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Documenti, 17/2025, 01/10/2025, pag. 498

Martiri del XXI secolo: l’unità viene dalla croce

Il 14 settembre Leone XIV, presso la basilica papale di San Paolo fuori le mura, ha presieduto una Commemorazione dei martiri e testimoni della fede del XXI secolo insieme ai rappresentanti delle altre Chiese e Comunioni cristiane, e ha tenuto l’omelia che pubblichiamo (www.vatican.va). Insieme alla preghiera in occasione del giubileo dei giovani (4 agosto), si tratta dell’unico evento ecumenico del giubileo.

 

Fratelli e sorelle,

 

      «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14). Le parole dell’apostolo Paolo, presso la cui tomba siamo riuniti, ci introducono alla commemorazione dei martiri e dei testimoni della fede del XXI secolo, nella festa dell’Esaltazione della santa croce.

      Ai piedi della croce di Cristo, nostra salvezza, descritta come la «speranza dei cristiani» e la «gloria dei martiri» (cf. Vespro della liturgia bizantina per la festa dell’Esaltazione della croce), saluto i rappresentanti delle Chiese ortodosse, delle antiche Chiese orientali, delle Comunioni cristiane e delle organizzazioni ecumeniche, che ringrazio per aver accettato il mio invito a questa celebrazione. A tutti voi qui presenti rivolgo il mio abbraccio di pace!

      Siamo convinti che la martyria fino alla morte è «la comunione più vera che ci sia con Cristo che effonde il suo sangue e, in questo sacrificio, fa diventare vicini coloro che un tempo erano lontani (cf. Ef 2,13)» (lett. enc. Ut unum sint, n. 84; EV 14/2846). Anche oggi possiamo affermare con Giovanni Paolo II che, laddove l’odio sembrava permeare ogni aspetto della vita, questi audaci servitori del Vangelo e martiri della fede hanno dimostrato in modo evidente che «l’amore è più forte della morte» (Commemorazione dei testimoni della fede nel XX secolo, 7.5.2000; Regno-doc. 11,2000,332).

      Ricordiamo questi nostri fratelli e sorelle con lo sguardo rivolto al Crocifisso. Con la sua croce Gesù ci ha manifestato il vero volto di Dio, la sua infinita compassione per l’umanità; ha preso su di sé l’odio e la violenza del mondo, per condividere la sorte di tutti coloro che sono umiliati e oppressi: «Si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori» (Is 53,4).

      Tanti fratelli e sorelle, anche oggi, a causa della loro testimonianza di fede in situazioni difficili e contesti ostili, portano la stessa croce del Signore: come lui sono perseguitati, condannati, uccisi. Di essi Gesù dice: «Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia» (Mt 5,10-11). Sono donne e uomini, religiose e religiosi, laici e sacerdoti, che pagano con la vita la fedeltà al Vangelo, l’impegno per la giustizia, la lotta per la libertà religiosa laddove è ancora violata, la solidarietà con i più poveri. Secondo i criteri del mondo essi sono stati «sconfitti». In realtà, come ci dice il Libro della Sapienza: «Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza resta piena d’immortalità» (Sap 3,4).

      Fratelli e sorelle, nel corso dell’Anno giubilare celebriamo la speranza di questi coraggiosi testimoni della fede. È una speranza piena d’immortalità, perché il loro martirio continua a diffondere il Vangelo in un mondo segnato dall’odio, dalla violenza e dalla guerra; è una speranza piena d’immortalità, perché, pur essendo stati uccisi nel corpo, nessuno potrà spegnere la loro voce o cancellare l’amore che hanno donato; è una speranza piena d’immortalità, perché la loro testimonianza rimane come profezia della vittoria del bene sul male.

      Sì, la loro è una speranza disarmata. Hanno testimoniato la fede senza mai usare le armi della forza e della violenza, ma abbracciando la debole e mite forza del Vangelo, secondo le parole dell’apostolo Paolo: «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. (…) Infatti quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,9-10).

      Penso alla forza evangelica di suor Dorothy Stang, impegnata per i «senza terra» in Amazzonia: a chi si apprestava a ucciderla chiedendole un’arma, lei mostrò la Bibbia rispondendo: «Ecco la mia unica arma». Penso a padre Ragheed Ganni, prete caldeo di Mosul in Iraq, che ha rinunciato a combattere per testimoniare come si comporta un vero cristiano. Penso a fratel Francis Tofi, anglicano e membro della Melanesian Brotherhood, che ha dato la vita per la pace nelle Isole Salomone. Gli esempi sarebbero tanti, perché purtroppo, nonostante la fine delle grandi dittature del Novecento, ancora oggi non è finita la persecuzione dei cristiani, anzi, in alcune parti del mondo è aumentata.

      Questi audaci servitori del Vangelo e martiri della fede «costituiscono come un grande affresco dell’umanità cristiana (…). Un affresco del Vangelo delle beatitudini, vissuto sino allo spargimento del sangue» (Giovanni Paolo II, Commemorazione dei testimoni della fede nel XX secolo).

      Cari fratelli e sorelle, non possiamo, non vogliamo dimenticare. Vogliamo ricordare. Lo facciamo, certi che, come nei primi secoli, anche nel terzo millennio «il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani» (Tertulliano). Vogliamo preservare la memoria insieme ai nostri fratelli e sorelle delle altre Chiese e Comunioni cristiane. Desidero quindi ribadire l’impegno della Chiesa cattolica a custodire la memoria dei testimoni della fede di tutte le tradizioni cristiane. La Commissione per i nuovi martiri, presso il Dicastero per le cause dei santi, adempie a tale compito, collaborando con il Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani.

      Come riconoscevamo durante il recente Sinodo, l’ecumenismo del sangue unisce i «cristiani di appartenenze diverse che insieme danno la vita per la fede in Gesù Cristo. La testimonianza del loro martirio è più eloquente di ogni parola: l’unità viene dalla croce del Signore» (XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, Documento finale, n. 23; Regno-doc. 21,2024,652). Possa il sangue di tanti testimoni avvicinare il giorno beato in cui berremo allo stesso calice di salvezza!

      Carissimi, un bambino pakistano, Abish Masih, ucciso in un attentato contro la Chiesa cattolica, aveva scritto sul proprio quaderno: «Making the world a better place», «Rendere il mondo un posto migliore». Il sogno di questo bambino ci sproni a testimoniare con coraggio la nostra fede, per essere insieme lievito di un’umanità pacifica e fraterna.

 

Leone XIV

Tipo Documento - Parte / Inserto
Tema Ecumenismo - Dialogo interreligioso
Area
Nazioni

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Documenti, 2025-17

La speranza di un rinnovamento ecclesiale

Discorso all'Assemblea della diocesi di Roma

Leone XIV

«Attraverso il processo sinodale, lo Spirito ha suscitato la speranza di un rinnovamento ecclesiale in grado di rivitalizzare le comunità, così che crescano nello stile evangelico, nella vicinanza a Dio e nella presenza di servizio e testimonianza nel mondo. Il frutto del cammino sinodale, dopo un lungo periodo di ascolto e di confronto, è stato anzitutto l’impulso a valorizzare ministeri e carismi, attingendo alla vocazione battesimale, mettendo al centro la relazione con Cristo e l’accoglienza dei fratelli, a partire dai più poveri, condividendone le gioie e i dolori, le speranze e le fatiche». Il 19 settembre papa Leone XIV ha partecipato, in quanto vescovo di Roma come egli stesso sottolinea, all’Assemblea della diocesi di Roma.

Nell’occasione ha sviluppato la propria interpretazione del significato della sinodalità, processo di riforma (per Leone «rinnovamento») ecclesiale ricevuto in eredità dal predecessore Francesco, abbracciandolo in pieno e riconducendolo al primato dell’evangelizzazione.

Insieme ha affidato alla diocesi tre compiti: la cura del rapporto tra iniziazione cristiana ed evangelizzazione, il coinvolgimento dei giovani e delle famiglie, «su cui oggi incontriamo diverse difficoltà», e la formazione a tutti i livelli.

Documenti, 2025-17

Sinodalità: i no e i sì

Card. Víctor Manuel Fernandez

«Riconosciamo che la chiamata alla sinodalità è un segno dei tempi, che dobbiamo sostenere con convinzione perché è un bene per la Chiesa. Il rischio più grande è quello di perdere l’occasione di realizzare un vero rinnovamento, un rinnovamento di cui tutta la Chiesa ha bisogno per non scomparire. Affinché la sinodalità significhi davvero un passo verso una Chiesa più evangelica e fedele a Gesù Cristo, dovremmo smettere di sentirla come un obbligo, e assumerla come una grande sfida di cui innamorarci, come un orizzonte luminoso per il futuro del nostro ministero».

Intervenendo il 6 settembre al corso di formazione per i vescovi di recente nomina, con una relazione intitolata «Sinodalità: perché no e perché sì», il prefetto del Dicastero per la dottrina della fede card. Víctor Manuel Fernández – già braccio destro e interprete fedele del magistero di papa Francesco – ha chiarito il significato di sinodalità alla luce delle priorità del nuovo pontificato, cioè unità collegiale e missionarietà, riaffermando nel contempo il senso profondo di una delle linee portanti del pontificato bergogliano. Essa infatti è stata assunta e fatta propria anche da Leone XIV, anche se le decisioni finali del processo sinodale sulla sinodalità stessa che si è svolto dal 2021 al 2024 sono ancora tutte da prendere.

Documenti, 2025-17

Riconciliazione e servizio alla pace

Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana (Gorizia, 22-24 settembre 2025)

«Dobbiamo, come Chiesa italiana e come Chiese europee, portare il nostro sostegno al Continente, per un suo consolidamento come realtà di democrazia, pace e libertà, per la difesa della persona umana in un mondo che appare tanto in movimento. Abbiamo dunque bisogno, oggi più che mai, di esempi concreti come quello di Gorizia per dimostrare che la pace non è un’utopia per ingenui, ma è la vocazione dell’Italia, dell’Europa e di ogni società umana degna di questo nome». Così si è espresso il card. Matteo Maria Zuppi il 22 settembre, aprendo a Gorizia i lavori del Consiglio episcopale permanente in sessione autunnale. L’Introduzione del cardinale presidente si è concentrata prevalentemente sul ruolo delle Chiese in Italia e in Europa per la promozione della pace, con un convinto riconoscimento dell’indispensabile compito del Continente per la democrazia e la difesa dei diritti umani. «L’Europa unita ha reso possibile molte cose... proprio perché si è fondata sulla cooperazione, nella coscienza di avere un destino comune di pace tra i paesi dell’Europa... e del mondo. Questi frutti mostrano come l’Europa esista e sia una via verso il futuro, forse più di quanto i cittadini avvertano a causa della distanza delle istituzioni comunitarie. Non solo l’Italia, ma l’Europa può diventare maestra di pace».

Il Consiglio permanente ha poi approvato il Documento finale del Cammino sinodale italiano, rielaborato dopo la bocciatura della seconda Assemblea sinodale in aprile, e definito il percorso prossimo per il sinodo italiano.