Attualità, 8/2010, 15/04/2010, pag. 241
La fede e la «perdita del mondo»
Lasciamo per un momento in sospeso se la bellezza debba proprio «salvare il mondo». In compenso, il fatto che la cultura della soggettività vada conseguendo effetti progressivi di «perdita del mondo», è sotto osservazione fin dagli inizi della modernità. L’incertezza a riguardo dell’esistenza di un «mondo esterno» è già un punto fermo dell’inizio cartesiano. E non era che il principio. Il mondo non è più un interlocutore per l’uomo: chi parla più col mondo? Solo qualche stravagante eremita di ritorno: una specie al limite dell’anomalia, di cui si accende fugacemente la notizia. Il mondo è diventato magazzino di materie prime, deposito di risorse energetiche, spazio aperto per qualsiasi cosa riesca ad assumere dignità di merce, laboratorio totale per le più strampalate architetture della vita. Il guadagno di questa trasformazione dello sguardo, che vede ormai soltanto questo, del mondo, incomincia ad apparire anche come una perdita.
La lettura dell'articolo è riservata agli abbonati a Il Regno - attualità e documenti o a Il Regno digitale.
Gli abbonati possono autenticarsi con il proprio codice abbonato. Accedi.