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l'Ospite

Marcello Neri

Una nazione, molti dèi. La strage nell’Emmanuel African Methodist Episcopal Church di Charleston non dovrebbe essere ridotta al gesto, folle e irrazionale, di un singolo. In questo atto drammatico, inimmaginabile ma possibile, di violenza inumana e sacrilega al tempo stesso, si annunciano le molte contraddizioni che si celano dietro il mito statunitense di “una nazione sotto Dio, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti” (Pledge of Allegiance).

Un mito costruito, coltivato, e troppo spesso celebrato nelle occasioni che ne rivelano la precarietà. Perché l’America è anche altro da quello che mostra e da quello che s’immagina di essere. Per gettare uno sguardo in questa contraddizione di fondo non c’è strumento migliore che la filmografia dei fratelli Coen.

E forse il massacro di Charleston non è solo l’esito di un larvato razzismo che gli Stati Uniti non hanno mai risolto. Forse è anche l’indice di un rimosso che la nazione non ha ancora elaborato a livello di coscienza diffusa, e non solo nelle aule dell’accademia. Il fantasma della Guerra civile, da cui nascono gli Stati Uniti moderni, si aggira minaccioso e ben vivo nei territori rurali e urbani degli stati del Sud, e forse non solo lì. Teatralizzato nei molti reenactments delle grandi battaglie di quei tempi, come spettacolo a godimento dei turisti in cui circola la memoria di una ferita non sopita, quel fantasma mostra una tenace resistenza a essere rinchiuso nella gabbia di una finzione da mettere semplicemente in scena.

E se nell’epoca di Obama la segregazione non si esplicita più nella forma dell’ideologia razziale, essa rimane un fenomeno non meno reale di quello di un tempo non poi così lontano. Ha cambiato solo i paradigmi del suo realizzarsi, diventando questione sistemica legata all’economia e alla pianificazione urbana. Una città come Milwaukee, che negli anni ’50 e ’60 del XX secolo era virtuosamente non segregata, lo è di fatto divenuta pian piano nei decenni seguenti, quando la ghettizzazione della popolazione afro-americana si è prodotta in ragione del disagio sociale ed economico che colpiva, e colpisce, questo ceto della popolazione statunitense.

In una cultura diffusa in cui la povertà è una colpa del singolo, e mai una questione sociale che chiama in causa la responsabilità di tutti, si aprono baratri per operazioni di pulizia, perché lì tutto deve essere igienico, in base al reddito e all’apparenza esterna che dovrebbero interrogare su cosa s’intenda con “giustizia per tutti”. Lo stesso American dream è la benedizione di pochi che legittima il destino infausto di molti. E, comunque, ogni straniero che passeggia per Manhattan gode del fatto che i problemi della città sono confinati altrove, senza poi farsi troppe domande scomode.

Il concetto giuridico di cittadinanza ha negli Stati Uniti un peso e un significato ignoto a noi europei: cardine di quell’idea e sogno di essere una nazione. Ma dentro di esso si apre come un abisso, nella vita reale, dal quale emerge il dato che al suo interno ci siano di fatto strati così distanti tra loro, fino quasi a non toccarsi, che lasciano pensare a molte “nazioni” ognuna con il suo Dio da celebrare, invocare, maledire.

Se di una nazione si vuole parlare, allora bisogna considerarne anche le patologie recondite: una sorta di schizofrenia accompagnata da tratti ossessivi-compulsivi. Sullo sfondo delle quali sta anche quella promessa di “libertà e giustizia per tutti”, malattia da cui gli Stati Uniti non riescono proprio a guarire nonostante le sue molte sconfitte, che innerva gli slanci migliori e più generosi di una nazione continuamente alle prese con le proprie contraddizioni.

È ai rappresentanti di questo paese, uno e molteplice al tempo stesso, che papa Francesco dovrà parlare davanti al Congresso degli Stati Uniti riunito in seduta comune in occasione della sua visita – un onore, ma anche il paradigma di un cambiamento di cui la Nazione è stata capace, se si tiene conto che l’establishment clause funzionò di fatto per lungo tempo secondo le armoniche di uno spirito anti-cattolico. Un riconoscimento di cittadinanza, dunque, della cui portata noi cattolici europei non siamo probabilmente pienamente consapevoli; in un momento in cui essa è entrata in sofferenza per la stessa popolazione americana – non tanto nei codici che la regolano, ma nella vita che la realizza.

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