Se si vogliono porre correttamente i rapporti tra le religioni e la società è opportuno un loro ripensamento. È quanto il teologo protestante Pierre Gisel propone in questo saggio, che procede distintamente, ripensando la società in se stessa – a fronte di una tendenza contemporanea a intendere la laicità come mera neutralità e a non voler trattare le questioni umane fondamentali –, e allo stesso modo ripensando la religione in se stessa – a fronte di un’ideologizzazione di ciò che essa dichiara, autonomizzato e deculturato in maniera ingannevole, con spinte verso il radicalismo.
Le parole-chiave che attraversano il testo, come ad esempio laicità, politica, Stato, riconoscimento, religioni, radicalizzazioni, trascendenza, eccessi, differenze, genealogia, lasciano intendere che questo duplice ripensamento passa per le diramazioni di una storia lunga e differenziata. E può sfociare in una considerazione del sociale e del religioso che si apre alla produttività delle differenze, fonte di un rinnovamento utile per entrambe le realtà e capace di difendere, senza compromessi, la laicità.
Una «cosa sono i ministeri o uffici ecclesiali (come il presbiterato o l’episcopato), che la Chiesa contingentemente affida ad alcuni fedeli, mediante il sacramento dell’ordine (imponendo loro le mani), e altra cosa è il sacerdozio, che il Nuovo Testamento riconosce proprio esclusivamente di Gesù risorto, al quale l’insieme dei cristiani (uomini e donne) partecipa per il sacramento del battesimo, senza alcun bisogno di facoltà particolari». Può essere considerato questo il perno della riflessione che qui proponiamo: una rilettura, condotta in libertà, con brillantezza e qualche esplicita annotazione umoristica, della Lettera agli Ebrei, in particolare per considerare criticamente, entro un più ampio ragionamento sul ministero, l’«esclusione programmatica delle donne dal sacerdozio e dalla celebrazione di alcuni segni sacramentali ecclesiali (cresima, eucaristia, remissione dei peccati, unzione degli infermi)». L’autore annota in apertura che si tratta di «riflessioni personali su alcune riforme di dottrina e di linguaggio che mi sembrano scaturire da un’ingenua, ma attenta, lettura del Nuovo Testamento, che rimetto tuttavia interamente al giudizio e all’insegnamento autoritativo della Chiesa, mia madre»; ma è difficile non rilevare, proprio in riferimento alla donna nella Chiesa, la forza delle conclusioni: non c’è altra ordinazione sacerdotale; le donne sono già sacerdoti.
L’11 gennaio è stata resa pubblica dal card. Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa e presidente del Simposio delle conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar (SCEAM), una «sintesi delle risposte delle conferenze episcopali africane alla dichiarazione Fiducia supplicans», intitolata Nessuna benedizione per le coppie omosessuali nelle Chiese africane (cf. anche Regno-att. 2,2024,7). La proponiamo in una nostra traduzione dall’inglese (www.cbcgha.org).
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