supremo tribunale amministrativo hanno confermato la decisione di SCRPA e la sanzione applicata.

Libertà innanzitutto (quella religiosa, poi)

Investita della questione nel 2014 e dichiarato il ricorso ammissibile, il 30 gennaio scorso la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato lo Stato lituano poiché ha rilevato un’illegittima compressione della libertà di espressione della società attrice, giudicando non necessaria in una società democratica la restrizione applicata dalle autorità e ribadendo che il diritto di libertà religiosa dei singoli non può essere esteso fino a comprendere il diritto a non essere disturbati nel godimento della propria libertà religiosa a svantaggio della libera circolazione delle idee e delle espressioni anche invise alla maggioranza dei consociati.1

Nel suo argomentare, la Corte procede per passi successivi verificando che siano rispettate le condizioni previste dall’art. 10, 2 e quindi che 1) la restrizione applicata sia prevista dalla legge, 2) che questa persegua uno scopo legittimo e 3) che tale restrizione sia necessaria in una società democratica per la salvaguardia di una o più delle finalità elencate dalla norma.

Nel caso di specie la Corte ha affrontato brevemente il primo punto, dandolo quasi per scontato (par. 63-68), per rilevare poi la piena legittimità degli scopi perseguiti dalla limitazione (par. 69). Questi sono stati individuati nella protezione della morale sociale e del sentimento religioso dei cittadini lituani cristiani.

È invece sulla necessità della restrizione applicata che si è focalizzata l’attenzione della Corte. Benché il complesso del progetto pubblicitario di Sekmadienis fosse idoneo a creare un indubbio parallelo tra Gesù e il modello raffigurato e tra Maria e la modella, il fine meramente commerciale dell’operazione era di tutta evidenza e la compagnia non ha mai inteso inserire la propria campagna pubblicitaria in un dibattito sull’uso dei simboli religiosi nello spazio pubblico o sui simboli del sacro.

Il linguaggio iconografico scelto, poi, non è giudicabile prima facie gratuitamente offensivo o blasfemo e né incita all’odio o alla discriminazione, risultando così perfettamente lecito (par. 74). Nondimeno non se ne esclude la potenziale offensività rispetto alla pubblica morale, ma di questo, asserisce la Corte, il governo lituano non ha dato adeguata prova.

Ha infatti solo asserito di aver ricevuto non meglio precisate lamentele da parte di un centinaio di cittadini, né ha mai dimostrato in che cosa sarebbe consistita la presunta lesione subita dalla pubblica morale. La vaghezza delle argomentazioni utilizzate dal governo lituano nonché il tenore meramente dichiarativo delle affermazioni poste a fondamento delle restrizioni applicate a Sekmadienis rendono ingiustificato l’utilizzo di un più ampio margine d’apprezzamento e conseguentemente illegittime le restrizioni applicate perché non necessarie nel contesto democratico di riferimento (par. 79).

Certamente la rappresentazione di Gesù e Maria appare inappropriata e distorta nel contenuto, pur se inoffensiva nel bilanciamento con il diritto alla libertà d’espressione della ditta stessa. Inoltre il governo lituano, per definire e individuare il concetto di «morale pubblica» ha consultato solamente la Chiesa cattolica quale stakeholder interessato alla vicenda, tralasciando le altre confessioni religiose radicate sul territorio.

Da un lato, quindi, la Corte europea ribadisce che ognuno è libero d’esprimere nella sfera pubblica anche quelle idee che per la loro crudezza potrebbero disturbare larghe fette della società civile; dall’altro, affermando che il governo ha omesso di dare una prova sufficiente dell’effettiva lesione patita dalla popolazione religiosa, sembra lasciare intendere che se la prova ci fosse stata allora il verdetto avrebbe potuto essere diverso.

Come rispettare il sentimento religioso?

Queste affermazioni della Corte suonano perlomeno ambigue perché bisognerebbe concludere che se il governo lituano avesse provato che il 90% della popolazione si fosse sentito offeso dai manifesti, allora la campagna pubblicitaria avrebbe potuto essere dichiarata illegittima pur non essendo idonea a incitare all’odio e alla discriminazione. Il diritto alla libera espressione della Sekmadienis sarebbe allora sottoposto alla volontà della maggioranza con un sovvertimento di fatto del contenuto degli artt. 9 e 10 CEDU.

La spia di tale paradosso (evitato) è nelle singolarità di questa vicenda.

Dopo la decisione della SCRPA, nel 2013 il governo lituano si è premurato di modificare la Legge sulla pubblicità inserendo un capoverso che prevede che nelle campagne pubblicitarie s’impone il rispetto dei simboli religiosi e del sentimento religioso delle comunità religiose registrate in Lituania.

Rispetto al testo precedente, di fatto si è introdotto un divieto per l’utilizzo di tali simboli in contesti non religiosamente qualificati, di fatto ammettendo che la decisione contro Sekmadienis Ltd. era stata basata su un’interpretazione aprioristica dell’allora dettato normativo.

Tale aporia ben era stata notata dal presidente del Supremo tribunale amministrativo lituano che nel 2014 aveva chiesto alla propria Corte di riesaminare il caso per verificare che il bilanciamento tra i diritti fondamentali coinvolti fosse stato operato correttamente alla luce della giurisprudenza lituana in materia di diritti fondamentali e di quella della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Il presidente aveva infatti segnalato il rischio d’incompatibilità della decisione con il diritto di libertà d’espressione così come sancito dall’art. 10 CEDU. Nonostante ciò, il giudizio, rinviato ad altra sezione della medesima Suprema corte, è stato confermato ritenendo che il diritto di libertà di espressione della Sekmadienis Ltd. non fosse stato sottoposto a limitazioni non necessarie e/o illegittime.

Come ben fa rilevare il giudice De Gaetano nella propria concurring opinion (quando il giudice approva la sentenza ma dissente sulle motivazioni), il nodo della questione non sta tanto nell’insufficiente giustificazione del proprio agire data dalle corti nazionali, quanto sulle modalità espressive utilizzate dalla campagna e sulle sue potenzialità lesive. Sono proprio le modalità espressive adottate che sono idonee ad annullare il potenziale offensivo delle immagini poiché eliminano qualsiasi reale accostamento tra il Gesù testimonial di un paio di jeans e il Gesù venerato sugli altari.

Sullo sfondo resta però un interrogativo: nella società contemporanea esiste ancora il confine tra giuridicamente lecito e moralmente legittimo? In una società sempre più plurale in cui la narrazione dei principi etici di una nazione va portata avanti nel rispetto di tutte le sue componenti (par. 8), lo sviluppo di un’etica pubblica condivisa mal si concilia con manifestazioni del pensiero che, pur se giuridicamente lecite, risultano moralmente discutibili e certamente non rispettose della diversità sociale.

Come già aveva dimostrato la vicenda Charlie Hebdo (cf. Regno-att. 10,2015,658), occorre fornire ai cittadini gli strumenti per la creazione di un sistema di lettura della realtà che si basi non soltanto sul rispetto degli obblighi giuridici ma su un complesso di buone pratiche condivise e basate sull’educazione al rispetto nello spazio pubblico della dimensione sacrale delle religioni, maggioritarie o minoritarie che siano.

 

Cristiana Cianitto*

 

* Università degli Studi di Milano.

1 Sekmadienis Ltd. v. Lithuania, domanda n. 69317/2014. La sentenza è disponibile in inglese in http://bit.ly/2Efuj2V.

Tipo Articolo
Tema Cultura e società Vita internazionale
Area EUROPA
Nazioni

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Nel contesto di un pluralismo sempre più accentuato nella società italiana, la legislazione non è ancora completamente in grado di garantire un trattamento realmente paritario a tutte le minoranze religiose. Tra queste, quelle che godono di un’intesa con lo stato sono a loro volta in una condizione privilegiata rispetto alle altre. All’interno di questo quadro la giurisprudenza sta svolgendo un ruolo importante nel trovare un bilanciamento, specialmente sulle questioni che richiedono una regolamentazione più decisa della diversità religiosa.

La questione è stata affrontata dalla giurista Cristiana Cianitto, professore associato di Diritto ecclesiastico e canonico nell’Università di Milano, in una relazione dal titolo «Le minoranze religiose in Italia. Nuovi problemi (?)» tenuta in occasione dell’incontro organizzato dal prof. Silvio Ferrari e dalla stessa prof.ssa Cianitto il 6 maggio sul tema «Le minoranze religiose escluse. Il pluralismo religioso in Italia tra politica e diritto». Nell’attesa di una legge generale sulla libertà religiosa, per la quale «i tempi… non paiono maturi», questo approccio caso per caso è «la grande risorsa che alla società si apre nell’inerzia della politica: la narrazione dei valori nella cultura, nell’educazione crea la coesione di un popolo e semina i germi della cittadinanza attiva».