Michael Walzer, filosofo politico, docente emerito dell’Institute for Advanced Study di Princeton, è stato condirettore per più di trent’anni della rivista Dissent, con cui tuttora collabora. L’intervista è stata registrata il 23 febbraio 2022, alla vigilia dell’aggressione russa all’Ucraina.
Credo d’aver dato prova, in tempi non sospetti, del mio apprezzamento per l’idea già in passato espressa da Pierluigi Consorti sull’opportunità di una riforma del diritto canonico che non partisse dal «centro», procedendo in senso «verticale», ma coinvolgesse tutti gli operatori ecclesiali, ponendola al servizio di ogni genere di umana «periferia» (nelle più svariate accezioni, «esistenziali», oltre che «geografiche»). Non posso, quindi, non condividere la tesi di Consorti che afferma che di ciò dovremmo davvero farci carico, in quanto canonisti (ed ecclesiasticisti), come e più di altri studiosi della fenomenologia giuridica.
Sin «dal primo momento papa Bergoglio si è messo con piglio a rimuovere i sedimenti del passato e ha manifestato una forza rinnovatrice non comune, paragonabile nei tempi moderni solo a quella di Paolo VI, nella stagione immediatamente successiva alla conclusione del concilio Vaticano II». Queste parole, scritte da Giuseppe Dalla Torre poco prima della sua immatura scomparsa, mi son venute in mente una volta letto, con la dovuta attenzione, per come meritava, lo scritto di Paolo Cavana, che di Dalla Torre è stato allievo, apparso su Regno-att. 16,2021,501ss.
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