Europa - Rifugiati: teologia della globalizzazione
Nel pieno di una trasformazione epocale, le Chiese cristiane e la salvezza universale
La morte di Aylan, il bambino di tre anni annegato sull’isola di Kos, ha scosso l’opinione pubblica europea. La madre e il fratellino un poco più grande sono morti insieme a lui, annegati. Abdullah Kurdi, il padre, ha perso in un colpo solo tutta la famiglia. Ha dovuto seppellire tutti e tre nella città natale di Kobane, completamente distrutta e diventata inabitabile. È il destino di una famiglia che ci mostra come la «marcia globale» già da tempo annunciata dagli studiosi sia arrivata in Europa a una velocità mozzafiato. 60 milioni di persone in tutto il mondo sono in fuga: dall’Afghanistan, dal Pakistan, dall’Eritrea e da altri paesi africani. Fuggono dal terrore, dalla guerra, dalla povertà senza prospettive, dai disastri naturali. L’Europa di questi giorni è diventata un’altra, e nel giro di settimane. Una trasformazione drammatica si profila ad alta velocità, «troppo alta» secondo il ministro degli Interni tedesco Thomas de Maizière. In breve tempo questa trasformazione ha polarizzato l’affaticata Europa unita.
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