D. Coggan: a servizio delle relazioni
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La bolla d’indizione del giubileo 2025, promulgata nel maggio scorso da papa Francesco (cf. Regno-doc. 11, 2024,321), prende il suo spunto iniziale dalla Lettera ai Romani 5,5, «la speranza non delude».
I sistemi d’intelligenza artificiale danno oggi un aiuto fondamentale all’azione, alla percezione e alla conoscenza umana. Il rapido progresso tecnico offre potenzialità di sviluppo sempre ulteriori.
E, tuttavia, lo stesso progresso non è esente da rischi: ad esempio, divenire strumento d’esclusione e d’ingiustizia per i pregiudizi integrati negli algoritmi, che in misura crescente regolano la vita. Ma anche la possibilità che un certo entusiasmo non sorvegliato induca nella cultura visioni riduttive dell’umano, della sua intelligenza – che non è solo calcolante – e della sua creatività, segnata da un limite fecondo, che la fede esprime come creaturalità e coglie attraverso la categoria biblica di carne. La polarità virtuale-fisico (materiale-immateriale) è lo snodo intorno al quale sono articolate le quattro riflessioni tra tecnologia, antropologia, filosofia e teologia raccolte nel dossier e frutto di un seminario di studi organizzato lo scorso febbraio dall’associazione Nuovo SEFIR: dal ripensamento delle operazioni «mentali» nel loro intreccio con la corporeità, alle idee di persona e di risurrezione della carne – patrimonio della fede cristiana, capaci di offrire al pensiero intorno all’uomo spunti di resistenza feconda davanti all’avanzata di tentazioni «tecno-gnostiche».
Come Eugen Biser ha fatto notare, la teologia cristiana – fin dai suoi inizi – ha messo a disposizione dell’annuncio evangelico il suo lessico sperimentale, affollato di parole nuove (o prese in prestito dal vocabolario greco dei filosofi e dei tragediografi, ma pure dai rotoli di Israele, e via via risemantizzate) atte a render conto dell’inaudito racconto dei pescatori di Galilea.
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