o
l'Ospite

Ilaria Chia

Nek, suor Cristina, The Sun... Neanche il rock è impermeabile al Vangelo. Ne parliamo con fra Daniele Vallorani, studioso del rapporto tra musica rock ed evangelizzazione.

In una società che appare sempre più laica e secolarizzata, la musica pop e rock sembra riservare parecchie sorprese. Dai cantanti che dichiarano pubblicamente la loro conversione (Nek) ai religiosi che partecipano ai talent show (suor Cristina). Queste esperienze possono aiutare i giovani ad avvicinarsi alla fede o sono solo fenomeni di colore?

La musica ha avuto da sempre la capacità di farsi interprete dei sogni, delle aspirazioni e del malessere dei giovani, con le loro tensioni, anche violente, ma certamente profonde. Le canzoni, anche quelle cantate da suor Cristina, sono uno strumento fondamentale di espressione del mondo giovanile. Ciò che sorprende è accorgersi come in ogni genere musicale (rock, pop, cantautori, disco), si cerca di rispondere a domande importanti, aprendo la propria riflessione anche al mistero di Dio. I riferimenti alla Bibbia, al cristianesimo o ad altre religioni sono frequenti. Se si vuole tentare una generalizzazione riguardo al tema del rapporto con il divino o col mistero, si potrebbe dire che esso, per quasi tutti gli artisti, concerne la ricerca dell’autentico significato dell’essere umano. Dio, nella musica, non è quasi mai un tema astratto, ma si lega alla ricerca di un’identità autentica.

 

Ci sono poi molti brani di cantautori che, pur non dichiarandosi cattolici, esprimono tuttavia un forte senso religioso, ponendosi domande sul senso della vita. Che effetto ti fa sentire canzoni che citano riferimenti biblici?

Sentire la parola di Dio in un brano musicale è quanto di più normale ci possa essere. Tutti gli artisti, prima o poi, finiscono con il confrontarsi con il fatto che nella vita ci sono cose che non si spiegano da sole, nasce quindi il desiderio di cercare qualcosa che va oltre. I paradigmi biblici sono così ricchi e belli che sono insostituibili, anche per chi non è credente. Per fare un esempio, quando Guccini spiega l’origine della splendida “Dio è morto”, dice che non intendeva creare un brano manifesto del cristianesimo (come è diventato), ma che per spiegare il sacrificio e l’impegno necessario per un rinnovamento concreto della società (ricordiamoci che era il ’68), non ha trovato una metafora migliore della passione, morte e risurrezione di Cristo.

 

Nel 2009 hai presentato una tesi di laurea presso la Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna sul rapporto tra rock ed evangelizzazione. Come si fa a trasmettere la parola del Vangelo attraverso la musica leggera? Hai elaborato in questi anni un metodo particolare?

Da molti anni propongo dei percorsi di conoscenza della storia del rock. Questi permettono di ascoltare e contestualizzare la musica e gli autori, per capire l’origine anche di certi messaggi distorti o violenti. Annunciare il Vangelo attraverso la musica rock e pop è possibile, ma significa entrare principalmente in un mondo che risponde prima di tutto alle esigenze ed ai sogni dei ragazzi. Spesso si tende a svalutare le passioni dei giovani, mentre Giovanni Paolo II ci ha insegnato, attraverso gli incontri delle GMG, a guardare più in profondità. Questo grande papa, aprendo la Chiesa alla musica rock (proprio a Bologna ha dialogato sul palco con Bob Dylan), ci ha insegnato che la musica è capace di presentare l’immagine di Cristo a ogni uomo.

 

Quali sono i cantautori italiani che esprimono meglio la fede in Dio?

Direi che il più grande di tutti è Fabrizio De Andrè, che ha pregato e accusato Dio nei suoi dischi, sempre in una ricerca, come cantava, “in direzione ostinata e contraria”. Don Gallo di lui diceva: “Faber è uno che ti sveglia il dubbio che Dio esista davvero”. Ci sono poi ottimi brani di Renato Zero (“Ave Maria” e “La vita è un dono”), Francesco De Gregori (“Celebrazione” e “L’Agnello di Dio”), Adriano Celentano (“Pregherò” e “Ciao Ragazzi”). Ligabue dialoga spesso con Dio attraverso le sue canzoni, ad esempio in “Urlando contro il cielo” o “Hai un momento Dio”. Recentemente la band dei “The Sun” sta raccontando nei propri dischi il personale incontro con Dio, riscuotendo un invariato successo rispetto ai primi anni punk.

 

La musica può essere uno strumento decisivo per stabilire un ponte tra la Chiesa e le giovani generazioni. Secondo te si fa abbastanza in questo settore? In che direzione sarebbe bene muoversi per sfruttare in pieno le potenzialità di questo mezzo? 

La Chiesa non può trascurare di diventare missionaria anche nei meandri oscuri della musica rock, perché lo Spirito Santo, che è il vero protagonista della missione, ha inviato i suoi apostoli “in tutto il mondo, a ogni creatura”, a “tutte le genti”, “fino agli estremi confini della terra”. La musica rock non è forse uno degli estremi confini della terra, che può trovare spazio nel mondo della cultura umana? Infatti chi vuole comprendere appieno la mentalità e l’indole di un’epoca, deve consultare e ricercare, oltre la sua storia, anche la sua produzione letteraria e artistica, perché queste rivelano, con forza e chiarezza, il genio, le aspirazioni e le attese, i pensieri ed i sentimenti di un popolo.

Quando gli U2, in uno stadio pieno di giovani cantano un brano del Vangelo come “Until the end of the world” o il loro personale “Gloria”, è sempre la parola di Gesù che arriva nella vita, passando attraverso il cuore. Gli artisti, anche quando evadono dal mondo concreto e si abbandonano all’estro della fantasia, aprono preziosi spiragli sulla natura e sulle qualità dell’uomo, che non possono essere trascurate dalla nuova evangelizzazione.

Lascia un commento

{{resultMessage}}