Tullio Casali
Probabilmente non le dirò nulla di nuovo. Ma mi piacerebbe che ne fossero consapevoli anche i suoi tanti lettori che non sono bolognesi.
I quali si saranno accorti che, nel giro di poche settimane, la città di Bologna, a motivo di alcune espressioni della sua vita civile, e la Chiesa di Bologna, nelle sue istanze più rappresentative, hanno vissuto frizioni abbastanza forti da rimbalzare fin nelle cronache nazionali.
Il primo caso è stato quello delle «benedizioni contestate». Un Consiglio d’istituto ha deciso, a larghissima maggioranza, che, in orario extrascolastico e senza nessun obbligo per gli studenti (elementari e medie) e le famiglie, i parroci del territorio potessero andare a impartirle nelle scuole del territorio, ma ha incontrato la ferma resistenza di un gruppo di 11 insegnanti e 7 genitori che, col sostegno di alcune associazioni (Comitato Scuola e Costituzione, CGIL, UAAR,), ha prodotto un’istanza al TAR. Da parte dell’arcidiocesi, le dichiarazioni del vicario generale mons. Giovanni Silvagni hanno difeso la correttezza dell’iniziativa dei parroci.
Il secondo caso è stato quello delle «finte confessioni». Una giornalista del QN – Il Resto del Carlino, edito a Bologna, ha finto di confessarsi per verificare, intorno all’anniversario del pontificato, quanto la «base» sacerdotale sia in sintonia con l’insegnamento e gli atteggiamenti di papa Francesco. Questa volta è stato lo stesso arcivescovo, card. Carlo Caffarra, a prendere la parola, a nome dei vescovi della regione, per lamentarsi con molta fermezza di un’operazione in sé dubbia sul piano deontologico, compiuta oltretutto «violando la sacralità del sacramento».
Il terzo caso è quello del «Cassero blasfemo». Presso un circolo culturale che ha una lunga storia, essendo legato all’ARCI-Gay, ma che oggi è anche (soprattutto?) un locale di moda tra gli adolescenti, si è organizzata una serata in maschera che aveva a tema la superstizione e le credenze («Venerdì credici»), e che i soci/clienti hanno interpretato, con nessuna originalità, in chiave polemica verso la Chiesa e dissacrante verso la fede cristiana, alcuni ispirandosi alle più urticanti vignette di Charlie Hebdo. Anche stavolta è stato l’arcivescovo in prima persona a stigmatizzare molto duramente l’accaduto, dopo che, dal profilo Facebook dell’associazione, le immagini della serata erano state rese pubbliche e riprese da altre fonti.
Ecco dunque che, per pura coincidenza (non amo le dietrologie e non credo assolutamente che invece il tutto sia il risultato di un disegno), proprio mentre sono in corso le procedure per la nomina del prossimo arcivescovo, si diffonde l’immagine di una città in cui la Chiesa e la fede in Cristo sono sotto il tiro di aspri e concentrici «attacchi», a opera di forze potenti e radicate, delle quali – qualcuno dirà – non si potrà non tenere conto in sede di successione al card. Caffarra (il cui ministero terminerà, improrogabilmente, a giugno). Ma io non credo che questa immagine corrisponda al vero.
I soggetti promotori della «resistenza» alle benedizioni pasquali sono una piccola minoranza, da anni e anni attiva per modificare il rapporto tra scuola e Chiesa in senso anticoncordatario, ma con sempre minor seguito: meno di due anni fa tale minoranza aveva promosso e «vinto» un referendum consultivo contro il finanziamento comunale alle scuole d’infanzia paritarie ottenendo il consenso del 59% dei votanti, che però erano solo il 16% degli aventi diritto.
Quanto a Il Resto del Carlino, da molto tempo ormai Bologna non è più la «sua» città, ma solo una porzione significativa del suo mercato, che i suoi editori e direttori (la cui alternanza è tanto vorticosa da essere divenuta proverbiale) difendono molto più attraverso gli «strilli» fuori dalle edicole (anch’essi all’estremo limite della deontologia professionale), che cercando di capire i problemi della città e di contribuire a risolverli.
Infine, al «Cassero» si è svolta niente più che una brutta mascherata, e se i suoi responsabili vorranno tenere fede alla loro qualifica di centro culturale, bene faranno a spiegare a quei «cinni» che si sono allegramente svestiti da Cristi in croce che criticare le istituzioni religiose senza offendere il sentimento religioso delle persone richiede molta più intelligenza e cultura che scegliersi, strumentalmente, il più debole dei nemici e metterlo in ridicolo. Stiamo comunque parlando di un pugno di ragazzi.
La città, e la Chiesa, di Bologna dovrebbero avere, a mio avviso, ben altri pensieri. Dovrebbero chiedersi per quali strade potrebbero collaborare a smuoverci da un immobilismo che dura da decenni, a tirarci fuori ciascuno dal piccolo cassero (civile, politico, imprenditoriale, sportivo, religioso, culturale…) in cui ce ne stiamo anchilosati con i nostri pochi e selezionati amici.
Dovrebbero mettersi ad ascoltare gli altri, quelli che non frequentano nessun circolo ma prendono, con fatica, l’autobus o l’auto o la bici tutte le mattine. E si chiedono se avranno ancora lavoro domani, visto che al posto delle industrie ci sono solo delle banche e che dentro le banche, al posto degli impiegati, ci sono solo dei simpatici videoterminali. Se riusciranno mai a comprarsi una casa, visto che adesso costano un po’ meno ma da quei simpatici videoterminali non riescono a farsi prestare un euro. E a chi affideranno, se non a sé stessi, i loro bambini e i loro vecchi, viste le rette dei nidi e delle case di riposo.
Tutti costoro, soli nelle proprie periferie topografiche ed esistenziali, sarebbero ben disposti a prendersi anche una benedizione, o a confessarsi sul serio, e persino a lasciare che i figli vadano in discoteca al Cassero, pur di vedere accendersi un po’ di speranza per il domani. Chi gliela potrà dare?
Mi scusi
lo sfogo, e la retorica.
Bologna, 22 marzo 2015.