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Attualità
Attualità, 2/1995, 15/01/1995, pag. 45

Etica mondiale. Ebrei, cristiani e musulmani: ecumene abramitica

H. Küng

Hans Küng, il teologo dogmatico svizzero-tedesco, riprende in questo saggio la proposta di un’etica mondiale. Facendo forza sull’estrema precarietà delle ragioni del vivere civile e del suo strutturarsi in forma mondiale e globale, riconosce come decisivo l’apporto delle religioni al fine di produrre le evidenze morali e di fondare l’incondizionatezza e l’universalità del dovere.

Le religioni del ceppo abramitico (ebraismo, cristianesimo e islam) hanno in comune la radice profetica e possono diventare straordinari vettori di pace e di concordia, a patto di fuoriuscire dalle secche del fanatismo. Un patrimonio etico comune è già visibile: dalla difesa del bene e della dignità dell’uomo alle massime elementari del rapporto reciproco (non mentire, non uccidere, non rubare, non fornicare, onora i genitori e ama i bambini), dalla ragionevole via di mezzo come prassi virtuosa alla regola d’oro ("Tutto ciò che voi volete che gli uomini facciano a voi, fatelo anche voi agli altri»), alla fondazione di motivazioni morali convincenti.

La proposta che solleva oggi ampia attenzione va collocata entro le sfide del dialogo interreligioso e ripercorre uno dei sentieri dell’intelligenza occidentale che già con Spinoza identificava la religione come la pratica della giustizia e della carità. L’indagine sull’ethos rimanda tuttavia ai modi con cui si costituiscono le comunità di fede e quindi alle componenti rituali e teologiche.

Il testo di Hans Küng va collocato dentro il confronto fra le morali delle diverse religioni e, soprattutto, fra le teologie che le sostengono. La forza di suggestione dell’etica mondiale nel discorso civile non può ignorare gli interrogativi radicali sul versante teologico. Il dialogo interreligioso si costituisce quindi come l’orizzonte in cui collocare e discutere la proposta.

Oggi la molteplicità delle religioni, confessioni e denominazioni di sette, gruppi e movimenti religiosi è veramente imbarazzante, addirittura inquietante. Un universo di giustapposizioni, intrecci e contrapposizioni a perdita d’occhio. Volendo racchiudere questa iper-complessità, cresciuta lungo i secoli, in una considerazione non solo regionale o nazionale, ma estesa nel tempo e nello spazio al mondo intero e quindi in questo senso planetaria, e volendo gettare un nuovo sguardo su questo sconfinato paesaggio in campo religioso, la cosa migliore che si possa fare, di fronte all’«unica storia religiosa dell’umanità» (Wilfred Cantwell Smith), è quella di attenersi alle grandi correnti religiose ancor oggi esistenti.

Analoghi problemi e cammini di salvezza

Ora guardando al mondo di oggi ed esplorando il nostro pianeta, come si potrebbe fare ad esempio da un satellite, è possibile distinguere anche attualmente nel paesaggio culturale del pianeta tre grandi sovraindividuali, internazionali e transculturali correnti religiose con i loro bacini idrografici, ognuno dei quali presenta la propria genesi e morfologia:

– le religioni di origine semitica: hanno un carattere profetico, partono sempre dal faccia a faccia di Dio e dell’uomo e si pongono per lo più nel segno dell’incontro-scontro religioso: ebraismo, cristianesimo e islam;

– le religioni di origine indiana: sono sostenute soprattutto da un atteggiamento di fondo mistico, tendente all’unità, e si pongono maggiormente nel segno della conversione religiosa interiore: antica religione indiana delle Upanishad, buddismo e induismo;

– le religioni della tradizione cinese: presentano una caratterizzazione sapienziale e si pongono essenzialmente nel segno dell’armonia: confucianesimo e taoismo.

Più antichi, più forti e più duraturi di molte dinastie e di molti imperi, questi grandi sistemi religiosi hanno modellato lungo i millenni il paesaggio culturale del pianeta. E come sul pianeta, nell’inflessibile ritmo del mutamento, si sono sollevati qua e là nei vari continenti nuovi massicci e altopiani, ma i grandi fiumi, più antichi, più forti e più duraturi, si sono sempre nuovamente ritagliati il loro corso nel paesaggio che si sollevava, così sempre di nuovo sono sorti nuovi sistemi sociali, nuovi stati e nuove dinastie. Ma i grandi antichi fiumi delle religioni – nonostante tutti i sollevamenti e gli sprofondamenti – hanno potuto continuare, con qualche adattamento e deviazione, la loro corsa e modellare sempre di nuovo i tratti del paesaggio culturale.

E ancora: come le correnti fluviali naturali del pianeta e i paesaggi che esse modellano sono senza dubbio estremamente diversi, ma i fiumi e le correnti dei diversi continenti presentano profili e declivi analoghi, obbediscono ad analoghe leggi, scavano gole nelle montagne, danno luogo a meandri nelle pianure e cercano inevitabilmente la loro strada verso il mare, così fanno anche le correnti religiose del pianeta. Per quanto diverse, esse mostrano sotto molti aspetti analoghi profili, sistemi di leggi e influssi. Per quanto imbarazzante possa essere la loro diversità, le religioni rispondono tutte ad analoghe domande fondamentali che l’uomo si pone: da dove viene il mondo e il suo ordine? Perché siamo nati e perché dobbiamo morire? Che cos’è che determina il destino della singola persona e dell’umanità? Qual è il fondamento della coscienza morale e dell’esistenza di norme etiche? Ed esse offrono anche, al di là di tutte le possibili interpretazioni del mondo, analoghi cammini di salvezza: vie d’uscita dall’ansia, dalla sofferenza e dalla colpa dell’esistenza umana mediante un comportamento significativo e coscienziosamente responsabile in questa vita verso una salvezza duratura, permanente, eterna...

Ma tutto ciò significa, al tempo stesso, che persino chi rifiuta le religioni è costretto a prenderle sul serio come una fondamentale realtà sociale ed esistenziale; esse infatti hanno a che vedere con il senso e la mancanza di senso della vita, con la libertà e la schiavitù dell’uomo, con la giustizia e l’oppressione dei popoli, con la guerra e la pace nella storia passata e presente. Ciò vale, in particolare, per le tre religioni profetiche, abramitiche: ebraismo, cristianesimo e islam. E tuttavia bisogna riconoscere che le tre religioni profetiche e rigidamente monoteistiche sono, nel loro insieme, notevolmente più attive, esclusive, e purtroppo spesso anche più aggressive, delle religioni di provenienza indiana e cinese.

Antagonismi e fondamentalismi

Purtroppo finora gli uomini hanno conservato nella loro memoria più il ricordo di ciò che li divide che non quello di ciò che li unisce:

– Ebrei e cristiani hanno radici comuni, ma i cristiani ricordano soprattutto il rifiuto del loro Cristo da parte degli ebrei e gli ebrei ricordano soprattutto la secolare persecuzione subita a opera dei cristiani in tutta Europa.

– Ebrei e musulmani sono vissuti per secoli in armonia (Egitto, Spagna, Istanbul), ma oggi ricordano soprattutto la contesa (cominciata solo nel nostro secolo) sull’unica e medesima Terra Santa.

– Cristiani e musulmani si considerano, come gli ebrei, figli di Abramo (e seguaci della «religione del libro»), ma finora ricordano soprattutto i loro cinque grandi scontri:

– il primo nel VII secolo: l’impero romano orientale, cristiano, perde, a causa della conquista islamica, i territori dove è nata la sua religione: Palestina, Siria e Egitto;

– il secondo nel VIII secolo: l’islam conquista tutta l’Africa settentrionale e la Spagna;

– il terzo nel XII-XIII secolo: le crociate riportano per un certo tempo la Terra Santa e Gerusalemme sotto il controllo cristiano;

– il quarto nel XV-XVI secolo: i turchi conquistano Costantinopoli (1453) e i Balcani;

– il quinto nel XIX-XX secolo: le potenze coloniali europee, cristiane, dominano in tutta l’Africa settentrionale e nel Medio Oriente.

Di fronte a questo scontro secolare ci si potrebbe chiedere: chi sarebbe il più grande uomo di stato, il più grande saggio del nostro tempo? Certamente chi fosse in grado di riportare la pace fra ebrei, cristiani e musulmani, soprattutto fra arabi ed ebrei, fra israeliani e palestinesi. O una tale pace è destinata a rimanere per sempre un’illusione? Oggi tutti i paesi del Medio Oriente tornano ad armarsi. Dobbiamo aspettare che scoppi la sesta guerra arabo-israeliana? Molti si chiedono: se è stato possibile, dopo tutte le guerre calde e fredde, riportare la pace fra cattolici e protestanti, perché con il tempo non dovrebbe essere possibile riportare la pace anche fra ebrei, cristiani e musulmani? E se è stato possibile fare la pace fra tedeschi e francesi, «nemici giurati» di vecchia data, perché non dovrebbe essere possibile fare la pace fra israeliani e arabi?

In tale contesto, in riferimento al più recente passato, si deve notare che la guerra del Golfo non è stata una guerra fra cristiani e musulmani, anche se ha rischiato di diventarlo parzialmente nella coscienza delle masse arabe e cristiane. Allo stesso modo, non esiste una situazione di «inimicizia giurata» fra ebrei e musulmani, dal momento che, come abbiamo già accennato, fino al XX secolo essi sono vissuti molto spesso in armonia. No, la giustificata indignazione nei confronti di Saddam Hussein o la situazione in Iran non deve portare a una condanna in blocco dell’islam come religione aggressiva, bellicista e spregiatrice dell’uomo. Ma ecco l’obiezione: come comportarsi allora con il fondamentalismo islamico, il quale sotto vari aspetti (uso della tecnica, dei mezzi di comunicazione, dei mezzi di trasporto e dei sistemi finanziari) si presenta in un modo del tutto moderno?

Per quanto riguarda il problema del fondamentalismo islamico, o islamismo come viene meglio chiamato negli ambienti musulmani, si può dire quanto segue:

1) L’islam non è assolutamente tutto fondamentalista. Anche nell’islam vi sono stati, e vi sono tuttora, movimenti di riforma.

2) Il cristianesimo, da parte sua, non è affatto una religione solo tollerante. Il fondamentalismo esiste anche nel cristianesimo, di derivazione protestante (di là viene il termine) e cattolica (nuovo esempio: la Polonia); il fondamentalismo esiste anche nell’ebraismo (dentro e fuori Israele).

3) Il fondamentalismo non ha solo radici religiose, ma anche ecologiche, sociali, politiche. Esso attira l’attenzione su scompensi della modernità che dovrebbero essere presi sul serio anche da chi rifiuta le soluzioni del fondamentalismo.

4) Non si può perciò vincere il fondamentalismo in quanto fenomeno religioso, attaccandolo direttamente, ma lo si può superare solo mediante la comprensione e l’empatia.

Che fare dunque di fronte al fondamentalismo presente in tutte le religioni? Sono quattro le indicazioni importanti:

a) Da una parte, bisogna attirare l’attenzione degli stessi fondamentalisti sulle radici della libertà, del pluralismo, dell’apertura agli altri in seno alla loro rispettiva tradizione: nella Bibbia ebraica e nel Talmud, nel Nuovo Testamento e nella tradizione ecclesiale, nel Corano e nella Sunna;

b) dall’altra, bisogna attirare l’attenzione dei progressisti sulla necessità dell’autocritica: nei riguardi di ogni pigro adeguamento alla mentalità del tempo che non riesce a dire di no; nei riguardi di ogni assenza di sostanza religiosa, di posizione teologica e di impegno etico in una religiosità liberale moderna che non conosce limiti.

c) Proprio coloro che non vogliono accettare l’autoritarismo romano-cattolico, il biblicismo protestante, il tradizionalismo ortodosso o le correnti reazionarie di provenienza ebraica o musulmana devono perseguire e vivere in modo credibile un nuovo orientamento spirituale di fondo.

d) Nonostante tutte le difficoltà e i contrasti, bisogna cercare di dialogare e di collaborare sia in campo politico-sociale, sia in campo religioso-teologico anche con i fondamentalisti.

e) Naturalmente, là dove il fondamentalismo si allea con il potere politico-militare-poliziesco (in diversi stati islamici, caso Rushdie) o anche con il potere spirituale (il Vaticano contro i teologi, i vescovi, le donne), lo si deve contrastare con la massima decisione, sia dall’esterno che dall’interno. Un esempio di questa resistenza dall’interno è la Dichiarazione di Colonia di 163 teologi di lingua tedesca, fatta propria anche da altre conferenze di teologi a livello internazionale, contro le nomine dei vescovi, le direttive riguardanti i teologi e l’insegnamento della teologia, emanate dal Vaticano (in Regno-att. 4,1989,71).

Si spera che con l’andar del tempo le grandi religioni trovino la strada fra un modernismo senza fondamento e un fondamentalismo senza modernità, senza autocritica, tolleranza e disponibilità al dialogo, trovino la strada fra la permissività e l’esclusività, fra il lassismo e l’aggressività.

Ma qualunque destino avrà il fondamentalismo, una cosa è certa: in un conflitto fra popoli e gruppi etnici gioca spesso, anzi il più delle volte, anche l’aspetto religioso.

Prendere sul serio la dimensione religiosa

In quanto fenomeno umano, la religione è ambivalente, come l’arte o la musica. La religione può rinforzare i contrasti, ma può anche ridurli. La religione può motivare, attizzare e prolungare le guerre, ma può anche impedirle e abbreviarle.

La pace fra Francia, Germania e Italia è stata assicurata da cristiani convinti: Charles de Gaulle, Konrad Adenauer, Maurice Schumann, Alcide de Gasperi.

La pace fra Germania e Polonia è stata preparata da un memorandum della chiesa protestante.

Le rivoluzioni pacifiche in Polonia, Repubblica Democratica Tedesca, Cecoslovacchia, Sudafrica e Filippine hanno dimostrato che la religione può essere una forza di pace.

Non è quindi superfluo chiederci anche ora: non si sarebbe forse potuta evitare la guerra del Golfo se si fosse preso per tempo sul serio il problema del Golfo, come pure il problema della Palestina, che avvelena da decenni le relazioni del mondo occidentale con il mondo arabo? Se si fosse avviato per tempo il dialogo ecumenico fra cristiani, ebrei e musulmani per la conservazione della pace, ma anche in vista della soluzione della questione palestinese?

Vorrei dirlo con estrema chiarezza. Accanto agli aspetti puramente strategici, economici e politici, non si può dimenticare la dimensione sociale, morale e religiosa di queste crisi e ciò vale anche per la Iugoslavia. Vi è stata tutta una serie di malintesi fra gli Stati Uniti e l’Iraq, come prima fra gli Stati Uniti e l’Iran, che hanno paralizzato la diplomazia e reso impossibile fin dall’inizio un’intesa. Sembra proprio vero che, in queste crisi, i politici, i diplomatici e i militari hanno fallito non da ultimo per la loro scarsa conoscenza della cultura, della mentalità e della religione dei popoli del Medio Oriente. Altrimenti, si sarebbero resi conto: che il problema di Israele, anche se viene strumentalizzato come alibi da un politico criminale, è per le masse islamiche, da Rabat e Algeri fino a Il Cairo, Amman e Riyad, un problema centrale (anche religioso); che ogni azione militare dell’Occidente, in cui si invoca Dio, evoca il trauma delle crociate; che, dal tempo del colonialismo e dell’imperialismo occidentale, le popolazioni islamiche si sentono ancora profondamente ferite e disprezzate nella loro dignità e nella loro religione.

Ciò che le religioni possono «fare»

Tutti gli stati interessati a questo conflitto – gli Stati Uniti e i paesi europei, poi Israele e gli stati arabi – rappresentano, ognuno a suo modo, una delle grandi religioni mondiali: cristianesimo, ebraismo e islam. Ma la mia domanda è: queste religioni sono assolutamente costrette a rimanere in uno stato di vicendevole opposizione e lotta? Eppure, come religioni profetiche, esse hanno fin dall’inizio molte cose in comune. Se si ricordassero di questo fondamento, potrebbero portare un contributo della massima importanza alla pace mondiale. Il loro primo dovere in questo tempo è perciò quello di usare tutti i mezzi, compresi quelli offerti oggi dalla comunicazione, per chiarire i malintesi, rimuovere i cliché del nemico, eliminare l’odio e riconoscere il loro terreno comune. Ma in che cosa consiste questo terreno comune delle religioni? Che cosa possono «fare»? Che cosa le distingue dalle filosofie o dai sistemi etici?

Non ho alcun bisogno di attardarmi su questo punto. Sono io stesso un convinto credente in Dio e un cristiano. E proprio in quanto credente in Dio sono fermamente convinto che anche l’uomo senza religione può condurre una vita autenticamente umana, quindi degna dell’uomo e in questo senso morale; proprio questo esprime l’autonomia intramondana dell’uomo. Ma una cosa non può fare l’uomo senza religione, anche nel caso in cui dovesse darsi di fatto norme morali incondizionate: fondare l’incondizionatezza e l’universalità del dovere morale. Rimane incerto: perché devo seguire incondizionatamente, quindi in ogni caso e ovunque, queste norme anche quando sono assolutamente contro i miei interessi? E perché tutti devono fare così? Infatti che valore ha, in ultima analisi, un ethos se non tutti lo praticano? Che valore ha, in ultima analisi, un ethos se non vale indipendentemente da tutti i se e i ma, se non è incondizionato, non ipotetico, ma «categorico» (Kant)?

Il problema sta naturalmente nel fatto che oggi – dopo la glorificazione nietzschiana di Al di là del bene e del male e dopo tanto banale nichilismo pratico – non si può più contare su un «imperativo categorico» quasi innato in tutti gli uomini che li porti a considerare il bene di tutti come norma della propria azione. No, non è possibile fondare l’elemento categorico dell’esigenza etica, l’incondizionatezza del dovere, a partire dall’uomo, a partire dall’uomo variamente condizionato, ma solo a partire da un incondizionato, da un assoluto, che può conferire un senso totalizzante e che avvolge e penetra l’individuo, la natura umana, l’intera comunità umana. Tale può essere solo la Realtà ultima, suprema, che non può essere dimostrata razionalmente ma che può essere accolta con una ragionevole fiducia, comunque essa venga chiamata, compresa e interpretata nelle diverse religioni.

Perlomeno per le religioni profetiche, ebraismo, cristianesimo e islam, è solo l’incondizionato in tutto ciò che è condizionato che può fondare l’incondizionatezza e l’universalità dell’esigenza etica, di quella causa prima, di quel fondamento ultimo, di quel fine ultimo dell’uomo e del mondo, che noi chiamiamo Dio. Questa causa prima, questo fondamento ultimo e questo orientamento ultimo non significano per l’uomo alcuna determinazione dall’esterno. Al contrario, un simile fondamento, ancoraggio e orientamento dischiudono all’uomo la possibilità dell’autentico essere se stesso e agire da se stesso, gli permettono di auto-regolarsi e di essere auto-responsabile. Rettamente intesa, la teonomia non è quindi eteronomia, bensì fondamento, garanzia, ma anche limitazione dell’autonomia dell’uomo, che non può mai degenerare e trasformarsi in arbitrio. Solo il legame con un Assoluto e un Infinito assicura la libertà nei riguardi di tutto ciò che è finito e relativo. In tal senso, si può comprendere come, dopo le mostruosità del periodo nazista, sia stata inserita nel preambolo della Costituzione della Repubblica federale tedesca la doppia dimensione della responsabilità (di fronte a chi e per chi?): la «responsabilità di fronte a Dio e di fronte all’uomo».

Ma qualunque sia il modo in cui le diverse religioni fondano l’incondizionatezza dell’esigenza etica – mediante la derivazione dei loro imperativi da un Assoluto avvolto nel mistero o da una rivelazione, da un’antica tradizione o da un libro sacro –, una cosa è certa: le religioni possono presentare le loro norme etiche come dotate di un’autorità del tutto diversa rispetto a quella di una semplice istanza umana.

Le religioni parlano con assoluta autorità, che esprimono non solo mediante parole e concetti, dottrine e dogmi, ma anche mediante simboli e preghiere, riti e feste, quindi razionalmente ed emotivamente. Le religioni hanno infatti la possibilità di modellare l’intera esistenza umana, non solo quella di un’élite intellettuale, ma anche quella degli strati più ampi della popolazione e questo in un modo storicamente provato, culturalmente adeguato e individualmente concretizzato. No, la religione non può fare tutto, ma, dove funziona in modo umano, può dischiudere e introdurre un certo «di più» nella vita dell’uomo:

– La religione può trasmettere una particolare dimensione profonda, un globale orizzonte interpretativo anche di fronte alla sofferenza, all’ingiustizia, alla colpa e alla mancanza di senso, e un senso ultimo della vita anche di fronte alla morte: il da dove e verso dove della nostra esistenza.

– La religione può garantire valori superiori, norme incondizionate, motivazioni profonde e altissimi ideali: il perché e lo scopo della nostra responsabilità.

– La religione, attraverso simboli, riti, esperienze, obiettivi comuni, può produrre un asilo di fiducia, di fede, di certezza, di forza personale, di sicurezza e di speranza: una comunità e patria spirituale.

– La religione può fondare la protesta e la resistenza in situazioni di ingiustizia: l’insaziabile nostalgia, già ora operante, del «totalmente Altro».

E tuttavia, ogni volta che si parla in questo o in un altro modo della religione, ci si sente obiettare che le religioni non sono concordi, che affermano cose diverse, addirittura contraddittorie, non solo sull’Assoluto, ma anche sull’ethos dell’uomo. E proprio fra le tre religioni profetiche esistono sostanziali differenze: l’ebraismo èpolarizzato sul popolo di Dio e sulla terra; il cristianesimo sul Figlio di Dio e Messia; l’islam sulla parola di Dio e sul libro. Si tratta di differenze fin troppo note che le religioni hanno sempre difeso.

Ma i seguaci delle diverse religioni possiedono un’uguale coscienza di ciò che hanno in comune proprio sul piano dell’ethos? Assolutamente no. Si dovrebbe quindi elaborare in dettaglio, in base alle fonti, ciò che accomuna le grandi religioni. Vi è qui un importante e gratificante compito, appena iniziato, per gli studiosi delle diverse religioni. Naturalmente, è possibile già ora sintetizzare alcuni dei suoi primi risultati. La mia domanda è perciò la seguente: che cosa possono fare le religioni, nonostante il loro sistema molto diverso di dogmi e simboli, per quanto riguarda la promozione di quell’ethos che le distingue dalla filosofia, dalla prassi politica, dalle organizzazioni internazionali, dagli sforzi filantropici di ogni genere? Attiro qui brevemente la vostra attenzione su sei elementi decisivi.

Prospettive etiche delle religioni mondiali

1. Il bene dell’uomo

Certo, le religioni sono state e continuano a essere tentate di ruotare solo attorno a se stesse, al servizio della conservazione del potere delle loro istituzioni, costituzioni e gerarchie. E tuttavia esse possono, quando vogliono, con una forza morale ben diversa da quella di molte organizzazioni internazionali, mostrare in modo credibile al mondo che esse si preoccupano del bene dell’uomo. Tutte le grandi religioni presentano infatti con autorità un orientamento religioso di fondo che è fatto di sostegno, aiuto e speranza di fronte al modo di agire proprio di tutte le istituzioni umane, di fronte agli interessi particolari dei diversi individui e gruppi e di fronte all’eccesso di informazione da parte dei mass-media.

In concreto. È proprio colui che crede veramente in Dio, nella tradizione profetica, che dovrebbe impegnarsi coerentemente nella pratica del bene dell’uomo. Ciò attesta il doppio comandamento ebraico dell’amore di Dio e del prossimo e la sua radicalizzazione (fino all’amore dei nemici) nel discorso della montagna di Gesù, come pure l’incessante richiesta di giustizia, verità e buone opere da parte del Corano. Ma va qui ricordata anche la dottrina buddista del superamento della sofferenza umana, nonché l’impegno induista verso il compimento del «darma» e l’esigenza confuciana di salvaguardare l’ordine cosmico e con esso l’umano. Tutte le grandi religioni sottolineano con incondizionata autorità – come appunto solo le religioni possono e devono fare – il bene e la dignità dell’uomo come principio fondamentale e fine pratico dell’ethos umano. Ciò significa concretissimamente la vita, l’integrità, la libertà e la solidarietà dell’uomo. Così la dignità, la libertà, i diritti dell’uomo non sono stabiliti solo positivisticamente, ma sono basati su una Profondità ultima, sono fondati in modo religioso.

2. Massime di elementare umanità

Certo, le religioni sono state e continuano a essere tentate di fissarsi in tradizioni particolari, in dogmi misteriosi e in prescrizioni rituali e di incapsularvisi dentro. E tuttavia esse possono, quando vogliono, con un’autorità e forza di convinzione, ben diverse rispetto a quelle dei politici, dei giuristi e dei filosofi, promuovere fondamentali massime di elementare umanità. Tutte le grandi religioni richiedono infatti certi non-negotiable standards: basilari norme etiche e massime orientative dell’azione, fondate su un Incondizionato, un Assoluto e proprio per questo valide incondizionatamente per centinaia di milioni di uomini.

In concreto. In tutte le grandi religioni mondiali valgono cinque grandi comandamenti di umanità, che hanno innumerevoli applicazioni anche in economia e in politica: 1) non uccidere; 2) non mentire; 3) non rubare; 4) non fornicare; 5) onora i genitori e ama i bambini. A molti questi comandamenti possono sembrare ovvii. Ma quante cose si dovrebbero cambiare, e cambierebbero di fatto, se anche solo il comandamento «non rubare» venisse fatto oggetto di maggior attenzione a livello di coscienza generale e fosse applicato al male della corruzione (purtroppo imperversante anche negli stati che prima ne erano immuni)?

Queste norme valide incondizionatamente si oppongono a un libertinismo senza principi, che vive solo del momento presente e si lascia guidare esclusivamente dalla situazione. Ma, d’altra parte, queste norme non devono essere trasformate in un servile legalismo, il quale, incurante della situazione concreta, vuole imporre la lettera della legge. In problemi complessi, quali il controllo delle nascite, l’interruzione della gravidanza o l’aiuto a morire, non si possono fornire soluzioni consultando semplicemente la Bibbia o un qualsiasi altro libro sacro.

3. La ragionevole via di mezzo

Certo, le religioni sono state e continuano a essere tentate di cavalcare in modo legalistico, sia nell’etica individuale e sociale che in quella sessuale, economica e politica, qualsiasi posizione rigoristica estrema. E tuttavia possono, quando vogliono, persuadere centinaia di milioni di uomini sul pianeta a seguire una ragionevole via di mezzo fra il libertinismo e il legalismo. Tutte le grandi religioni promuovono infatti modelli di azione che additano una via di mezzo, assolutamente importante di fronte alla complessità delle inclinazioni, passioni, emozioni e interessi sul piano individuale e collettivo.

In concreto. Si tratta di una via di mezzo fra brama di possesso e disprezzo del possesso, fra edonismo e ascetismo, fra piacere dei sensi e avversione ai sensi, fra adorazione del mondo e negazione del mondo. Si tratti dei doveri cultuali-sociali, che strutturano tutta la vita di un indù, o della «serenità» del buddhista nel suo rapporto con il mondo o della dottrina di Confucio che mira alla saggezza; si tratti dei comandamenti della Torah e del Talmud, che indicano all’uomo davanti a Dio i suoi doveri nel mondo o della predicazione né legalistica né ascetica di Gesù o delle molte ragionevoli prescrizioni del Corano, orientate alle necessità della vita quotidiana, ciò che si richiede, in ogni caso, è un’azione cosciente e responsabile nei confronti di se stessi e del mondo circostante. Tutte le religioni esigono non solo certe regole del gioco, ma certe disposizioni, certi atteggiamenti e certe «virtù» in grado di guidare il comportamento dell’uomo dall’interno, cosa che non possono fare allo stesso modo le prescrizioni giuridiche. Tradotta nell’attuale situazione sociale, la ragionevole via di mezzo significherebbe una via fra l’ignorante razionalismo e il lacrimoso irrazionalismo, fra la fede nella scienza e la demonizzazione della scienza, fra l’euforia tecnologica e il rifiuto tecnologico, fra la semplice democrazia formale e la democrazia popolare totalitaria.

4. La regola d’oro

Certo, le religioni sono state e continuano a essere tentate di perdersi in una sterminata sterpaglia di comandamenti e prescrizioni, canoni e paragrafi. E tuttavia, esse possono assicurare, quando vogliono, con un’autorità molto diversa rispetto a quella di qualunque filosofia, che l’applicazione delle loro norme valga non a seconda dei casi, ma in modo categorico. Le religioni possono dare all’uomo una norma di coscienza superiore, quell’imperativo categorico, immensamente importante per l’odierna società, che obbliga a una profondità e con una sistematicità del tutto diversa. Tutte le grandi religioni propongono infatti una specie di «regola d’oro» – che è norma non solo ipotetica, condizionata, ma incondizionata, categorica, apodittica – assolutamente praticabile nelle situazioni estremamente complesse in cui il singolo o anche i gruppi sono spesso costretti a operare.

Questa «regola d’oro» si trova già in Confucio: «Ciò che tu stesso non desideri, non farlo neppure agli altri» (Confucio, c. 551-489 a.C.), ma anche nell’ebraismo: «Non fare agli altri ciò che non vuoi che ti facciano» (Rabbi Hillel, 60 a.C. - 10 d.C.) e, infine, anche nel cristianesimo: «Tutto ciò che voi volete che gli uomini facciano a voi, fatelo anche voi agli altri». L’imperativo categorico di Kant potrebbe essere inteso come una modernizzazione, una secolarizzazione e formalizzazione di questa regola d’oro: «Agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere sempre anche come principio di una legislazione universale», oppure: «Agisci in modo da usare l’umanità, sia nella tua persona che nella persona di qualunque altro... sempre anche come fine e mai solo come mezzo».

5. Motivazioni morali

Certo, le religioni sono state e continuano a essere tentate di comandare gli uomini in modo autoritario, di richiedere l’obbedienza cieca e di violare la coscienza. E tuttavia, esse possono, quando vogliono, offrire motivazioni morali convincenti. Infatti, di fronte a tanta frustrazione, tanto letargo e apatia, oggi imperanti soprattutto nelle giovani generazioni, esse possono offrire, per antichissima tradizione in forma adeguata al nostro tempo, motivi di azione convincenti: non solo idee eterne, principi astratti e norme generali, ma anche l’incarnazione viva di un nuovo atteggiamento di fronte alla vita e di un nuovo stile di vita.

In concreto. I modelli di vita che continuano a offrire delle motivazioni fino ai nostri giorni sono quelli che sono stati vissuti e proclamati dai grandi personaggi-leaders delle religioni mondiali: Buddha, Gesù Cristo, Confucio o Lao-tse, il profeta Maometto. La conoscenza del bene, le sue norme, i modelli, i simboli sono trasmessi all’individuo solo socialmente. Vi è un’enorme differenza fra l’insegnare astrattamente all’uomo un nuovo stile di vita e l’invitarlo a quello stile di vita attraverso il rinvio ad un modello di vita concreto, vincolante: l’invito a seguire Buddha, Gesù Cristo, Confucio, Lao-tse o il profeta Maometto.

6. Orizzonte di senso e fine ultimo

Certo, le religioni sono state e continuano ad essere tentate dalla doppia morale, dal predicare cioè i doveri etici soltanto agli altri, senza anzitutto applicarli in modo autocritico a se stesse. E tuttavia, esse possono, quando vogliono, anche oggi – o oggi nuovamente – con una straordinaria forza persuasiva, far risplendere credibilmente sulla terra per centinaia di milioni di uomini, nella dottrina, nell’ethos e nel rito, contro il vuoto e la mancanza di senso, un orizzonte di senso e anche un fine ultimo.

In concreto. Tutte le religioni rispondono alla domanda sul senso del tutto, della vita, della storia, con lo sguardo rivolto a una Realtà ultima già all’opera qui e ora – sia essa intesa con l’ebraismo classico come «risuscitazione», con il cristianesimo come «vita eterna», con l’islam come «paradiso», con l’induismo come «moksha», con il buddismo come «nirvana» o con il taoismo come «immortalità». Proprio di fronte a tante frustrazioni e tante sperienze di sofferenza e di fallimento, le religioni possono trasmettere, mediante il loro aiuto e la loro guida, un’offerta di senso oltre la morte e una significatività già qui e ora, e questo anche nel caso in cui l’azione morale non abbia avuto successo.

L’ecumene abramitica

In riferimento all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam, possiamo ulteriormente concretizzare questi problemi. Queste tre religioni hanno infatti in comune la fede nell’unico e medesimo Dio. E le religioni abramitiche sono portatrici ancor oggi di un retaggio profetico che è rimasto fortunatamente comune all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam:

1) Ebrei, cristiani e musulmani credono nell’unico Dio che non tollera accanto a sé nessun altro dio, potenza, signore e figura, ma che è non solo il Dio di un popolo, bensì di tutti i popoli, non un Dio nazionale, ma il Signore del mondo che vuole il bene di tutti i popoli.

2) Ebrei, cristiani e musulmani si conservano fedeli a un fondamentale ethos profetico: richieste umane di giustizia, verità, fedeltà, pace e amore, fondate come richieste di Dio stesso.

3) Ebraismo, cristianesimo e islam sono caratterizzati dalla critica dei profeti contro rapporti ingiusti e inumani in cui sono costretti a vivere uomini umiliati, schiavizzati, sfruttati. Nessun servizio di Dio senza servizio dell’uomo e diritti umani.

Esiste quindi un fondamento assolutamente reale per un’ecumene delle tre religioni, che costituiscono insieme il movimento monoteistico mondiale eticamente orientato e che potremmo chiamare, con riferimento ad Abramo, ecumene abramitica. Sono convinto che non vi potrà essere pace in Medio Oriente se non si riuscirà a rendere operante sul piano della politica mondiale l’ecumene abramitica. Come si potrebbe altrimenti opporsi in tutti i campi ai fanatici e ai fondamentalisti religiosi, i quali scambiano il fondamento religioso più certo con un fondamentalismo anacronistico-ideologico?

Detto in forma positiva:

– Sulla base della Bibbia ebraica e del Nuovo Testamento, adeguatamente intesi, ebrei e cristiani dovrebbero impegnarsi insieme per la dignità delle popolazioni arabe e islamiche che non vogliono essere le ultime colonie al mondo.

– Sulla base del Corano e del Nuovo Testamento, adeguatamente intesi, i musulmani e i cristiani dovrebbero impegnarsi insieme per il diritto alla vita del popolo ebraico, che ha sofferto più di tutti gli altri popoli in questi ultimi due millenni e che poco è mancato che non fosse sterminato.

– Sulla base della Bibbia ebraica e del Corano, adeguatamente intesi, gli ebrei e i musulmani dovrebbero impegnarsi insieme per la libertà minacciata delle comunità cristiane in tutti i paesi del Medio Oriente.

– Un comune impegno dunque di tutte e tre le religioni per la libertà, la giustizia e la pace, per la dignità dell’uomo e per i diritti umani, ovunque naturalmente in collaborazione anche con i popoli della tradizione indiana e cinese.

Per un ethos mondiale e la pace mondiale occorre dunque anche un particolare impegno delle grandi religioni mondiali. Che cosa significherebbe per centinaia di milioni di uomini:

– se i rappresentanti delle grandi religioni smettessero di attizzare guerre e cominciassero a promuovere la riconciliazione e la pace fra i popoli;

– se essi, in un tempo di disorientamento soprattutto delle giovani generazioni, ponessero davanti agli occhi i comuni valori, ideali e norme, un comune ethos mondiale, quale io ho brevemente tratteggiato, che dovrebbe poi essere prioritariamente diretto verso i problemi scottanti della società mondiale;

– se essi, per esempio di fronte alla catastrofica esplosione demografica, l’alto tasso di aborti e il potenziale da molti punti di vista minaccioso dell’emigrazione, si impegnassero per una ragionevole, umana regolazione delle nascite e per i relativi programmi di aiuto?

No, senza un chiarimento dei problemi religiosi fra ebrei, cristiani e musulmani non si potrà giungere neppure in Medio Oriente a soluzioni politiche durature.

– Si pensi solo al problema dei confini di Israele (sono veramente fissati dalla Bibbia?).

– Si pensi al problema dell’uso della forza nell’islam (è veramente richiesta dal Corano?).

– Si pensi al problema della tolleranza nel cristianesimo (è veramente rigettata nel Nuovo Testamento?).

– Il fondamentale problema politico mondiale della distensione politica è e rimane la questione palestinese. Si deve finalmente trovare una soluzione alla questione palestinese che continua a minacciare la pace in tutto il Medio Oriente e rendere possibile la pace di Israele non solo con l’Egitto, ma con tutti i suoi vicini. Al riguardo, le tre religioni devono confrontarsi con il loro proprio programma nel quale il termine «pace» – nella Bibbia ebraica shalom, nel Corano salam e nel Nuovo Testamento eirene (pax) – gioca un ruolo così importante:

– «Cerca la pace e perseguila» si dice nei salmi (Sal 34,15). «Ed essi forgeranno le loro spade in vomeri» è la visione di pace del profeta Isaia. «Un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra» (Is 2,4).

– «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio», si legge nel discorso della montagna (Mt 5,9). E l’apostolo Paolo: «Non rendete a nessuno male per male» (Rm 12,17).

– E il Corano, nonostante tutte le intimazioni ad armarsi contro i nemici infedeli, esige questo: «E se essi (i nemici) si piegano alla pace, allora piegati anche tu ad essa e confida in Dio» (Sura 8,61). E «Se essi (gli infedeli) si tengono in disparte da voi e non vi combattono e vi offrono la pace, Dio non vi dà facoltà di combatterli» (Sura 4,90).

Invece delle spaventose visioni di guerra e distruzione si deve realizzare una visione di pace. Al riguardo, ritengo che sia importante una cosa: le religioni e i loro rappresentanti, che sono rimasti finora così passivi, dovrebbero attivarsi, come in Europa orientale, Sudafrica e Filippine, anche nel Medio Oriente e in Bosnia e facilitare ai politici il loro compito di ristabilimento della pace. Non abbiamo bisogno di alcuna religione unitaria, ma abbiamo bisogno che regni finalmente la pace fra le religioni. In tutte le chiese, sinagoghe e moschee si dovrebbe non solo pregare per la pace, ma propagandare la pace.

Per questo abbiamo bisogno tutti insieme di visione, di fantasia, di coraggio e di effettivo infaticabile impegno, nel senso della Dichiarazione su un’etica mondiale adottata dal Parlamento delle religioni mondiali il 4 settembre 1994 a Chicago. Se essa fosse seriamente studiata e praticata, questa dichiarazione, pionieristica ed epocale, potrebbe cambiare il «volto della terra». Come conclusione mi sia permesso citare un passo della dichiarazione di Chicago:

«Sappiamo che le religioni non possono risolvere i problemi ambientali, economici, politici e sociali della terra. Tuttavia, esse possono fornire ciò che ovviamente non si può ottenere solo con le pianificazioni economiche, con i programmi politici, oppure con le regole giuridiche: una trasformazione dell’orientamento interiore, di tutta la mentalità, dei “cuori” delle persone e una conversione da una strada falsa a un nuovo orientamento della vita. Il genere umano ha urgente bisogno di riforme sociali ed ecologiche, ma ha altrettanto urgentemente bisogno di un rinnovamento spirituale. Come religiosi o persone spirituali ci assumiamo questo compito. Le forze spirituali delle religioni possono offrire un fondamentale senso di fiducia, un motivo di significato, dei modelli definitivi e una dimora spirituale. Naturalmente, le religioni sono credibili solo quando eliminano quei conflitti che scaturiscono dalle religioni stesse, abbattendo l’arroganza reciproca, la sfiducia, il pregiudizio e anche le immagini ostili, e dimostrano così rispetto per le tradizioni, per i luoghi sacri, le festività e i riti dei popoli che credono in modo diverso» (in Regno-doc. 7,1994,253).

Hans Küng

 

* Questo testo – che costituisce nella sua stesura un’ampia sintesi dell’opera dell’a. Per un’etica condivisa tra le religioni. Rizzoli, Milano 1992 – è stato occasionato dal 70° compleanno del teologo Casiano Floristàn. Di Floristan, Kung ha scritto in premessa a questa pubblicazione: «Non conosco nessun teologo in Spagna che potrebbe meritare una pubblicazione ad honorem più di Casiano Floristàn. In un modo estremamente coerente e sempre aperto, egli ha perseguito nella teologia, soprattutto in quella pratica, la linea del concilio Vaticano II e con i suoi contributi critico-costruttivi ha aiutato innumerevoli persone. Mi sento già da molti decenni legato a lui, grazie soprattutto al comune lavoro nell’ambito della rivista internazionale di teologia Concilium e anche nel quadro dell’”Associazione teologica Giovanni XXIII”. Egli è stato sempre per me non solo un interlocutore stimolante, ricco di conoscenze, di gentilezza e di umorismo, ma anche un fedele amico in tutte le difficoltà degli scorsi decenni. Con questo contributo vorrei esprimergli il mio pubblico ringraziamento».

 

Tipo Studio del mese
Tema Ecumenismo - Dialogo interreligioso
Area
Nazioni

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