«Abbiamo assistito a un profondo cambiamento nelle priorità europee, che si sono allontanate dalla solidarietà con le regioni e le comunità più fragili e dalla cooperazione allo sviluppo finalizzata a sradicare la povertà e la fame, a favore di una serie di interessi geopolitici ed economici più ristretti. Nonostante le lodevoli intenzioni che stanno dietro ad alcuni progetti che promuovono lo sviluppo umano alla base, alcune iniziative sostenute nell’ambito del Global Gateway dell’UE – pur essendo presentate come reciprocamente vantaggiose – sembrano troppo spesso replicare i modelli estrattivi del passato: privilegiando gli obiettivi aziendali e strategici europei rispetto ai reali bisogni e aspirazioni delle popolazioni africane».
Ha usato toni inusualmente critici la Dichiarazione congiunta del Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar (SCEAM) e della Commissione degli episcopati dell’Unione Europea (COMECE), pubblicata il 15 maggio in vista della riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione Africana e dell’Unione Europea del 21 maggio 2025. Intitolata «Perché sappiamo che le cose possono cambiare» (Laudato si’, n. 13), afferma tra l’altro che «è eticamente insostenibile chiedere che l’Africa diventi la discarica per la “transizione verde” dell’Europa».
Caro direttore, firmato «Una voce da Gerusalemme per la giustizia» e diffuso il 1° aprile scorso, è stato reso noto un documento che si autodefinisce «Testimonianza ecumenica per l’uguaglianza e per una pace giusta in Palestina/Israele».
Dopo la post-verità, la post-giustizia. Sua beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Kiev e capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, in un intervento pronunciato durante la sua visita all’Università cattolica d’America a Washington il 18 febbraio 2025 (a pochi giorni dal terzo anniversario dell’attacco russo su larga scala), ha affrontato molte questioni di drammatica attualità legate alla guerra in Ucraina: le sue cause, l’ideologia del «mondo russo», l’anelito a una pace giusta. Sottotraccia s’intravvede la preoccupazione per il processo di pace avviato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump insieme al presidente russo Vladimir Putin, con l’esclusione della stessa Ucraina e dell’Unione Europea dal tavolo delle trattative.
Chiedendo a tutti di unirsi al popolo ucraino «in questa testimonianza di Dio, della vita, della verità, della dignità, della libertà e della speranza», l’arcivescovo Shevchuk conclude: «Viviamo nella speranza perché abbiamo assistito al miracolo della liberazione dal giogo sovietico e non desideriamo tornare indietro. Viviamo nella speranza perché abbiamo lasciato la terra di prigionia e abbiamo intrapreso un viaggio verso la libertà e la dignità. Viviamo nella speranza perché Dio ci guida. Viviamo nella speranza perché abbiamo persone che ci sostengono e pregano per noi. Viviamo nella speranza, non siamo soli».
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