Hans Küng, il teologo dogmatico svizzero-tedesco, riprende in questo saggio la proposta di un’etica mondiale. Facendo forza sull’estrema precarietà delle ragioni del vivere civile e del suo strutturarsi in forma mondiale e globale, riconosce come decisivo l’apporto delle religioni al fine di produrre le evidenze morali e di fondare l’incondizionatezza e l’universalità del dovere.
Le religioni del ceppo abramitico (ebraismo, cristianesimo e islam) hanno in comune la radice profetica e possono diventare straordinari vettori di pace e di concordia, a patto di fuoriuscire dalle secche del fanatismo. Un patrimonio etico comune è già visibile: dalla difesa del bene e della dignità dell’uomo alle massime elementari del rapporto reciproco (non mentire, non uccidere, non rubare, non fornicare, onora i genitori e ama i bambini), dalla ragionevole via di mezzo come prassi virtuosa alla regola d’oro ("Tutto ciò che voi volete che gli uomini facciano a voi, fatelo anche voi agli altri»), alla fondazione di motivazioni morali convincenti.
La proposta che solleva oggi ampia attenzione va collocata entro le sfide del dialogo interreligioso e ripercorre uno dei sentieri dell’intelligenza occidentale che già con Spinoza identificava la religione come la pratica della giustizia e della carità. L’indagine sull’ethos rimanda tuttavia ai modi con cui si costituiscono le comunità di fede e quindi alle componenti rituali e teologiche.
Il testo di Hans Küng va collocato dentro il confronto fra le morali delle diverse religioni e, soprattutto, fra le teologie che le sostengono. La forza di suggestione dell’etica mondiale nel discorso civile non può ignorare gli interrogativi radicali sul versante teologico. Il dialogo interreligioso si costituisce quindi come l’orizzonte in cui collocare e discutere la proposta.