Seribia-Montenegro: la tempesta non si è placata
La lettura dell'articolo è riservata agli abbonati a Il Regno - attualità e documenti o a Il Regno digitale.
Gli abbonati possono autenticarsi con il proprio codice abbonato. Accedi.
La lettura dell'articolo è riservata agli abbonati a Il Regno - attualità e documenti o a Il Regno digitale.
Gli abbonati possono autenticarsi con il proprio codice abbonato. Accedi.
Dopo la post-verità, la post-giustizia. Sua beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Kiev e capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, in un intervento pronunciato durante la sua visita all’Università cattolica d’America a Washington il 18 febbraio 2025 (a pochi giorni dal terzo anniversario dell’attacco russo su larga scala), ha affrontato molte questioni di drammatica attualità legate alla guerra in Ucraina: le sue cause, l’ideologia del «mondo russo», l’anelito a una pace giusta. Sottotraccia s’intravvede la preoccupazione per il processo di pace avviato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump insieme al presidente russo Vladimir Putin, con l’esclusione della stessa Ucraina e dell’Unione Europea dal tavolo delle trattative.
Chiedendo a tutti di unirsi al popolo ucraino «in questa testimonianza di Dio, della vita, della verità, della dignità, della libertà e della speranza», l’arcivescovo Shevchuk conclude: «Viviamo nella speranza perché abbiamo assistito al miracolo della liberazione dal giogo sovietico e non desideriamo tornare indietro. Viviamo nella speranza perché abbiamo lasciato la terra di prigionia e abbiamo intrapreso un viaggio verso la libertà e la dignità. Viviamo nella speranza perché Dio ci guida. Viviamo nella speranza perché abbiamo persone che ci sostengono e pregano per noi. Viviamo nella speranza, non siamo soli».
Di fronte ai tentennamenti, alle sgrammaticature, alle ambiguità di alcuni esponenti dell’attuale destra di governo e di fronte a un clima di radicalizzazione che ha coinvolto alcuni commentatori e alcuni esponenti della sinistra, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a Cuneo il 25 aprile per le celebrazioni del 78° anniversario della Liberazione d’Italia dal regime fascista e dall’occupazione nazista, ha ricordato nell’ordine: il rapporto costitutivo tra antifascismo e Resistenza e tra Resistenza e Costituzione; tra Costituzione repubblicana e forma e valori delle istituzioni democratiche; tra antifascismo, Resistenza e principi di civiltà, che furono programmaticamente conculcati e annichiliti, in nome di teorie aberranti, dal fascismo.
La rivolta morale dei resistenti – ha detto il presidente – fu un movimento patriottico per il riscatto della nazione; la guerra di liberazione dal nazifascismo riguardò in forma plurale culture e componenti diverse della società e delle istituzioni; il significato attuale della Resistenza riguarda i valori condivisi di libertà e solidarietà, evidenziando come a livello internazionale quei valori siano oggi nuovamente minacciati in Europa, con la guerra d’invasione Russa in Ucraina.
Due le affermazioni che vanno oggi a correggere atteggiamenti politici inadeguati: non si può essere post-fascisti senza essere antifascisti; la Resistenza è patrimonio di tutti, non monopolio di qualcuno.
Sento che la vita a Hong Kong, compresa quella della nostra Chiesa, sta diventando sempre più simile a un’esistenza tra le crepe. Un tempo godevamo di molto spazio e libertà di espressione, potevamo esprimere le nostre opinioni in qualsiasi modo. Naturalmente, come cristiani, dobbiamo salvaguardare le nostre lingue dall’immoralità e dall’ipocrisia. Ma quello spazio per la nostra libertà ed espressione, che avevamo dato per scontato, sembra diminuire.
Attualità
Documenti
Moralia
il Regno delle Donne
Newsletter
{{resultMessage}}
{{warningMessage}}
{{resultMessage}}