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Attualità
Attualità, 18/2017, 15/10/2017, pag. 571

Tra moglie e marito

… non mettere l’intelligenza di lei

Piero Stefani

Un dialogo immaginario tra un "Lui" e una "Lei" a proposito di un personaggio femminile della tradizione ebraica: la saggia Beruryà, vissuta nel II secolo d. C., la sola donna presentata nel Talmud capace di discutere da pari a pari con i rabbi. 

Lei: Nella tarda antichità ci fu una donna molto sapiente, si chiamava Beruryà.

Lui: Beruryà, nome ben strano; chi era costei?

Lei: Ti prego non trattarla come una carneade. Beruryà è la sola donna presentata nel Talmud capace di discutere da pari a pari con i rabbi;1 era figlia di rabbi Chaninàh ben Taradiòn e moglie dell’illustre rabbi Meìr. Visse quindi nel II secolo d. C. L’essere circondata da saggi era per lei un affare di famiglia; tuttavia ella si spingeva anche più in là, partecipava infatti attivamente in prima persona alle discussioni dei maestri; tra l’altro, lo faceva in maniera tale da correggere non di rado il parere dei rabbi o addirittura da trattarli in modo ironico (se non addirittura sarcastico). Ti do qualche esempio. Ricordi Paolo De Benedetti?2 Te lo cito perché volevo richiamarti una delle sue tante battute. Egli era solito affermare che il più autentico banco di prova dell’amore del prossimo sono i propri condomini. È lì che si vede com’è difficile amare il prossimo come sé stessi. Quando si tratta dei vicini di casa spesso è proprio l’essere troppo prossimi a far problema.

Lui: Difficile smentirti. Il «come te stesso» salta per aria non appena ci sono vicini di casa festaioli, rumorosi, piantagrane, per non parlare della ripartizione delle quote quando bisogna aggiustare le grondaie. Ma cosa c’entra tutto ciò con la nostra Beruryà?

Lei: C’entra. I vicini di casa di rabbi Meìr erano tanto insolenti da procurargli enormi fastidi. Il maestro era esasperato, il suo ruolo non gli consentiva però di menarli di santa ragione. Che fece? Si conformò allo stile imprecatorio di cui, bisogna pur ammetterlo, ci sono tanti esempi nella Bibbia. Rabbi Meìr perciò pregò Dio perché mandasse un accidente ai suoi vicini.

Lui: Una preghiera non molto edificante direi.

Lei: Anche Beruryà fu del tuo stesso parere. Infatti, rivolgendosi al marito disse: «Che cosa ti fa pensare che una simile preghiera sia permessa?».

Lui: Giusto. Domanda ben pertinente.

Lei: Ma tu pensi forse che un saggio d’Israele si accontenti di questo interrogativo senza che si adducano prove convincenti? Ed ecco che Beruryà, la sapiente, inizia ad argomentare. Rivolgendosi al marito gli dice: «Forse sei giunto a questa conclusione perché nel Salmo 104 hai letto “Scompaiono i peccatori”?3 Ma l’espressione non va affatto intesa così, la devi leggere in quest’altro modo: “Scompaiono i peccati”». Beruryà gioca sull’ambiguità tra il termine chattàh (maschile) che significa «peccatore» e il temine chatta’àh (femminile) che vuol dire «peccato». Si sarebbe tentati di concludere che Beruryà, a fin di bene, fa prevalere il femminile sul maschile.

Lui: Questo cambio di genere è davvero suggestivo, e ancor più significativo è il senso dell’operazione: far prevalere la misericordia sulla condanna. Ma il mutamento è giustificato dal testo?

Lei: Piano, sai che nel mondo rabbinico le cose sono sempre complicate. Non solo il verso ha un plurale maschile chatta’ìm, ma esso, nella sua seconda parte, parla simmetricamente anche di resha’ìm «malvagi», sembra perciò di essere in un vicolo cieco. La traduzione corretta è obbligatoriamente la seguente: «Scompaiono i peccatori dalla terra e i malvagi non siano più».

Lui: Ma allora Beruryà come ne venne fuori?

Lei: È qui il bello! La moglie di rabbi Meìr non si arrestò di fronte a questa possibile obiezione, anzi ella forzò l’interpretazione appoggiandosi proprio sul passo che avrebbe dovuto giocare a suo sfavore; disse: «Butta un occhio invece alla fine del verso “e fa che i malvagi non ci siano più”. Quando i peccati scompariranno non ci saranno più uomini malvagi. Prega dunque per loro, affinché si pentano, e così non saranno più malvagi. Egli pregò ed essi si pentirono».4

Lui: Bella conclusione, non c’è che dire. Voglio proprio sottolinearlo: il lieto fine ha avuto luogo perché il marito ha dato ascolto alla sua sposa. Ma perché allora il nostro dialogo è posto sotto l’ombrello di un inquietante «tra moglie e marito non mettere l’intelligenza di lei»? Mi pare, al contrario, che l’intelligenza di lei bisogna proprio metterla in gioco.

Lei: Abbi un po’ di pazienza. Innanzitutto va detto che, francamente, Beruryà aveva anche un caratterino che ti raccomando... A volte non le era estranea una certa aggressività. Lo dimostra un altro episodio, anche questo non semplicissimo da spiegare.

Lui: Figuriamoci, sarà tratto anch’esso dal Talmud. Quasi tutte le pagine di quell’opera monumentale sono dei veri e propri rompicapo.

Lei: Esatto, infatti te lo leggo pari pari dal Talmud e non ci capirai niente.

«Rabbi Yosì il Galileo si trovava un giorno per strada, quando incontrò Beruryà. Si rivolse a lei, dicendo: “Per quale strada si va a Lod?” Lei gli rispose: “Stupido di un galileo! Non dicono forse i saggi: ‘Non parlare troppo con una donna?’. Avresti dovuto dire: ‘Per dove a Lod?’».5

Lui: Ti devo dar ragione, non ci ho capito nulla.

Lei: L’interpretazione più immediata del testo sta nel fatto che, se rabbi Yosì si fosse davvero proposto di rispettare il precetto rabbinico, avrebbe potuto farlo in maniera più consona senza moltiplicare inutilmente le parole. Tuttavia, in questo caso il rimprovero sembrerebbe davvero eccessivo, infatti la domanda è di per sé assai breve; in pratica, sarebbe stata ridondante solo a motivo dell’aggiunta della parola «strada».

Dal canto loro, le battute messe in bocca a Beruryà sono ben più estese. Esse, per certi versi, appaiono rivolte a indicare un rovesciamento della massima rabbinica: quelle frasi mostrano, infatti, che una donna si rivolge con ampiezza e addirittura con sarcasmo a un uomo.

I rabbi devono parlare poco con le donne, ma una donna può, servendosi di molte parole, apostrofare duramente un maestro dicendogli che sta parlando troppo. Insomma, l’episodio potrebbe essere tutto un gioco di sponda per mettere in discussione proprio la massima secondo la quale occorre rivolgersi alle donne con il minimo di parole indispensabili.

Lui: Va bene, ma non capisco ancora cosa c’entra: tra moglie e marito...

Lei: Per comprenderlo dobbiamo rivolgerci al celeberrimo Rashì vissuto in Francia nell’XI secolo, il più grande commentatore ebraico di tutti i tempi. Questa illustre guida ha tramandato una storia tremenda, ma forse è semplicemente grottesca, che riguarda Beruryà. Eccola come, alla lettera, la espone Rashì.

«Una volta [Beruryà] derise un detto dei saggi [secondo il quale] “le donne sono frivole”. Egli [Meìr] le disse: “Per la tua vita! Alla fine tu dovrai riconoscere [la giustezza del]le loro parole”. Egli istruì uno dei suoi discepoli inducendolo a sedurla. Quest’ultimo le fece una corte serrata per molti giorni, fino a che, alla fine, lei acconsentì. Quando lei si rese conto della cosa, si strangolò con le proprie mani, mentre rabbi Meìr fuggì per il disonore».6

Lui: Se fosse autentica sarebbe una vicenda tragica, ma per la verità suona come una storia inventata di sana pianta, è mai possibile che un rabbi per dimostrare che le donne sono frivole giungesse a tanto?

Lei: Sono d’accordo con te. La vicenda in realtà ha dell’incredibile. Pensa, tra l’altro, che Rashì non ebbe figli maschi, e quindi insegnò la Torah alle sue tre figlie coinvolgendole nella redazione dei suoi commentari. In ogni caso, l’esito del racconto è talmente paradossale da minarne fin dal principio la credibilità.

Prendendolo alla lettera si dovrebbe concludere che, per ricondurre una figura eccezionale nell’ambito della visione corrente delle donne, un venerato maestro avrebbe incitato un suo allievo, sua moglie e se stesso a commettere una serie di peccati gravissimi. Per difendere la categoria messa in discussione dalla moglie avrebbe rovinato quanto c’è di più sacro per l’intero ebraismo: il rapporto coniugale e quello che lega un maestro al proprio discepolo.

Lui: Pur se fosse inventata, giudico ugualmente la storia come una spia del grande disagio legato al ruolo da protagonista svolto da una donna. Ora capisco perché tra moglie e marito non mettere...

Lei: Per quanto campato in aria, il commento di Rashì è stato purtroppo usato, in lungo e in largo, per avallare l’opinione in base alla quale una donna troppo istruita non sarà mai una buona moglie. Ci si domanda quanta parte dell’incidenza di questa storia sia dovuta all’autorevolezza del commentatore e quanta all’orientamento in essa espresso. Su questo fronte non è agevole fornire percentuali; diciamo che ha operato un’efficace quanto deprecabile sinergia.

Lui: So qualcosa della grande importanza riservata dall’ebraismo allo studio, specie dei libri sacri. In definitiva, le donne potevano o non potevano studiare?

Lei: Ti rispondo con il parere di un altro grande maestro medievale: Mosè Maimonide. Nel suo Libro dei precetti si legge a proposito dello studio: «Le donne non sono obbligate a eseguirlo, perché il testo dice: “E le insegnerete ai vostri figli” (Dt 6,7) e i maestri hanno detto: “ai vostri figli e non alle vostre figlie”7».8 Non sono obbligate, ma possono farlo.

La facoltatività del precetto potrebbe suonare come una porta almeno socchiusa, se non proprio aperta; una simile conclusione suona però troppo ottimistica. La quintessenza dell’osservanza dei precetti sta infatti nella loro obbligatorietà ed è probabilmente proprio per il fatto di trovarsi nelle condizioni di doverne osservare un maggior numero – ivi compreso il comandamento dello studio – che va ricercato il motivo ispiratore della benedizione mattutina recitata ancora oggi dall’ebreo ortodosso, in cui egli ringrazia Dio per non essere stato creato donna.

Lui: Ah già, ne avevo sentito parlare, anche se, per la verità, non ne avevo afferrato la motivazione. Certo benedire Dio per quel che non si è, è quanto meno un po’ strano...

Lei: A questo punto ti svelerò un’ulteriore sorpresa. Sai a chi è fatta tradizionalmente risalire questa benedizione?

Lui: A rabbi Meìr?

Lei: È proprio così. Povera Beruryà, mi dirai. In realtà vi è una soluzione pratica proposta dall’ebraismo riformato. Essa estende a tutti la benedizione che nel mondo ortodosso viene recitata dalle donne.

Lui: Di che si tratta?

Lei: In essa la donna ogni mattina benedice Dio per essere stata creata secondo la sua volontà. C’è forse qualcuno, sia egli maschio o femmina, a cui è precluso identificarsi con questa preghiera? In conclusione: la benedizione riservata alle donne ha una portata universale, mentre quella recitata dai maschi è discriminante. Se ci si propone dunque di allargare gli orizzonti non resta che conformarsi alla norma femminile. Affidiamoci dunque tutti finalmente alla voce di lei.

 

Piero Stefani 

 

1 Cf. Regno-att. 12,2016,345s.

2 Cf. Regno-att. 2,2017,49.

3 Sal 104,35.

4 Talmud babilonese, Berakhot 10a.

5 Talmud babilonese,‘Eruvin 53b.

6 Cit. in M. Ventura Avanzinelli, «Beruryà. Una maestra fra storia e leggenda», in Bollettino dell’amicizia ebraico-cristiana di Firenze (2014) 3-4, 21-35. L’articolo, preso nel suo complesso, è stata la fonte principale a cui ho attinto.

7 Talmud babilonese, Qiddushin, 34a.

8 Mosè Maimonide, Il libro dei precetti, a cura di M.E. Artom, Carucci – D.A.C., Roma 1980, 104 (si tratta dell’undicesimo tra i precetti positivi).

Tipo Parole delle religioni
Tema Teologia Ebrei
Area
Nazioni

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