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Documenti, 15/2024, 01/09/2024, pag. 457

Come essere Chiesa sinodale missionaria

Sinodo «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione»

Segreteria del Sinodo - Instrumentum laboris per la seconda sessione

La XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, avviata da papa Francesco nel 2021 con un’ampia fase consultiva e dedicata alla conversione sinodale della Chiesa per adempiere meglio alla sua missione di evangelizzare, volge verso la fase conclusiva. Dal 2 al 27 ottobre 2024 si svolgerà a Roma la seconda sessione, dove torneranno a incontrarsi i 364 delegati, tra i quali anche 54 donne con diritto di voto.

La base per il confronto sarà l’Instrumentum laboris (strumento di lavoro), pubblicato dalla Segreteria del Sinodo il 9 luglio e intitolato Come essere Chiesa sinodale missionaria. Il documento ricapitola con andamento narrativo avvolgente il percorso sin qui fatto, e delinea l’approccio della seconda sessione, tenendo presente che alcuni temi fondamentali che erano emersi nella prima sessione sono stati delegati allo studio di dieci gruppi di lavoro, i quali concluderanno il loro mandato successivamente, nel 2025 (cf. Regno-att. 8,2024,217).

Tuttavia rimangono aperte alla discussione dell’Assemblea sinodale varie questioni centrali legate al tema della sinodalità, su cui l’Instrumentum laboris avanza proposte concrete: per esempio sulla partecipazione delle donne (n. 16), sugli organismi di partecipazione (n. 79, 90), sullo statuto delle conferenze episcopali (n. 97).

 

Stampa (9.7.2024) da sito web www.vatican.va.

Introduzione

Preparerà il Signore dell’universo
per tutti i popoli, su questo monte,

un banchetto di grasse vivande, 

un banchetto di vini eccellenti,

di cibi succulenti, di vini raffinati.

Egli strapperà su questo monte il velo 

che copriva la faccia di tutti i popoli

e la coltre distesa su tutte le nazioni. 

Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto,

l’ignominia del suo popolo farà scomparire 

da tutta la terra,

poiché il Signore ha parlato.

Is 25,6-8

Il profeta Isaia presenta l’immagine di un banchetto sovrabbondante e prelibato preparato dal Signore sulla cima del monte, simbolo di convivialità e di comunione, destinato a tutti i popoli. Al momento di tornare al Padre, il Signore Gesù affida ai suoi discepoli il compito di raggiungere tutti i popoli, per servire loro un banchetto fatto di un cibo che dona pienezza di vita e di gioia. Attraverso la sua Chiesa, guidata dal suo Spirito, il Signore vuole riaccendere la speranza nel cuore dell’umanità, restituire la gioia e salvare tutti, in particolare coloro che hanno il volto rigato di lacrime e verso di lui gridano nell’angoscia. Le loro grida giungono alle orecchie di tutti i discepoli di Cristo, uomini e donne che camminano nelle profondità delle vicende umane. Il loro stridore è ancora più forte in questo tempo in cui il cammino sinodale è stato accompagnato dallo scoppio di nuove guerre e conflitti armati, che si sono aggiunti ai troppi che continuano a insanguinare il mondo.

Al cuore del Sinodo 2021-2024. Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione c’è una chiamata alla gioia e al rinnovamento del popolo di Dio nella sequela del Signore e nell’impegno al servizio della sua missione. La chiamata a essere discepoli missionari si fonda sulla comune identità battesimale, si radica nella diversità di contesti in cui la Chiesa è presente e trova unità nell’unico Padre, nell’unico Signore e nell’unico Spirito. Essa interpella tutti i battezzati, senza eccezioni: «Tutto il popolo di Dio è il soggetto dell’annuncio del Vangelo. In esso, ogni battezzato è convocato per essere protagonista della missione poiché tutti siamo discepoli missionari» (Commissione teologica internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, n. 53; Regno-doc. 11,2018,341). Questo rinnovamento trova espressione in una Chiesa che, radunata dallo Spirito mediante la Parola e il Sacramento (cf. Christus Dominus, n. 11), annuncia la salvezza che continuamente sperimenta a un mondo affamato di senso e assetato di comunione e solidarietà. È per questo mondo che il Signore prepara un banchetto sul suo monte.

Praticare la sinodalità è il modo attraverso cui rinnoviamo oggi il nostro impegno per questa missione ed è espressione della natura della Chiesa. Crescere come discepoli missionari vuol dire, innanzi tutto, rispondere alla chiamata di Gesù a seguirlo, corrispondendo al dono ricevuto quando siamo stati battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; e poi vuol dire imparare ad accompagnarci a vicenda come popolo di pellegrini in cammino nella storia verso una destinazione comune, la Città celeste. Percorrendo questo cammino, spezzando il pane della Parola e dell’eucaristia, veniamo trasformati in ciò che riceviamo. Comprendiamo così che la nostra identità di popolo salvato e reso santo ha un’imprescindibile dimensione comunitaria, che abbraccia tutte le generazioni di credenti che ci hanno preceduto e ci seguiranno: la salvezza da ricevere e da testimoniare è relazionale, poiché nessuno si salva da solo. O meglio, usando le parole del contributo di una conferenza episcopale asiatica, cresciamo pian piano in questa consapevolezza: «La sinodalità non è semplicemente un obiettivo, ma un cammino di tutti i fedeli, da compiere insieme mano nella mano. Per questo comprenderne appieno il senso richiede tempo». Sant’Agostino parla della vita cristiana come di un pellegrinaggio solidale, un camminare insieme «verso Dio non a passi, ma con gli affetti» (Discorso 306 B, 1), condividendo una vita fatta di preghiera, annuncio e amore per il prossimo.

Il concilio Vaticano II insegna che «a questa unione con Cristo luce del mondo sono chiamati tutti gli uomini: da lui veniamo, per lui viviamo, verso di lui tendiamo» (Lumen gentium, n. 3; EV 1/286). Al cuore del cammino sinodale sta il desiderio, antico e sempre nuovo, di comunicare a tutti la promessa e l’invito del Signore, custoditi nella tradizione viva della Chiesa, di riconoscere la presenza del Risorto in mezzo a noi e di accogliere i molti frutti dell’azione del suo Spirito. La visione della Chiesa, popolo di pellegrini, che in ogni parte della terra è alla ricerca della conversione sinodale per amore della propria missione, ci guida mentre con gioia e speranza avanziamo nel percorso del Sinodo. Questa visione contrasta duramente con la realtà di un mondo in crisi, le cui ferite e scandalose disuguaglianze risuonano dolorosamente nel cuore di tutti i discepoli di Cristo, spingendoci a pregare per tutte le vittime della violenza e dell’ingiustizia e a rinnovare il nostro impegno a fianco delle donne e degli uomini che in ogni parte del mondo si adoperano come artigiani di giustizia e di pace.

Tre anni di cammino

Dopo l’apertura del processo sinodale il 9-10 ottobre 2021, le Chiese locali di tutto il mondo, con ritmi diversi ed espressioni multiformi, si sono impegnate in una prima fase di ascolto. Appartenere alla Chiesa significa essere inseriti nell’unico popolo di Dio, costituito da persone e comunità che vivono in tempi e luoghi concreti: da queste comunità è partito l’ascolto sinodale, passando poi per le tappe diocesane, nazionali e continentali, in un continuo dialogo rilanciato dalla Segreteria generale del Sinodo attraverso documenti di sintesi e di lavoro. La circolarità del processo sinodale è un modo per riconoscere e valorizzare il radicamento della Chiesa in una varietà di contesti, a servizio dei legami che li uniscono.

La novità di questa prima fase è stata l’esperienza delle assemblee continentali, che hanno riunito le Chiese locali della medesima macroregione, invitandole a imparare ad ascoltarsi, ad accompagnarsi a vicenda nel cammino e a discernere insieme le sfide principali che il contesto in cui si trovano pone alla rea-
lizzazione della missione.

La prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi (ottobre 2023) ha aperto la seconda fase, accogliendo i frutti di questo ascolto per discernere, nella preghiera e nel dialogo, i passi che lo Spirito chiede di compiere. Tale fase prosegue fino alla conclusione della seconda sessione (ottobre 2024), che offrirà al santo padre il frutto del proprio lavoro, in vista di una più intensa attuazione concreta da parte di tutte le Chiese locali.

La preparazione della seconda sessione si fonda necessariamente sui risultati della prima, raccolti nella Relazione di sintesi. Sulla sua base, in linea con la circolarità che contraddistingue l’intero processo sinodale e in vista di una precisa focalizzazione dei lavori della seconda sessione, è stata avviata un’ulteriore consultazione delle Chiese locali di tutto il mondo, a partire da una domanda guida: «Come essere Chiesa sinodale in missione?». Come spiega il documento Verso ottobre 2024, l’obiettivo della consultazione era «identificare le vie da percorrere e gli strumenti da adottare nei diversi contesti e nelle diverse circostanze, così da valorizzare l’originalità di ogni Chiesa locale e di ogni battezzato nell’unica missione di annunciare il Signore risorto e il suo Vangelo al mondo di oggi. Non si tratta dunque di limitarsi al piano dei miglioramenti tecnici o procedurali che rendano più efficienti le strutture della Chiesa, ma di lavorare sulle forme concrete dell’impegno missionario a cui siamo chiamati, nel dinamismo tra unità e diversità proprio di una Chiesa sinodale».

Le risposte alla domanda guida inviate dalla gran parte delle conferenze episcopali e dai loro raggruppamenti continentali, dalle Chiese orientali cattoliche, dalle diocesi che non fanno parte di una conferenza episcopale, dai dicasteri della curia romana, dall’Unione superiori generali e dall’Unione internazionale delle superiore generali in rappresentanza della vita consacrata, così come le testimonianze di esperienze e buone pratiche giunte da ogni parte del mondo e le osservazioni di quasi duecento realtà internazionali, facoltà universitarie, associazioni di fedeli, comunità e singole persone, hanno costituito la base per la redazione di questo Instrumentum laboris per la seconda sessione, radicandolo nella vita del popolo di Dio di tutto il mondo.

Queste voci hanno dato espressione alla gratitudine per il cammino fatto, alle fatiche che esso talvolta richiede, ma soprattutto al desiderio di muovere passi in avanti. Così si esprime una conferenza episcopale dell’America settentrionale: «La gratitudine per il cammino sinodale è profonda (…) Rimangono anche tensioni, che richiederanno di proseguire nella riflessione e nel dialogo, traendo ispirazione dall’idea di cultura dell’incontro proposta da papa Francesco. Ma queste tensioni non rompono la comunione della carità nella Chiesa». Ricordano anche che la strada da fare è ancora lunga.

Come già nelle fasi precedenti, vengono riaffermati i frutti dell’adozione del metodo della conversazione nello Spirito. Segnala ad esempio una federazione di conferenze episcopali: «Molte sintesi provenienti da tutta l’Asia esprimono un incredibile entusiasmo per la metodologia sinodale, che usa la conversazione nello Spirito come punto di partenza del cammino. Molte diocesi e conferenze episcopali hanno introdotto questo metodo nelle loro strutture, con grande successo». Questo entusiasmo si è già tradotto in passi concreti di sperimentazione di un modo di procedere più sinodale. In una conferenza episcopale europea «si è deciso di avviare una fase di sperimentazione sinodale di cinque anni. A livello nazionale si tratta di sviluppare, valutare e perfezionare forme di consultazione sinodale, di dialogo, di discernimento, così come processi decisionali che articolino la fase dell’elaborazione (decision-making) con la presa della decisione (decision-taking). Si prenderanno in considerazione le esperienze delle diocesi, così come gli sviluppi sinodali nelle altre parti del mondo e nella Chiesa universale. Siamo all’inizio di un percorso di apprendimento esigente ma importante». Grande è la consapevolezza del valore delle Chiese locali e del loro cammino, della ricchezza di cui sono portatrici e della necessità che le loro voci siano ascoltate. Secondo la sintesi inviata da una conferenza episcopale africana «non si possono più considerare e trattare le Chiese locali semplicemente come destinatarie dell’annuncio del Vangelo, che hanno poco o nulla con cui contribuire».

A questi contributi si sono aggiunti i frutti dell’Incontro internazionale «I parroci per il Sinodo» (Sacrofano [Roma], 28 aprile - 2 maggio 2024), che ha consentito di dare ascolto ai presbiteri impegnati nel ministero parrocchiale. Le sintesi dei gruppi di lavoro esprimono innanzitutto «la gioia per la possibilità di ascoltarsi a vicenda: un’esperienza arricchente, che ha alimentato un profondo senso di comprensione e di rispetto per le specificità del contesto di provenienza di ciascuno». Esprimono «il bisogno di una nuova comprensione del ruolo del parroco in una Chiesa sinodale, nel rispetto della varietà delle tradizioni nella Chiesa» e la preoccupazione di non riuscire a raggiungere le periferie e coloro che vivono ai margini: «Se la Chiesa vuole essere sinodale, deve ascoltare queste persone».

Ugualmente hanno offerto materiali per la redazione di questo Instrumentum laboris i cinque gruppi di lavoro costituiti dalla Segreteria generale del Sinodo, composti da esperti di diversa provenienza geografica, genere e condizione ecclesiale, che hanno lavorato con metodo sinodale in vista di un approfondimento teologico e canonistico della nozione di sinodalità e delle sue implicazioni per la vita della Chiesa.

A un gruppo di esperti, composto da vescovi, presbiteri, consacrati, laici, uomini e donne, teologi, canonisti e biblisti, di tutti i continenti e di diversa condizione ecclesiale, è stato affidato il compito di leggere tutti i contributi e materiali pervenuti, articolando le risposte date alla domanda fondamentale in vista della redazione di questo Instrumentum laboris. Le riflessioni di questo gruppo, così come quelle dei cinque gruppi di lavoro sopra menzionati, confluiranno anche nel sussidio che accompagnerà questo Instrumentum laboris, scandagliando il fondamento teologico di alcuni contenuti.

A fianco del lavoro di preparazione della seconda sessione, ha preso il via quello dei dieci Gruppi di studio, incaricati di approfondire altrettante tematiche emergenti dalla Relazione di sintesi, identificate dal santo padre al termine di una consultazione internazionale. Questi gruppi di studio, formati da pastori ed esperti di tutti i continenti, seguono un metodo di lavoro sinodale, sono «costituiti di comune accordo tra i dicasteri della curia romana competenti per i diversi temi e la Segreteria generale del Sinodo, a cui è affidato il coordinamento», in base al Chirografo firmato da papa Francesco il 16 febbraio 2024 e nello spirito della costituzione apostolica Praedicate Evangelium (art. 33). Dovranno completare l’approfondimento entro giugno 2025, se possibile, ma offriranno all’Assemblea di ottobre 2024 una relazione sullo stato di avanzamento dei lavori. In questo modo, senza aspettare la conclusione della seconda sessione, papa Francesco ha già recepito alcune indicazioni della prima e avviato i lavori della fase di attuazione, nella forma prevista dalla costituzione apostolica Episcopalis communio: «Insieme al dicastero della curia romana competente, nonché, secondo il tema e le circostanze, agli altri dicasteri in vario modo interessati, la Segreteria generale del Sinodo promuove per la propria parte l’attuazione degli orientamenti sinodali approvati dal romano pontefice» (art. 20, § 1; Regno-doc. 17,2018,535). Inoltre, d’intesa con il Dicastero per i testi legislativi, al servizio del Sinodo è stata istituita una Commissione canonistica. Infine, in attuazione dell’indicazione data dalla prima sessione (cf. Relazione di sintesi, n. 16q), il 25 aprile 2024 il Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar (SECAM) ha annunciato la costituzione di una Commissione speciale per il discernimento delle implicazioni teologiche e pastorali della poligamia per la Chiesa in Africa.

Uno strumento di lavoro
per la seconda sessione

Attraverso un cammino intessuto di silenzio, preghiera, ascolto della parola di Dio, dialogo fraterno e incontri gioiosi, a volte non privi di fatiche, come popolo di Dio abbiamo maturato una più profonda consapevolezza della nostra relazione di fratelli e sorelle in Cristo, con la comune responsabilità di essere una comunità di salvati che con la parola e con la vita annuncia al mondo intero la bellezza del regno di Dio. Questa identità non è un’idea astratta, ma un’esperienza vissuta, intessuta di nomi e volti. Nella preparazione alla seconda sessione, e durante i suoi lavori, continuiamo ad affrontare questa domanda: come l’identità di popolo di Dio sinodale in missione può prendere forma concreta nelle relazioni, percorsi e luoghi nel cui intreccio si svolge la vita della Chiesa?

A questo scopo deve servire il presente Instrumentum laboris, per cui vale quanto già si affermava di quello per la prima sessione: «Non è un documento del magistero della Chiesa, né il report di un’indagine sociologica; non offre la formulazione di indicazioni operative, di traguardi e obiettivi, né la compiuta elaborazione di una visione teologica» (n. 10; cf. Segreteria generale del Sinodo, Documento per la tappa continentale, n. 8). Per comprenderlo è fondamentale collocarlo all’interno del processo sinodale nel suo insieme, in quanto è intessuto della circolarità del dialogo tra le Chiese, animato e sostenuto dal lavoro della Segreteria generale del Sinodo. La prima sessione dell’Assemblea (2023) aveva raccolto i frutti della doppia consultazione locale e continentale alla ricerca sui «segni caratteristici di una Chiesa sinodale e sulle dinamiche di comunione, missione e partecipazione che la abitano» (Relazione di sintesi, Introduzione; Regno-doc. 21,2023,643). Attraverso la preghiera, il dialogo e il discernimento ha raccolto ed espresso nella Relazione di sintesi le convergenze, le questioni da affrontare e le proposte emerse dal lavoro comune. Ne emerge quella che possiamo descrivere come una prima risposta alla domanda «Chiesa sinodale, che dici di te stessa?».

La seconda sessione non ripercorre gli stessi passi, ma è chiamata ad andare oltre, focalizzandosi sulla sua domanda guida: «Come essere Chiesa sinodale in missione?». Su altre questioni emerse durante il cammino il lavoro sta proseguendo con altre modalità, a livello delle Chiese locali così come nei dieci gruppi di studio. Le due sessioni non possono essere separate, né tantomeno opposte: sono in continuità, e soprattutto fanno parte di un processo più ampio che, sulla base di quanto indicato dalla costituzione apostolica Episcopalis communio, non terminerà alla fine di ottobre 2024.

Concretamente questo Instrumentum laboris si apre con una sezione dedicata ai fondamenti della comprensione della sinodalità, che ripropone la consapevolezza maturata lungo il percorso e sancita dalla prima sessione. Seguono tre parti strettamente intrecciate, che illuminano da prospettive diverse la vita sinodale missionaria della Chiesa: I) la prospettiva delle relazioni – con il Signore, tra i fratelli e le sorelle e tra le Chiese – che sostengono la vitalità della Chiesa ben più radicalmente delle sue strutture; II) la prospettiva dei percorsi che sorreggono e alimentano nella concretezza il dinamismo delle relazioni; III) la prospettiva dei luoghi che, contro la tentazione di un universalismo astratto, parlano della concretezza dei contesti in cui si incarnano le relazioni, con la loro varietà, pluralità e interconnessione, e con il loro radicamento nel fondamento sorgivo della professione di fede.

Ciascuna di queste sezioni sarà oggetto della preghiera, dello scambio e del discernimento in uno dei moduli che scandiranno i lavori della seconda sessione, in cui ciascuno sarà invitato a «offrire il proprio contributo come un dono per gli altri e non come una certezza assoluta» (Relazione di sintesi, Introduzione; Regno-doc. 21,2023,642), in un percorso che i membri dell’Assemblea sono chiamati a scrivere insieme. Su questa base sarà elaborato un documento finale, relativo a tutto il processo finora compiuto, che offrirà al santo padre orientamenti sui passi da compiere e sulle modalità concrete per farlo.

Possiamo aspettarci un approfondimento della comprensione condivisa della sinodalità, una migliore messa a fuoco delle pratiche di una Chiesa sinodale e anche la proposta di qualche cambiamento nel diritto canonico (altri, più significativi, ce ne potranno essere dopo aver meglio assimilato e vivificato la proposta di fondo), ma certo non la risposta a ogni domanda. Anche perché altre ne emergeranno lungo il cammino di conversione e di riforma che la seconda sessione inviterà la Chiesa tutta a compiere. Tra i guadagni del processo fin qui svolto possiamo certamente annoverare l’aver sperimentato e appreso un metodo con cui affrontare insieme le questioni, nel dialogo e nel discernimento. Stiamo ancora imparando come essere Chiesa sinodale missionaria, ma è un compito che abbiamo sperimentato di poter intraprendere con gioia.

Fondamenti

Questa sezione dell’Instrumentum laboris cerca di delineare i fondamenti della visione di una Chiesa sinodale missionaria, invitandoci ad approfondire la comprensione del mistero della Chiesa. Lo fa senza pretendere di offrire un trattato completo di ecclesiologia, ma ponendosi a servizio del percorso di discernimento dell’Assemblea sinodale di ottobre 2024. Rispondere alla domanda «Come essere Chiesa sinodale in missione?» richiede un orizzonte entro cui inserire le riflessioni e le proposte pastorali e teologiche, orientando un percorso che è fondamentalmente un cammino di conversione e riforma. A loro volta, i passi concreti che la Chiesa intraprenderà consentiranno di mettere meglio a fuoco l’orizzonte e approfondire la comprensione dei fondamenti, in una circolarità che segna tutta la storia della Chiesa.

In Cristo, luce di tutte le genti, siamo un unico popolo di Dio, chiamato a essere segno e strumento dell’unione con Dio e dell’unità del genere umano. Lo facciamo camminando insieme nella storia, vivendo la comunione che si alimenta alla vita trinitaria, promovendo la partecipazione di tutti, in vista della comune missione. Questa visione è ben radicata nella tradizione viva della Chiesa. Il processo sinodale ha permesso di maturarne una rinnovata consapevolezza, che si esprime nelle convergenze emerse durante il cammino iniziato nel 2021. La prima sessione dell’Assemblea sinodale (ottobre 2023) le ha riconosciute e raccolte nella Relazione di sintesi, che le ha rilanciate alla Chiesa intera in vista del discernimento che completerà la seconda sessione.

La Chiesa popolo di Dio, sacramento di unità

1. Dal battesimo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo scaturisce l’identità mistica, dinamica e comunitaria del popolo di Dio, orientata alla pienezza della vita in cui il Signore Gesù ci precede e alla missione di invitare ogni uomo e ogni donna ad accogliere nella libertà il dono della salvezza (cf. Mt 28,18-19). Nel battesimo Gesù ci riveste di sé, condivide con noi la sua identità e la sua missione (cf. Gal 3,27).

2. «È piaciuto a Dio di santificare e salvare gli uomini non separatamente e senza alcun legame fra di loro, ma ha voluto costituirli in un popolo che lo riconoscesse nella verità e lo servisse nella santità» (LG 9; EV 1/308), partecipando della comunione della Trinità. Nel suo popolo e attraverso di esso Dio realizza e manifesta la salvezza che ci dona in Cristo. La sinodalità è radicata in questa visione dinamica di popolo di Dio con una vocazione universale alla santità e alla missione, in pellegrinaggio verso il Padre sulle orme di Gesù Cristo e animato dallo Spirito Santo. Nei diversi contesti nei quali vive e cammina, questo popolo di Dio sinodale e missionario annuncia e testimonia la buona notizia della salvezza; camminando insieme a tutti i popoli della terra, con le loro culture e le loro religioni, dialoga con loro e li accompagna.

3. Il processo sinodale ha sviluppato la consapevolezza di che cosa significa essere popolo di Dio riunito come «Chiesa da ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (Relazione di sintesi, n. 5; Regno-doc. 21,2023,651), che vive il suo cammino verso il Regno in contesti e culture diverse. Il popolo di Dio è il soggetto comunitario che attraversa le tappe della storia della salvezza, in cammino verso la pienezza. Il popolo di Dio non è mai la somma dei battezzati, ma il «noi» della Chiesa, soggetto comunitario e storico della sinodalità e della missione, perché tutti possano ricevere la salvezza preparata da Dio. Incorporati in questo popolo per la fede e il battesimo, siamo accompagnati dalla vergine Maria, «segno di sicura speranza e di consolazione per il popolo di Dio che è in cammino fino a quando arriverà il giorno del Signore (cf. 2Pt 3,10)» (LG 68; EV 1/444), dagli apostoli, da coloro che hanno testimoniato la loro fede fino a dare la vita, dai santi riconosciuti e dai santi «della porta accanto».

4. «La luce delle genti è Cristo» (LG 1; EV 1/284) e questa luce risplende sul volto della Chiesa, che «è, in Cristo, come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (ivi). Come la luna, la Chiesa brilla di luce riflessa: non può quindi intendere la propria missione in senso autoreferenziale, ma riceve la responsabilità di essere il sacramento dei legami, delle relazioni e della comunione in vista dell’unità di tutto il genere umano, anche nel nostro tempo così dominato dalla crisi della partecipazione, cioè del sentirsi parte di un destino comune, e da una concezione troppo spesso individualista della felicità e quindi della salvezza. Nella missione la Chiesa comunica al mondo il progetto di Dio di unire a sé tutta l’umanità nella salvezza. Nel farlo non annuncia sé stessa, «ma Cristo Gesù Signore» (2Cor 4,5). Se così non fosse, smarrirebbe il suo essere, in Cristo, «come sacramento» (cf. LG 1) e dunque la propria identità e ragion d’essere. Nella via verso la pienezza, la Chiesa è il sacramento del regno di Dio nel mondo.

Il significato condiviso di sinodalità

5. I termini sinodalità e sinodale, derivati dall’antica e costante pratica ecclesiale del radunarsi in sinodo, grazie all’esperienza degli ultimi anni sono stati maggiormente compresi e più ancora vissuti. Sempre più essi sono stati associati al «desiderio di una Chiesa più vicina alle persone, meno burocratica e più relazionale» (Relazione di sintesi, n. 1b; Regno-doc. 21,2023,645), che sia casa e famiglia di Dio. Nel corso della sua prima sessione, l’Assemblea ha maturato una convergenza sul significato di «sinodalità» che sta alla base di questo Instrumentum laboris. I diversi percorsi di approfondimento attualmente in corso puntano a mettere meglio a fuoco la prospettiva cattolica su questa dimensione costitutiva della Chiesa, in un dialogo con le altre tradizioni cristiane rispettoso delle differenze e delle peculiarità di ciascuna. Nel suo senso più ampio, «la sinodalità è il camminare insieme dei cristiani con Cristo e verso il Regno, in unione a tutta l’umanità; orientata alla missione, essa comporta il riunirsi in assemblea ai diversi livelli della vita ecclesiale, l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, la creazione del consenso come espressione del rendersi presente di Cristo vivo nello Spirito e l’assunzione di una decisione in una corresponsabilità differenziata» (Relazione di sintesi, n. 1h; Regno-doc. 21,2023,646).

6. Sinodalità designa pertanto «lo stile peculiare che qualifica la vita e la missione della Chiesa» (CTI, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, n. 70; Regno-doc. 11,2018,344), uno stile che parte dall’ascolto come primo atto della Chiesa. La fede, che nasce dall’ascolto dell’annuncio della buona Notizia (cf. Rm 10,17), dell’ascolto vive: ascolto della parola di Dio, ascolto dello Spirito Santo, ascolto gli uni degli altri, ascolto della tradizione viva della Chiesa e del suo magistero. Nelle tappe del processo sinodale, ancora una volta la Chiesa ha sperimentato ciò che le Scritture insegnano: è possibile annunciare solo ciò che si è ascoltato.

7. La sinodalità «deve esprimersi nel modo ordinario di vivere e operare della Chiesa […e] si realizza attraverso l’ascolto comunitario della Parola e la celebrazione dell’eucaristia, la fraternità della comunione e la corresponsabilità e partecipazione di tutto il popolo di Dio, ai suoi vari livelli e nella distinzione dei diversi ministeri e ruoli, alla sua vita e alla sua missione» (ivi). Il termine indica poi le strutture e i processi ecclesiali in cui la natura sinodale della Chiesa si esprime a livello istituzionale, e infine designa quegli eventi particolari in cui la Chiesa è convocata dall’autorità competente (cf. ivi).

Nel suo riferirsi alla realtà della Chiesa, la categoria di sinodalità non si pone come alternativa a quella di comunione. Infatti, nel contesto dell’ecclesiologia del popolo di Dio illustrata dal concilio Vaticano II, il concetto di comunione esprime la sostanza profonda del mistero e della missione della Chiesa, che ha nella celebrazione dell’eucaristia la sua fonte e il suo culmine, ossia l’unione con Dio Trinità e l’unità tra le persone umane che si realizza in Cristo mediante lo Spirito Santo. La sinodalità, nello stesso contesto, «indica lo specifico modo di vivere e operare della Chiesa popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel “camminare insieme”, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice» (CTI, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, n. 6; Regno-doc. 11,2018,331).

8. La sinodalità non comporta in alcun modo la svalutazione della particolare autorità e lo specifico compito che Cristo stesso affida ai pastori: i vescovi con i presbiteri, loro collaboratori, e il romano pontefice quale «perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli» (LG 23; EV 1/338). Piuttosto offre «la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico» (Francesco, Discorso in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, 17.10.2015; EV 31/1668), invitando tutta la Chiesa, compresi quanti esercitano un’autorità, a una vera conversione e riforma.

9. La sinodalità non è fine a se stessa. In quanto offre la possibilità di esprimere la natura della Chiesa e in quanto permette di valorizzare tutti carismi, le vocazioni e i ministeri nella Chiesa, essa consente alla comunità di coloro che «credono e guardano a Gesù» (LG 9; EV 1/310) di annunciare nel modo più adeguato il Vangelo alle donne e agli uomini di ogni luogo e di ogni tempo, e di essere «sacramento visibile» (ivi) dell’unità salvifica voluta da Dio. Sinodalità e missione sono dunque intimamente congiunte. Se la seconda sessione mette a fuoco alcuni aspetti della vita sinodale, lo fa in vista di una maggiore efficacia nella missione. Allo stesso tempo, la sinodalità è la condizione per proseguire il cammino ecumenico verso l’unità visibile di tutti i cristiani. Della recezione dei frutti del cammino ecumenico nelle prassi ecclesiali si occupa il Gruppo di studio n. 10.

L’unità come armonia nelle differenze

10. Il dinamismo della comunione ecclesiale e quindi della vita sinodale della Chiesa trova nella liturgia eucaristica il proprio modello e il proprio compimento. In essa la comunione dei fedeli (communio fidelium) è al tempo stesso la comunione delle Chiese (communio Ecclesiarum), che si manifesta nella comunione dei vescovi (communio episcoporum), in ragione del principio antichissimo che «la Chiesa è nel vescovo e il vescovo è nella Chiesa» (s. Cipriano, Epistola 66, 8). Al servizio della comunione il Signore ha posto l’apostolo Pietro (cf. Mt 16,18) e i suoi successori. In forza del ministero petrino, il vescovo di Roma è «il perpetuo e visibile principio e il fondamento» (LG 23; EV 1/338) dell’unità della Chiesa, espressa nella comunione di tutti i fedeli, di tutte le Chiese, di tutti i vescovi. Si manifesta così l’armonia che lo Spirito opera nella Chiesa, lui che è l’armonia in persona (cf. s. Basilio, Sul Salmo 29, 1).

11. Lungo il processo sinodale, il desiderio di unità della Chiesa è cresciuto di pari passo con la consapevolezza delle diversità di cui è portatrice. Proprio la condivisione tra le Chiese ha ricordato che non c’è missione senza contesto, ossia senza una chiara consapevolezza che il dono del Vangelo è offerto a persone e comunità che vivono in tempi e luoghi particolari, non chiusi in sé stessi ma portatori di storie che vanno riconosciute, rispettate, invitate ad aprirsi a più ampi orizzonti. Uno dei doni più grandi ricevuti lungo il cammino è stata la possibilità di incontrare e celebrare la bellezza del «volto pluriforme della Chiesa» (s. Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, n. 40; EV 20/80). Il rinnovamento sinodale favorisce la valorizzazione dei contesti come luogo in cui si rende presente e si realizza l’universale chiamata di Dio a far parte del suo popolo, di quel regno di Dio che è «giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17). In questo modo, culture diverse sono in grado di cogliere l’unità che sottende e completa la loro vibrante pluralità. La valorizzazione dei contesti, delle culture e delle diversità è una chiave per crescere come Chiesa sinodale missionaria.

12. Ugualmente è cresciuta la consapevolezza della varietà di carismi e vocazioni che lo Spirito Santo costantemente suscita nel popolo di Dio. Nasce così il desiderio di crescere nella capacità di discernerli, di comprenderne le relazioni all’interno della vita concreta di ciascuna Chiesa e della Chiesa tutta, e soprattutto di articolarli per il bene della missione. Questo significa anche riflettere più profondamente sulla questione della partecipazione in rapporto con la comunione e la missione. In ogni fase del processo è emerso il desiderio di ampliare le possibilità di partecipazione e di esercizio della corresponsabilità di tutti i battezzati, uomini e donne, nella varietà dei loro carismi, vocazioni e ministeri.

Questo desiderio punta in tre direzioni. La prima è la necessità di «aggiornare» la capacità di annuncio e trasmissione della fede con modalità e mezzi appropriati al contesto attuale. La seconda è il rinnovamento della vita liturgica e sacramentale, a partire da celebrazioni belle, dignitose, accessibili, pienamente partecipative, ben inculturate e capaci di alimentare lo slancio verso la missione. La terza direzione muove dalla tristezza provocata dalla mancata partecipazione di tanti membri del popolo di Dio a questo cammino di rinnovamento ecclesiale e dalla fatica della Chiesa nel vivere pienamente una sana relazionalità tra uomini e donne, tra generazioni e tra persone e gruppi di diverse identità culturali e condizioni sociali, in particolare i poveri e gli esclusi. Questa debolezza nella reciprocità, nella partecipazione e nella comunione rimane un ostacolo a un pieno rinnovamento della Chiesa in senso sinodale missionario.

Sorelle e fratelli in Cristo:
una rinnovata reciprocità

13. La prima differenza che incontriamo come persone umane è quella tra uomini e donne. La nostra vocazione di cristiani è quella di onorare questa differenza donata da Dio vivendo all’interno della Chiesa una dinamica reciprocità relazionale come segno per il mondo. Nel riflettere su questa visione in chiave sinodale, i contributi raccolti in tutte le fasi hanno evidenziato la necessità di dare un riconoscimento più pieno ai carismi, alla vocazione e al ruolo delle donne in tutti gli ambiti della vita della Chiesa come passo indispensabile per promuovere questa reciprocità relazionale. La prospettiva sinodale evidenzia tre punti di riferimento teologici come guida per il discernimento: a) la partecipazione si radica nelle implicazioni ecclesiologiche del battesimo; b) in quanto popolo di battezzati siamo chiamati a non sotterrare i nostri talenti, ma a riconoscere i doni che lo Spirito effonde su ciascuno per il bene della comunità e del mondo; c) nel rispetto della vocazione di ciascuno, i doni che lo Spirito concede ai fedeli sono ordinati l’uno all’altro e la collaborazione di tutti i battezzati va praticata nella chiave della corresponsabilità. A guidarci nella riflessione è la testimonianza delle sacre Scritture: Dio ha scelto alcune donne come prime testimoni e annunciatrici della risurrezione. In forza del battesimo sono in condizione di piena uguaglianza, ricevono la medesima effusione di doni da parte dello Spirito e sono chiamate al servizio della missione di Cristo.

14. In questo senso, il primo cambiamento da operare è quello della mentalità: una conversione a una visione di relazionalità, interdipendenza e reciprocità tra donne e uomini, che sono sorelle e fratelli in Cristo, in vista della comune missione. Sono la comunione, la partecipazione e la missione della Chiesa a soffrire le conseguenze di una mancata conversione delle relazioni e delle strutture. Come afferma il contributo di una conferenza episcopale latinoamericana, «una Chiesa in cui tutti i membri posso sentirsi corresponsabili è anche un luogo attraente e credibile».

15. I contributi delle conferenze episcopali riconoscono che sono numerosi gli ambiti della vita della Chiesa aperti alla partecipazione delle donne. Tuttavia notano anche che queste possibilità di partecipazione rimangono spesso inutilizzate. Per questo suggeriscono che la seconda sessione ne promuova la consapevolezza e ne incoraggi l’ulteriore sviluppo nell’ambito delle parrocchie, delle diocesi e delle altre realtà ecclesiali, compresi gli incarichi di responsabilità. Chiedono inoltre di esplorare ulteriori forme ministeriali e pastorali che diano migliore espressione ai carismi che lo Spirito effonde sulle donne in risposta alle esigenze pastorali del nostro tempo. Così si esprime una conferenza episcopale latinoamericana: «Nella nostra cultura permane forte la presenza del maschilismo, mentre è necessaria una partecipazione più attiva delle donne in tutti gli ambiti ecclesiali. Come afferma papa Francesco, la loro prospettiva è indispensabile nei processi decisionali e nell’assunzione di ruoli nelle diverse forme di pastorale e di missione».

16. Dai contributi delle conferenze episcopali emergono richieste concrete da sottoporre all’esame del-
la seconda sessione, tra cui: a) la promozione di spazi di dialogo nella Chiesa, in modo che le donne possano condividere esperienze, carismi, competenze, intuizioni spirituali, teologiche e pastorali per il bene di tutta la Chiesa; b) una più ampia partecipazione delle donne nei processi di discernimento ecclesiale e a tutte le fasi dei processi decisionali (elaborazione e presa delle decisioni); c) un più ampio accesso a posizioni di responsabilità nelle diocesi e nelle istituzioni ecclesiastiche, in linea con le disposizioni già esistenti; d) un maggiore riconoscimento e un più deciso sostegno alla vita e ai carismi delle consacrate e il loro impiego in posizioni di responsabilità; e) l’accesso delle donne a posizioni di responsabilità nei seminari, negli istituti e nelle facoltà teologiche; f) l’aumento del numero delle donne che svolgono il ruolo di giudice nei processi canonici. I contributi continuano inoltre a chiedere attenzione all’uso del linguaggio e di una serie di immagini tratte dalle Scritture e dalla tradizione nella predicazione, nell’insegnamento, nella catechesi e nella redazione dei documenti ufficiali della Chiesa.

17. Mentre alcune Chiese locali chiedono che le donne siano ammesse al ministero diaconale, altre ribadiscono la loro contrarietà. Su questo tema, che non sarà oggetto dei lavori della seconda sessione, è bene che prosegua la riflessione teologica, con tempi e modalità adeguati. Alla sua maturazione contribuiranno i frutti del Gruppo di studio n. 5, il quale prenderà in considerazione i risultati delle due commissioni che si sono occupate della questione in passato.

18. Molte delle richieste sopra espresse valgono anche per gli uomini laici, di cui si lamenta spesso la scarsa partecipazione alla vita della Chiesa. In generale, la riflessione sul ruolo delle donne spesso evidenzia il desiderio di un rafforzamento di tutti i ministeri esercitati dai laici (uomini e donne). Si chiede inoltre che fedeli laici, uomini e donne, adeguatamente formati possano contribuire alla predicazione della parola di Dio anche durante la celebrazione dell’eucaristia.

Chiamata alla conversione e alla riforma

19. Gesù iniziò il suo ministero pubblico con una chiamata alla conversione (cf. Mc 1,15). È un invito a ripensare il modo di vivere personale e comunitario e a lasciarsi trasformare dallo Spirito. Nessuna riforma potrebbe limitarsi alle sole strutture, ma deve radicarsi in una trasformazione interiore secondo i «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). Per una Chiesa sinodale, la prima conversione è quella dell’ascolto, la cui riscoperta è stata uno dei frutti maggiori del percorso compiuto sino a oggi: innanzitutto l’ascolto dello Spirito Santo, che del Sinodo è il vero protagonista, e poi l’ascolto reciproco come disposizione fondamentale per la missione.

20. Lo stile sinodale della Chiesa offre molti spunti importanti per l’umanità. In un’epoca segnata da disuguaglianze sempre più marcate, da una crescente disillusione nei confronti dei modelli tradizionali di governo, dal disincanto per il funzionamento della democrazia e dal predominio del modello di mercato nelle relazioni interumane, dalla tentazione di risolvere i conflitti con la forza e non con il dialogo, la sinodalità potrebbe offrire un’ispirazione per il futuro delle nostre società. La sua attrattiva deriva dal fatto che non è una strategia gestionale, ma una pratica da vivere e celebrare nella gratitudine.

Il modo sinodale di vivere le relazioni è una testimonianza sociale che risponde al profondo bisogno umano di essere accolti e sentirsi riconosciuti all’interno di una comunità concreta. È una sfida al crescente isolamento delle persone e all’individualismo culturale, che anche la Chiesa ha spesso assorbito, e ci richiama alla cura reciproca, all’interdipendenza e alla corresponsabilità per il bene comune. Ma è anche una sfida a un comunitarismo sociale esagerato che soffoca le persone e non permette loro di essere soggetti liberi del proprio sviluppo. La disponibilità all’ascolto di tutti, specialmente dei poveri, che lo stile di vita sinodale promuove, si pone in netto contrasto con un mondo in cui la concentrazione del potere taglia fuori i poveri, gli emarginati e le minoranze. La concretezza del processo sinodale ha dimostrato quanto la Chiesa stessa abbia bisogno di crescere in questa dimensione: su questo tema lavora il Gruppo di studio n. 2.

21. In ogni fase del processo sinodale è risuonato con forza il bisogno di guarigione, riconciliazione e ripristino della fiducia all’interno della Chiesa e della società. Si tratta di una direttrice fondamentale dell’impegno missionario del popolo di Dio nel nostro mondo, e al tempo stesso di un dono che dobbiamo invocare dall’alto. Il desiderio di camminare su questa strada è esso stesso un frutto del rinnovamento sinodale.

Parte I. Relazioni

Lungo tutto il processo sinodale e a tutte le latitudini è emersa la richiesta di una Chiesa non burocratica, ma capace di nutrire le relazioni: con il Signore, tra uomini e donne, nella famiglia, nella comunità, tra gruppi sociali. Solo una trama di relazioni che intrecci la molteplicità delle appartenenze è in grado di sostenere le persone e le comunità, offrendo loro punti di riferimento e di orientamento e mostrando la bellezza della vita secondo il Vangelo: è nelle relazioni – con Cristo, con gli altri, nella comunità – che si trasmette la fede.

In quanto esigenza della missione, la sinodalità non va pensata come un espediente organizzativo, ma vissuta e coltivata come l’insieme dei modi in cui i discepoli di Gesù intessono relazioni solidali, capaci di corrispondere all’amore divino che continuamente li raggiunge e che essi sono chiamati a testimoniare nei contesti concreti in cui si trovano. Capire come essere Chiesa sinodale in missione passa dunque da una conversione relazionale, che riorienti le priorità e l’azione di ciascuno, in particolare di coloro che hanno il compito di animare le relazioni a servizio dell’unità, nella concretezza di uno scambio di doni che libera e arricchisce tutti.

In Cristo e nello Spirito: l’iniziazione cristiana

22. «La Chiesa pellegrinante è missionaria per sua natura, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo secondo il progetto di Dio Padre» (Vaticano II, Ad gentes, n. 2; EV 1/1090). L’incontro con Gesù, l’adesione di fede alla sua persona, l’iniziazione cristiana introducono nella vita stessa della Trinità. Donando lo Spirito Santo, il Signore Gesù rende partecipi della sua relazione con il Padre coloro che ricevono il battesimo. Lo Spirito di cui Gesù era pieno e che lo guidava (cf. Lc 4,1), che lo ha consacrato con l’unzione e inviato a proclamare il Vangelo (cf. Lc 4,18), che lo ha risuscitato dai morti (cf. Rm 8,11), è lo stesso Spirito che consacra con l’unzione i membri del popolo di Dio. Questo Spirito ci rende figli ed eredi di Dio e per mezzo suo ci rivolgiamo a Dio chiamandolo «Abbà! Padre!» (Gal 4,6; Rm 8,15).

23. Per comprendere la natura di una Chiesa sinodale in missione è indispensabile coglierne il fondamento trinitario, e in particolare il legame inestricabile tra l’opera di Cristo e l’opera dello Spirito Santo nella storia umana e nella Chiesa: «Lo Spirito Santo, che abita nei credenti e riempie e regge tutta la Chiesa, produce quella meravigliosa comunione dei fedeli e tanto intimamente tutti unisce in Cristo, da essere il principio dell’unità della Chiesa» (Vaticano II, Unitatis redintegratio, n. 2; EV 1/498). Per questo il cammino dell’iniziazione cristiana dell’adulto è un contesto privilegiato per comprendere la vita sinodale della Chiesa. Ne mette in luce l’origine e il fondamento: le relazioni che uniscono e distinguono le tre divine Persone. Con i doni battesimali lo Spirito Santo ci conforma a Cristo re, sacerdote e profeta, ci rende membra del suo corpo, che è la Chiesa, e ci fa figli dell’unico Padre. Riceviamo così la chiamata alla missione e alla corresponsabilità per ciò che ci unisce nell’una e unica Chiesa. Quei doni hanno un triplice e inscindibile orientamento: personale, comunitario e missionario. Essi abilitano e impegnano ogni battezzato, uomo o donna: alla costruzione di relazioni fraterne nella propria comunità ecclesiale; alla ricerca di una comunione sempre più visibile e profonda con tutti coloro con cui condividono lo stesso battesimo; all’annuncio e alla testimonianza del Vangelo.

24. Se da un lato la sinodalità missionaria si radica nell’iniziazione cristiana, dall’altro essa deve illuminare il modo in cui il popolo di Dio vive concretamente l’itinerario dell’iniziazione e lo assume, facendolo proprio per quello che realmente significa, superando una sua visione statica e individualista, non sufficientemente legata alla sequela di Cristo e alla vita nello Spirito, per recuperarne il valore dinamico e trasformativo.

Nei primi secoli, leggendo nella Genesi che al sesto giorno Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza» (Gen 1,26), i cristiani scorsero come il dinamismo relazionale fosse inscritto nell’antropologia della creazione. Videro nell’immagine quella del Figlio incarnato e nella somiglianza la possibilità graduale della conformazione, il manifestarsi dell’avventura benefica della libertà di scegliere di essere con e come Cristo. Questa avventura inizia con l’ascolto della parola di Dio, grazie a cui il catecumeno entra progressivamente nella sequela di Cristo Gesù. Il battesimo è a servizio del dinamismo della somiglianza, e per questo non è un atto puntuale chiuso nel momento della sua celebrazione, ma un dono che deve essere confermato, alimentato e messo a frutto attraverso l’impegno alla conversione, al servizio della missione e alla partecipazione alla vita della comunità. L’iniziazione cristiana culmina infatti nell’eucaristia domenicale, che si ripete ogni settimana, segno del dono incessante della grazia che ci conforma a Cristo e ci rende membra del suo corpo e alimento che ci sostiene nel cammino di conversione e nella missione.

25. In questo senso l’assemblea eucaristica manifesta e alimenta la vita sinodale missionaria della Chiesa. Nella partecipazione di tutti i cristiani, nella presenza di diversi ministeri e nella presidenza da parte del vescovo o del presbitero, si rende visibile la comunità cristiana, nella quale si realizza una corresponsabilità differenziata di tutti per la missione. La liturgia, come «culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme fonte da cui promana tutto il suo vigore» (Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 10; EV 1/16), è contemporaneamente la fonte della vita sinodale della Chiesa e il prototipo di ogni evento sinodale, facendo apparire «come in uno specchio» (1Cor 13,12; cf. Dei Verbum, n. 7) il mistero della Trinità.

26. Occorre che proposte pastorali e pratiche liturgiche custodiscano e rendano sempre più evidente il legame tra l’itinerario dell’iniziazione cristiana e la vita sinodale e missionaria della Chiesa, evitandone la riduzione a strumento meramente pedagogico o a indicatore di un’appartenenza puramente sociale, e promuovendo invece l’accoglienza del dono personale orientato alla missione e all’edificazione della comunità. Gli opportuni accorgimenti pastorali e liturgici andranno elaborati nella pluralità delle situazioni storiche e delle culture in cui sono immerse le diverse Chiese locali, anche tenendo conto della differenza fra quelle in cui l’iniziazione cristiana coinvolge soprattutto i giovani o gli adulti e quelle in cui riguarda soprattutto, se non esclusivamente, i bambini.

Per il popolo di Dio: carismi e ministeri

27.«Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12,4-7). All’origine della varietà dei carismi (doni di grazia) e dei ministeri (forme di servizio nella Chiesa in vista della sua missione) c’è la libertà dello Spirito Santo: li concede e opera incessantemente perché manifestino l’unità della fede e l’appartenenza alla Chiesa una e unica nella varietà delle persone, delle culture, dei luoghi. I carismi, anche i più semplici e più diffusi, sono destinati a rispondere alle necessità della Chiesa e della sua missione (cf. LG 12). Allo stesso tempo contribuiscono efficacemente alla vita della società, nei suoi diversi aspetti. I carismi sono spesso condivisi e danno origine alle diverse forme della vita consacrata e al pluralismo delle aggregazioni ecclesiali.

28. L’ambito primario in cui i carismi di cui ciascun battezzato è portatore sono chiamati a manifestarsi non è l’organizzazione delle attività o delle strutture ecclesiali: è nella vita quotidiana, nelle relazioni familiari e sociali, nelle più disparate situazioni in cui i cristiani, singolarmente o in forma associata, sono chiamati a far fiorire i doni di grazia ricevuti per il bene di tutti. La fecondità dei carismi, come quella dei ministeri, dipende dall’azione di Dio, dalla vocazione che egli rivolge a ciascuno, dalla generosa e sapiente accoglienza dei battezzati e dal riconoscimento e accompagnamento da parte dell’autorità. In nessun modo possono quindi essere interpretati come proprietà di coloro che li ricevono e li esercitano, né destinati a loro esclusivo vantaggio.

29. Quale espressione della libertà dello Spirito nel concedere i suoi doni, e quale risposta alle necessità delle singole comunità, vi è nella Chiesa una varietà di ministeri che possono essere esercitati da qualsiasi battezzato, uomo o donna. Si tratta di servizi non occasionali, riconosciuti dalla comunità e da chi ha il compito di guidarla. Possono essere chiamati ministeri battesimali, per indicare la loro radice comune (il battesimo) e per distinguerli dai ministeri ordinati, radicati nel sacramento dell’ordine. Ci sono, ad esempio, uomini e donne che esercitano il ministero del coordinamento di una piccola comunità ecclesiale, il ministero di guida di momenti di preghiera (in occasione dei funerali o altro), il ministero straordinario della comunione, o altri servizi, non necessariamente di carattere liturgico.

Gli ordinamenti canonici latino e orientale già prevedono che, in alcuni casi, anche fedeli laici, uomini o donne, possano essere ministri straordinari del battesimo. Nell’ordinamento latino, il vescovo può delegare a fedeli laici, uomini o donne, il compito di assistere ai matrimoni. È utile continuare a riflettere su come affidare questi ministeri ai laici in forma più stabile. Questa riflessione va accompagnata da quella sulla promozione di forme più numerose di ministerialità laicale, anche al di fuori dell’ambito liturgico.

30. In tempi recenti alcune modalità di servizio da tempo presenti nella vita della Chiesa hanno ricevuto una nuova configurazione come ministeri istituiti: il ministero dei lettori e quello degli accoliti (cf. lettera apostolica in forma di motu proprio Spiritus Domini, 10.1.2021). Ha preso forma anche il ministero istituito dei catechisti (cf. lettera apostolica in forma di motu proprio Antiquum ministerium, 10.5.2021). I ministeri istituiti sono conferiti dal vescovo a uomini e donne, una sola volta nella vita, con un apposito rito, dopo appropriato discernimento e adeguata formazione. I tempi e modi del loro esercizio devono essere definiti da un mandato della legittima autorità. Di alcune questioni teologiche e canonistiche intorno a specifiche forme di ministerialità ecclesiale – in particolare la questione della necessaria partecipazione delle donne alla vita e alla guida della Chiesa – è stato affidato l’approfondimento al Dicastero per la dottrina della fede, in dialogo con la Segreteria generale del Sinodo (Gruppo di studio n. 5).

31. Se non tutti i carismi assumono una configurazione propriamente ministeriale, tutti i ministeri sono fondati su carismi donati ad alcuni membri del popolo di Dio, i quali sono chiamati ad agire in modi diversi affinché ciascuno nella comunità possa partecipare all’edificazione del corpo di Cristo (cf. Ef 4,12), nel servizio reciproco. Come i carismi, anche i ministeri vanno riconosciuti, promossi e valorizzati. Il processo sinodale ha evidenziato a più riprese come il discernimento e la promozione dei carismi e dei ministeri, così come l’individuazione dei bisogni delle comunità e della società a cui s’intende rispondere, sia un aspetto su cui le Chiese locali hanno bisogno di crescere, dandosi adeguati criteri, strumenti e procedure. Il concilio Vaticano II insegna che è compito dei pastori riconoscere i ministeri e i carismi «in modo tale che tutti cooperino concordemente all’opera comune nel modo che è loro proprio» (LG 30; EV 1/361). Il discernimento dei carismi e dei ministeri è un atto propriamente ecclesiale: per riconoscerli e promuoverli, il vescovo è tenuto ad ascoltare la voce di quanti sono coinvolti: singoli fedeli, comunità, organismi di partecipazione. A tale scopo si dovranno individuare procedure adatte ai diversi contesti, sempre però avendo cura di rendere possibile un reale consenso sui criteri e sugli esiti del discernimento. I risultati dell’incontro «I parroci per il Sinodo» sottolineano con forza queste esigenze.

32. Emerge inoltre l’invito a una maggiore fiducia nell’azione dello Spirito e a un maggiore coraggio e creatività nel discernere come mettere i doni ricevuti e accolti a servizio della missione della Chiesa in modo adeguato ai diversi contesti locali. È proprio la varietà dei contesti, e quindi dei bisogni delle comunità, a suggerire che le Chiese locali, sotto la guida dei loro pastori, e i loro raggruppamenti «in ogni vasto territorio socio-culturale» (AG 22; EV 1/1170), intraprendano con umiltà e fiducia un discernimento creativo sui ministeri che devono riconoscere, affidare o istituire per rispondere alle esigenze pastorali e della società. Occorre perciò definire i criteri e i modi per portare a termine questo discernimento. Va anche avviata una riflessione su come affidare i ministeri battesimali (non istituiti e istituiti) in un tempo in cui le persone si spostano da un luogo a un altro con crescente facilità, precisando tempi e ambiti del loro esercizio.

33. Il percorso fin qui compiuto ha condotto a riconoscere che una Chiesa sinodale è una Chiesa che ascolta, capace di accogliere e accompagnare, di essere percepita come casa e famiglia. Si tratta di un bisogno che emerge in tutti i continenti e riguarda persone che, per ragioni diverse, sono o si sentono escluse o ai margini della comunità ecclesiale, o faticano a trovare al suo interno un pieno riconoscimento della loro dignità e dei loro doni. Questa mancanza di accoglienza le respinge, ostacola il loro cammino di fede e d’incontro con il Signore, e priva la Chiesa del loro contributo alla missione.

34. Appare quindi sommamente opportuno dar vita a un ministero dell’ascolto e dell’accompagnamento riconosciuto ed eventualmente istituito, che renda concretamente sperimentabile un tratto così caratteristico di una Chiesa sinodale. Serve una «porta aperta» della comunità, attraverso cui le persone possano entrare senza sentirsi minacciate o giudicate. Le forme dell’esercizio di questo ministero dovranno essere adattate alle circostanze locali, in base alla diversità di esperienze, strutture, contesti sociali e risorse disponibili. Si apre quindi uno spazio di discernimento da articolare a livello locale, anche con il coinvolgimento delle conferenze episcopali nazionali o continentali. La presenza di uno specifico ministero non significa però riservare l’impegno dell’ascolto ai soli ministri. Anzi, esso riveste un carattere profetico. Da un lato evidenzia che ascolto e accompagnamento sono una dimensione ordinaria della vita di una Chiesa sinodale, che con modalità diverse impegna tutti i battezzati e in cui tutte le comunità sono invitate a crescere; dall’altro ricorda che ascolto e accompagnamento sono un servizio ecclesiale, non un’iniziativa personale, il cui valore viene così riconosciuto. Questa consapevolezza è un frutto maturo del processo sinodale.

Con i ministri ordinati: a servizio dell’armonia

35. Dal processo sinodale sono emersi dati contrastanti riguardo all’esercizio del ministero ordinato all’interno del popolo di Dio. Da un lato è sottolineata la gioia, l’impegno e la dedizione dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi nello svolgere il proprio servizio; dall’altro essi hanno manifestato una certa fatica, legata soprattutto a un senso di isolamento, di solitudine, di essere tagliati fuori da relazioni sane e sostenibili, e di essere sopraffatti dalla richiesta di fornire risposte a ogni necessità. Può essere uno degli effetti tossici del clericalismo. In particolare la figura del vescovo risulta di frequente esposta a un eccesso di attribuzioni, il che alimenta attese irrealistiche rispetto a quanto può ragionevolmente realizzare una singola persona.

36. L’incontro «I parroci per il Sinodo» ha collegato questa fatica alla difficoltà di vescovi e presbiteri di camminare davvero insieme nel loro ministero condiviso. Una ricomprensione del ministero ordinato nell’orizzonte della Chiesa sinodale missionaria rappresenta così non solo un’esigenza di coerenza, ma anche un’opportunità di liberazione da queste fatiche, a condizione che sia accompagnata da un’effettiva conversione delle pratiche, che renda percepibile, ai ministri ordinati e agli altri fedeli, il cambiamento e i benefici che ne derivano. Oltre che sul livello della vita personale dei singoli ministri, questo percorso di conversione comporterà un nuovo modo di pensare e organizzare l’azione pastorale, che tenga conto della partecipazione di tutti i battezzati, uomini e donne, alla missione della Chiesa, puntando in particolare a far emergere, riconoscere e animare i diversi carismi e ministeri battesimali.

La domanda «Come essere Chiesa sinodale in missione?» ci spinge a riflettere concretamente sulle relazioni, le strutture e i processi che possono favorire una rinnovata visione del ministero ordinato, passando da un modo piramidale di esercitare l’autorità a un modo sinodale. Nel quadro della promozione dei carismi e ministeri battesimali, si può dare corso a una riallocazione dei compiti il cui svolgimento non richiede il sacramento dell’ordine. Una più articolata ripartizione delle responsabilità potrà indubbiamente favorire anche processi decisionali improntati a uno stile più chiaramente sinodale.

37. Nei testi conciliari il ministero ordinato è concepito in termini molto precisi come servizio alla Chiesa e per l’esistenza della Chiesa. Con la sua autorità il Concilio ha restituito la forma del ministero ordinato usuale nella Chiesa antica, ministero che «viene esercitato in diversi ordini da coloro che già dall’antichità sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi» (LG 28; EV 1/354). In questa articolazione, episcopato e presbiterato corrispondono a una speciale partecipazione al sacerdozio di Cristo pastore e capo della comunità ecclesiale, mentre il diaconato è «non per il sacerdozio, ma per il servizio» (LG 29; EV 1/359). I diversi ordini sono organicamente in relazione l’uno all’altro, in un’interdipendenza reciproca, nella specificità di ciascuno. Nessun ministro può pensarsi come individuo isolato a cui sono stati conferiti dei poteri; egli deve, piuttosto, concepirsi come partecipe dei doni (munera) di Cristo, conferiti dall’ordinazione, insieme agli altri ministri, in un legame organico con il popolo di Dio di cui fa parte e che, pur in modo diverso, partecipa di quegli stessi doni di Cristo nel sacerdozio comune fondato sul battesimo.

38. Il vescovo ha il compito di presiedere una Chiesa, essendo principio visibile di unità al suo interno e vincolo di comunione con tutte le Chiese. La singolarità del suo ministero comporta una potestà che è propria, ordinaria e immediata, potestà che ciascun vescovo esercita personalmente in nome di Cristo (cf. LG 27) nell’annuncio della Parola, nella presidenza della celebrazione eucaristica e degli altri sacramenti, nella guida pastorale. Questo non comporta la sua indipendenza dalla porzione di popolo di Dio che gli è affidata (cf. CD 11), e che è chiamato a servire in nome di Cristo buon Pastore. Il fatto che «con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine» (LG 21; EV 1/335) non è la giustificazione di un ministero episcopale tendenzialmente «monarchico», concepito come cumulo di prerogative da cui deriva ogni altro carisma e ministero. È invece l’affermazione della capacità e del dovere di raccogliere e comporre in unità ogni dono che lo Spirito effonde sui battezzati, uomini e donne, e sulle diverse comunità. Di alcuni aspetti del ministero episcopale, tra cui i criteri di selezione dei candidati all’episcopato, si occupa il Gruppo di studio n. 7.

39. Anche il ministero dei presbiteri va concepito e vissuto in senso sinodale. In particolare i presbiteri «costituiscono insieme col loro vescovo un unico presbiterio» (LG 28; EV 1/355) a servizio di quella porzione di popolo di Dio che è la Chiesa locale (cf. CD 11). Questo richiede di non considerare il vescovo come esterno al presbiterio, ma come colui che presiede una Chiesa locale anzitutto presiedendone il presbiterio, di cui fa parte con peculiare singolarità, essendo chiamato a esercitare nei confronti dei presbiteri una cura particolare.

40. Vescovo e presbiteri sono coadiuvati dai diaconi, in un legame di mutua interdipendenza dei due tipi di ministero per l’attuarsi del servizio apostolico. Vescovo e presbiteri non sono autosufficienti rispetto ai diaconi, e viceversa. Dal momento che le funzioni dei diaconi sono molteplici – come mostra la tradizione, la preghiera liturgica e la prassi successiva al Vaticano II – esse vanno rintracciate nella concretezza di ogni singola Chiesa locale. Il servizio di ciascun diacono va in ogni caso pensato in armonia e in comunione con quello di tutti gli altri diaconi, in accordo con la natura del ministero diaconale e all’interno del quadro di riferimento della missione in una Chiesa sinodale.

41. Oltre alla promozione dell’unità nella Chiesa locale, il vescovo diocesano o eparchiale, coadiuvato da presbiteri e diaconi, è responsabile anche delle relazioni con le altre Chiese locali e con la Chiesa intera attorno al vescovo di Roma, in un reciproco scambio di doni. Sembra importante ristabilire il tradizionale legame tra essere vescovo e presiedere una Chiesa locale, ripristinando la corrispondenza tra comunione dei vescovi (communio episcoporum) e comunione delle Chiese (communio Ecclesiarum).

Tra le Chiese e nel mondo:
la concretezza della comunione

42. La sinodalità si attua attraverso reti di persone, comunità, organismi e un insieme di processi che consentono un effettivo scambio di doni tra le Chiese e il dialogo evangelizzatore con il mondo. Camminare insieme come battezzati nella diversità dei carismi, delle vocazioni e dei ministeri, così come nello scambio di doni tra le Chiese, è un importante segno sacramentale per il mondo di oggi, che da una parte sperimenta forme d’interconnessione sempre più intense, e dall’altra è immerso in una cultura mercantile che emargina la gratuità.

43. Secondo il Concilio, è in virtù della cattolicità della Chiesa che «le singole parti offrono i loro propri doni alle altre parti e alla Chiesa intera» (LG 13; EV 1/320). Da essa «derivano, tra le diverse parti della Chiesa, vincoli di intima comunione circa le ricchezze spirituali, gli operai apostolici e gli aiuti materiali. I membri del popolo di Dio sono chiamati infatti a condividere i beni, e valgono anche per le singole Chiese le parole dell’Apostolo: “Da bravi amministratori della multiforme grazia di Dio, ognuno di voi, come ha ricevuto un dono, così lo metta a servizio degli altri” (1Pt 4,10)» (ivi).

44. Le conferenze episcopali auspicano che i beni siano condivisi in spirito di solidarietà tra le Chiese che costituiscono l’una e unica Chiesa cattolica, senza alcun desiderio di dominio o pretesa di superiorità: l’esistenza di Chiese ricche e di Chiese che vivono in condizioni di grandi ristrettezze è uno scandalo. Si suggerisce pertanto di prendere accordi per promuovere legami reciproci e formare reti di sostegno anche a livello dei raggruppamenti di Chiese.

45. Tutte le Chiese locali ricevono e danno nella comunione dell’unica Chiesa. Ci sono Chiese che hanno bisogno del sostegno di risorse finanziarie e materiali; altre che sono arricchite dalla testimonianza della fede viva e dal servizio amorevole ai più poveri; altre ancora hanno bisogno, soprattutto, dell’aiuto di evangelizzatori che condividono la loro vita per comunicare il Vangelo ad altri popoli. In particolare si riconosce e si sollecita la generosità di presbiteri, diaconi, consacrate e consacrati, laici e laiche impegnati nella missione ad gentes.

46. Le Chiese locali esprimono il desiderio di uno scambio di doni spirituali, liturgici e teologici, e anche di una maggiore testimonianza condivisa su questioni sociali di rilevanza globale, quali la cura della casa comune e i movimenti migratori. A questo riguardo, una Chiesa sinodale potrà testimoniare l’importanza che le soluzioni ai problemi comuni siano elaborate sulla base dell’ascolto della voce di tutti, anche e soprattutto di quei gruppi, comunità e paesi che restano di solito ai margini dei grandi processi globali. Un orizzonte oggi particolarmente promettente in cui realizzare forme di scambio di doni e di impegno coordinato è quello dei grandi ambiti geografici sovranazionali, quali l’Amazzonia, il bacino del Congo, il Mediterraneo o altri simili.

47. In particolare, una Chiesa sinodale è invitata a leggere nella prospettiva dello scambio di doni anche la realtà della mobilità umana, che diventa occasione di incontro tra le Chiese nella concretezza della vita quotidiana delle città e dei quartieri, delle parrocchie e delle diocesi o eparchie, contribuendo così a radicare il cammino sinodale nel vissuto delle comunità. Un’attenzione del tutto particolare va riservata alla possibilità d’incontro e scambio di doni tra le Chiese di tradizione latina e le Chiese orientali cattoliche in diaspora, tema su cui sta lavorando il Gruppo di studio n. 1.

48. Lo scambio di doni tra le Chiese avviene in contesti segnati dalla violenza, dalla persecuzione e dalla mancanza di libertà religiosa; anzi, alcune Chiese lottano per la loro stessa sopravvivenza e invocano la solidarietà delle altre Chiese, mentre continuano a condividere le proprie ricchezze, frutto del continuo misurarsi con l’opposizione al Vangelo e la persecuzione che nella storia colpisce i discepoli del Signore. Inoltre lo scambio di doni avviene in un contesto che risente ancora del colonialismo e del neocolonialismo, che non sono finiti. Una Chiesa che cresce nella pratica della sinodalità è invitata a comprendere l’impatto di queste dinamiche sociali sullo scambio di doni, e a cercarne la trasformazione. Fa parte di questo impegno anche il riconoscimento che molte Chiese sono portatrici di una memoria ferita e che c’è bisogno di promuovere cammini concreti di riconciliazione.

49. L’espressione «scambio di doni» ha un’importante valenza nei rapporti con le altre Chiese e Comunità ecclesiali. San Giovanni Paolo II applicò questa idea al dialogo ecumenico: «Il dialogo non è soltanto uno scambio di idee. In qualche modo esso è sempre uno “scambio di doni”» (Ut unum sint, n. 28; EV 14/2719). Oltre al dialogo teologico, lo scambio di doni avviene nella condivisione della preghiera, con cui ci apriamo a ricevere i doni di tradizioni spirituali diverse dalla nostra. Pure l’esempio di donne e uomini santi di altre Chiese e Comunità ecclesiali è un dono che possiamo ricevere, anche inserendone la memoria nel nostro calendario liturgico, in particolare per quanto riguarda i martiri. In questo spirito dobbiamo essere generosi, offrendo agli altri cristiani la possibilità di venire in pellegrinaggio e pregare nei santuari e nei luoghi santi custoditi dalla Chiesa cattolica.

50. Il dialogo tra le religioni e con le culture non è esterno al cammino sinodale, ma fa parte della sua chiamata a vivere relazioni più intense, in ragione del fatto che «è gradito a Dio chiunque lo teme e pratica la giustizia, a qualunque tempo e nazione egli appartenga» (LG 9; EV 1/308; cf. At 10,35). Perciò lo scambio di doni non si limita alle altre Chiese e Comunità ecclesiali, perché un’autentica cattolicità allarga l’orizzonte e chiede la disponibilità di accogliere anche quei fattori di promozione della vita, della pace, della giustizia e dello sviluppo umano integrale presenti in altre culture e tradizioni religiose.

Parte II. Percorsi

Una Chiesa sinodale è una Chiesa relazionale, in cui le dinamiche interpersonali formano il tessuto della vita di una comunità in missione, in un contesto di crescente complessità. Questa prospettiva non separa, ma coglie i nessi tra le esperienze, consentendo di apprendere dalla realtà riletta alla luce della Parola, dalla tradizione, dalle testimonianze esemplari, ma anche dagli errori compiuti.

La Parte II mette in luce i processi che assicurano la cura e lo sviluppo delle relazioni, in particolare l’unione a Cristo in vista della missione e l’armonia della vita comunitaria, grazie alla capacità di affrontare insieme conflitti e difficoltà. Mette a fuoco quattro ambiti distinti, ma profondamente intrecciati nella vita della Chiesa sinodale missionaria: la formazione, in particolar modo all’ascolto (della parola di Dio, dei fratelli e delle sorelle, e della voce dello Spirito) e al discernimento, che conduce a sviluppare modalità partecipate di decisione nel rispetto dei diversi ruoli, con una circolarità che approda alla trasparenza, al rendiconto delle responsabilità ricevute e a una valutazione che rilancia il discernimento per la missione.

Fonte e culmine di questo dinamismo è l’eucaristia, che pone alla radice delle relazioni la gratuità dell’amore del Padre, attraverso il Figlio nello Spirito. L’alimento che sostiene una Chiesa sinodale missionaria è anche il contenuto del suo annuncio al mondo.

Una formazione integrale e condivisa

51. «Prendersi cura della propria formazione è la risposta che ogni battezzato è chiamato a dare ai doni del Signore, per far fruttificare i talenti ricevuti e metterli a servizio di tutti» (Relazione di sintesi, n. 14a; Regno-doc. 21,2023,664). Queste parole della Relazione di sintesi della prima sessione spiegano il motivo per cui il bisogno di formazione è stato uno dei temi emersi con maggiore forza e universalità in tutte le fasi del processo sinodale. Rispondere alla domanda «Come essere Chiesa sinodale in missione?» richiede dunque di dare priorità alla predisposizione di percorsi formativi coerenti, con particolare attenzione alla formazione permanente per tutti.

52. Per molti la partecipazione agli incontri sinodali è stata un’occasione di formazione alla comprensione e alla pratica della sinodalità, che ha fatto emergere con forza il desiderio di una migliore comprensione del significato della dignità battesimale o di quel «senso soprannaturale della fede» (LG 12; EV 1/316) di cui lo Spirito fa dono al popolo di Dio. La prima necessità è dunque di una più approfondita formazione alla conoscenza del modo in cui lo Spirito agisce nella Chiesa e la guida nella storia.

53. Non c’è missione senza contesto, non c’è Chiesa senza radicamento in un luogo preciso, con le sue specificità culturali e le sue contingenze storiche. Per questo non è possibile predisporre piani formativi in astratto. La loro definizione spetta alla Chiese locali e ai loro raggruppamenti. In questa sede ci si limita perciò a indicare alcune direttrici e caratteristiche fondamentali della formazione nella prospettiva della sinodalità, che andranno poi concretizzate tenendo conto dei contesti, delle culture e delle tradizioni dei diversi luoghi.

54. Una Chiesa sinodale missionaria si fonda sulla capacità di ascolto, che richiede di riconoscere che nessuno è autosufficiente nell’esercizio della propria missione e che ciascuno ha un contributo da offrire e qualcosa da imparare dagli altri. La formazione all’ascolto è dunque una prima esigenza irrinunciabile. La pratica della conversazione nello Spirito ha consentito di sperimentare in che modo si può intrecciare l’ascolto della parola di Dio e quello dei fratelli e delle sorelle, e come questa dinamica apra pian piano all’ascolto della voce dello Spirito: molti contributi ricevuti insistono sull’importanza di una formazione a questo metodo. Nella Chiesa esiste una gamma diversificata di metodi di ascolto, dialogo e discernimento, in funzione della diversità delle culture e delle tradizioni spirituali. Promuovere la formazione a questa pluralità di metodi e il dialogo tra di loro nei contesti locali è un obiettivo di grande rilevanza. Un punto particolarmente qualificante in questa direzione è l’ascolto delle persone che sperimentano vari tipi di povertà ed emarginazione. Molte Chiese segnalano di sentirsi impreparate a questo compito e manifestano il bisogno di una formazione specifica. È uno dei punti affidati al lavoro del Gruppo di studio n. 2.

55. Lo scopo della formazione nella prospettiva della sinodalità missionaria è che ci siano testimoni, uomini e donne capaci di assumere la missione della Chiesa in corresponsabilità e in cooperazione con la potenza dello Spirito (cf. At 1,8). La formazione assumerà quindi come base il dinamismo dell’iniziazione cristiana, puntando a promuovere l’esperienza personale d’incontro con il Signore e di conseguenza un processo di conversione continua di atteggiamenti, relazioni, mentalità e strutture. Il soggetto della missione è sempre la Chiesa, e ogni suo membro è testimone e annunciatore della salvezza in ragione di questa appartenenza. L’eucaristia, «fonte e culmine di tutta la vita cristiana» (LG 11; EV 1/313), è il luogo fondamentale della formazione alla sinodalità. La famiglia, in quanto comunità di vita e di amore, è un luogo privilegiato di educazione alla fede e alla pratica cristiana. L’intreccio delle generazioni è scuola di sinodalità, invitando ciascuno a prendersi cura degli altri, e rendendo visibile che tutti – i deboli e i forti, i bambini, i giovani e gli anziani – hanno molto da ricevere e molto da dare.

56. In una Chiesa sinodale la formazione deve essere integrale. Non punta infatti solo all’acquisizione di nozioni o di competenze, ma a promuovere la capacità d’incontro, di condivisione e cooperazione, di discernimento in comune. Deve perciò interpellare tutte le dimensioni della persona: intellettuale, affettiva e spirituale. Non può essere una formazione unicamente teorica, ma comprende esperienze concrete opportunamente accompagnate. Ugualmente è importante favorire una conoscenza delle culture in cui le Chiese vivono e operano, compresa la cultura digitale, oggi così pervasiva, soprattutto in ambito giovanile. Alla cultura digitale e alla promozione di una formazione adeguata in questo campo è dedicato il lavoro del Gruppo di studio n. 3.

57.Infine assai marcata è stata l’insistenza sulla necessità di una formazione comune e condivisa, a cui prendano parte insieme uomini e donne, laici, consacrati, ministri ordinati e candidati al ministero ordinato, permettendo così di crescere nella conoscenza e nella stima reciproca e nella capacità di collaborare. Ugualmente si richiede di prestare particolare attenzione alla promozione della partecipazione delle donne ai programmi di formazione, a fianco di seminaristi, sacerdoti, religiosi e laici. D’importanza cruciale è anche il loro accesso ai ruoli di docente e formatore nelle facoltà e istituti teologici e nei seminari.

Si suggerisce ancora di offrire a vescovi, presbiteri e laici una formazione su quali compiti le donne possono già svolgere nella Chiesa e di promuovere una valutazione dell’effettivo ricorso a queste opportunità in tutti gli ambiti della vita della Chiesa: parrocchie, diocesi, associazioni laicali, movimenti ecclesiali, nuove comunità, vita consacrata, istituzioni ecclesiastiche, fino alla curia romana. Alla revisione della formazione dei candidati al ministero ordinato (Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis) in prospettiva sinodale missionaria è dedicato il lavoro del Gruppo di studio n. 4. Una richiesta proveniente da tutti i continenti è quella di curare la formazione alla predicazione. Infine emerge il bisogno di una formazione condivisa, teorica e pratica, al discernimento comunitario all’interno dei diversi contesti locali.

Il discernimento ecclesiale per la missione

58. L’unico Spirito, che suscita una grande varietà di carismi, guida la Chiesa verso la pienezza della vita e della verità divina (cf. Gv 10,10; 16,13). Per la sua presenza e azione continua, la «tradizione, che viene dagli apostoli, progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo» (DV 8; EV 1/883). Grazie alla guida dello Spirito il popolo di Dio, in quanto partecipe della funzione profetica di Cristo (cf. LG 12), «cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio» (Gaudium et spes, n. 11; EV 1/1352). Questo compito ecclesiale di discernimento si radica nel sensus fidei, animato dallo Spirito Santo, che può essere descritto come quel «fiuto» o capacità istintiva del popolo di Dio, sotto la guida dei pastori (cf. LG 12), di «discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa» (Francesco, Discorso in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, 17.10.2015; EV 31/1664).

59. Il discernimento impegna coloro che vi partecipano a livello personale e tutti insieme a livello comunitario, chiedendo di coltivare le disposizioni di libertà interiore, apertura alla novità e abbandono fiducioso alla volontà di Dio, e di mettersi in ascolto gli uni degli altri per ascoltare «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7). Maria, con la sua presenza orante al cuore della comunità apostolica nel cenacolo (cf. At 1,14), è per tutti modello vivo e guida generativa di un’autentica spiritualità sinodale: in ascolto perseverante e responsabile della Parola e nel discernimento meditativo degli eventi (cf. Lc 1,26-38; 2,19.51), in generosa apertura all’azione dello Spirito Santo (cf. Lc 1,35), nella condivisione del rendimento di grazie per l’opera del Signore (cf. Lc 1,39-56) e nel servizio concreto e puntuale a ciascuna e ciascuno (cf. Gv 2,1-12) che Gesù ha affidato alla sua cura materna (cf. Gv 19,25-27).

60. Proprio in quanto richiede a ciascuno di condividere il proprio punto di vista nella prospettiva della missione comune, un processo di discernimento articola concretamente comunione, missione e partecipazione. In altre parole, è un modo per camminare insieme. Per questo è fondamentale promuovere un’ampia partecipazione ai processi di discernimento, con una particolare cura per il coinvolgimento di coloro che si trovano ai margini della comunità cristiana e della società.

61. Il punto di partenza e il criterio di riferimento di ogni discernimento ecclesiale è l’ascolto della parola di Dio. Le sacre Scritture costituiscono la testimonianza per eccellenza della comunicazione di Dio con l’umanità. Attestano che Dio ha parlato al suo popolo e continua a farlo, e presentano diversi canali attraverso cui questa comunicazione avviene. Dio parla attraverso la meditazione personale della Scrittura, nella quale risuona «qualcosa» del testo biblico su cui si prega. Dio parla alla comunità nella liturgia, luogo ermeneutico per eccellenza di ciò che il Signore dice alla sua Chiesa. Dio parla attraverso la Chiesa, che è madre e maestra, attraverso la sua tradizione viva e le sue pratiche, comprese quelle della pietà popolare. Dio continua a parlare attraverso gli avvenimenti che hanno luogo nello spazio e nel tempo, a condizione di saperne discernere il significato. Ancora, Dio comunica con il suo popolo attraverso gli elementi del cosmo, la cui stessa esistenza rimanda all’azione del Creatore e che è riempito dalla presenza dello Spirito Santo «che dà la vita». Infine, Dio parla nella coscienza personale di ciascuno, che «è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (GS 16; EV 1/1369). Un autentico discernimento non può trascurare nessuno di questi canali di comunicazione.

62. Il discernimento comunitario non è una tecnica organizzativa, ma una pratica esigente che qualifica la vita e la missione della Chiesa vissuta in Cristo e nello Spirito Santo. Per questo va sempre realizzato con la consapevolezza e la volontà di essere radunati nel nome del Signore Gesù (cf. Mt 18,20) in ascolto della voce dello Spirito Santo. Come ha promesso Gesù, solo lo Spirito Santo può guidare la Chiesa sulla via della pienezza della verità (cf. Gv 16,13) e della vita, da dispensare a un mondo assetato di senso. Si radica qui il metodo con cui il popolo di Dio vive il suo cammino di annuncio e testimonianza del Vangelo. È dunque prioritario imparare a praticare a tutti i livelli quell’arte evangelica che ha permesso alla comunità apostolica di Gerusalemme di sigillare il risultato del primo evento sinodale della storia della Chiesa con le parole: «È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi» (At 15,28). In questo spirito si deve ricomprendere e riorientare la pratica della vita sinodale missionaria della Chiesa in luoghi, organismi ed eventi concreti.

63. Le concrete opzioni procedurali, nella loro varietà, devono essere coerenti con le esigenze di metodologia teologica di fondo. Anche sulla base dell’esperienza del processo sinodale, è possibile identificare alcuni elementi chiave per il disegno di qualsiasi procedura: a) una vita di preghiera personale e comunitaria, che includa la partecipazione all’eucaristia; b) un’adeguata preparazione personale e comunitaria, fondata sull’ascolto della parola di Dio e della realtà; c) un ascolto rispettoso e profondo della parola di ciascuno; d) la ricerca di un consenso il più ampio possibile non per intersezione (dunque al ribasso), ma per traboccamento, puntando a evidenziare quello che più «fa ardere i cuori» (cf. Lc 24,32); e) la formulazione del consenso da parte di chi conduce il processo e la sua restituzione a tutti i partecipanti, a cui spetta confermare o meno di sentirsi riconosciuti in quella formulazione.

64. Il discernimento si svolge sempre «con i piedi per terra», cioè all’interno di un contesto concreto, di cui occorre conoscere il meglio possibile le complessità e le peculiarità. Non potrà quindi che giovarsi del contributo dell’analisi delle diverse scienze umane, sociali e amministrative rilevanti rispetto alla questione di cui si tratta. Alla competenza tecnica e scientifica non spetta l’ultima parola – significherebbe cadere in una deriva tecnocratica – ma «dare una base di concretezza al percorso etico e spirituale che segue» (Francesco, Laudato si’, n. 15; EV 31/595). Occorrerà quindi garantire che possa offrire il suo apporto, di cui non si può fare a meno, senza acquisire un ruolo dominante su altre prospettive.

65. Nella Chiesa esiste una grande varietà di approcci al discernimento e di metodologie consolidate. Questa varietà è una ricchezza: con gli opportuni adattamenti ai diversi contesti, tutti gli approcci possono rivelarsi fecondi. In vista del bene comune, è importante che entrino in un dialogo cordiale, senza disperdere le specificità di ciascuna e senza arroccamenti identitari. La fecondità della conversazione nello Spirito, emersa in tutte le tappe del processo sinodale, invita a ritenere questa forma peculiare di discernimento ecclesiale come particolarmente consona all’esercizio della sinodalità.

66. Nelle Chiese locali è fondamentale offrire opportunità di formazione che diffondano e alimentino una cultura del discernimento, in particolare tra quanti ricoprono ruoli di responsabilità. Altrettanto importante è curare la formazione di figure di accompagnatori o facilitatori, il cui apporto si rivela assai spesso cruciale nello svolgimento dei processi di discernimento. In questa linea si pone anche il lavoro del Gruppo di studio n. 9, dedicato alla predisposizione di criteri teologici e metodologie sinodali per un discernimento condiviso di questioni dottrinali, pastorali ed etiche controverse.

L’articolazione dei processi decisionali

67. «Nella Chiesa sinodale tutta la comunità, nella libera e ricca diversità dei suoi membri, è convocata per pregare, ascoltare, analizzare, dialogare, discernere e consigliare nel prendere le decisioni pastorali più conformi al volere di Dio» (CTI, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, n. 68; Regno-doc. 11,2018,344). Più che di un approfondimento, questa affermazione ha bisogno di essere attuata. È difficile immaginare un modo per promuovere una Chiesa sinodale più efficace della partecipazione di tutti ai processi decisionali. Questa partecipazione avviene sulla base di una responsabilità differenziata che rispetta ogni membro della comunità e ne valorizza le capacità e i doni in vista della decisione condivisa.

68. Per favorire la sua attuazione, pare opportuna una riflessione sull’articolazione dei processi decisionali. Quest’ultima d’abitudine prevede una fase di elaborazione o istruzione (decision-making, secondo la terminologia inglese usata anche in altre lingue), «attraverso un lavoro comune di discernimento, consultazione e cooperazione» (CTI, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, n. 68; Regno-doc. 11,2018,344), che informa e sostiene la successiva presa di decisione (decision-taking), che spetta all’autorità competente (ad esempio, in una diocesi o eparchia, al vescovo). Fra le due fasi non vi è competizione o contrasto, ma con la loro articolazione concorrono a che le decisioni prese siano quanto più possibile conformi al volere di Dio: «L’elaborazione è un compito sinodale, la decisione è una responsabilità ministeriale» (ivi).

69. In numerosi casi già il diritto vigente prescrive che, prima di prendere una decisione, l’autorità è obbligata a procedere a una consultazione. Questa consultazione ecclesiale non può non essere fatta e va ben oltre l’ascolto, perché impegna a non procedere come se essa non avesse avuto luogo. L’autorità rimane libera dal punto di vista giuridico, in quanto il parere consultivo non è vincolante ma, se esso è concorde, non se ne discosterà senza un motivo convincente («sine praevalenti ratione; CIC, can. 127, § 2, 2°). Se lo facesse, si isolerebbe dal gruppo di coloro che sono stati consultati, configurando una lesione al legame che li unisce. Nella Chiesa l’esercizio dell’autorità non consiste nell’imposizione di una volontà arbitraria, ma, in quanto ministero a servizio dell’unità del popolo di Dio, costituisce una forza moderatrice della comune ricerca di ciò che lo Spirito richiede.

70. In una Chiesa sinodale la competenza decisionale del vescovo, del collegio episcopale e del romano pontefice è inalienabile, in quanto radicata nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita da Cristo. Tuttavia non è incondizionata: un orientamento che emerga nel processo consultivo come esito di un corretto discernimento, soprattutto se compiuto dagli organismi di partecipazione della Chiesa locale, non può essere ignorato. L’obiettivo del discernimento ecclesiale sinodale non è far obbedire i vescovi alla voce del popolo, subordinando i primi al secondo, né offrire ai vescovi un espediente per rendere accettabili decisioni già prese, ma condurre a una decisione condivisa in obbedienza allo Spirito Santo. Risulta dunque inadeguata una contrapposizione tra consultazione e deliberazione: nella Chiesa la deliberazione avviene con l’aiuto di tutti, mai senza l’autorità pastorale che decide in virtù del suo ufficio. Per questa ragione la formula ricorrente nel CIC, che parla di «voto solamente consultivo» (tantum consultivum), sminuisce il valore della consultazione e va corretta.

71. Spetta alle Chiese locali dare crescente attuazione a tutte le possibilità di dare vita a processi decisionali autenticamente sinodali, appropriati alle specificità dei diversi contesti. Si tratta di un compito di grande importanza e urgenza, in quanto da esso dipende largamente il buon esito della fase attuativa del Sinodo. Senza cambiamenti concreti, la visione di una Chiesa sinodale non sarà credibile e questo allontanerà quei membri del popolo di Dio che dal cammino sinodale hanno tratto forza e speranza. Questo vale in modo ancora più speciale per quanto riguarda l’effettiva partecipazione delle donne ai processi di elaborazione e alla presa di decisioni, come richiesto in molti dei contributi ricevuti dalle conferenze episcopali.

72. Infine non bisogna dimenticare che processi di consultazione, discernimento comunitario o elaborazione sinodale delle decisioni esigono che quanti vi partecipano abbiano effettivo accesso a tutte le informazioni rilevanti, in modo da poter formulare il proprio parere a ragion veduta. È responsabilità dell’autorità che indice il processo fare in modo che questo accada. Processi decisionali sinodali sani richiedono un adeguato livello di trasparenza. Ugualmente è bene sottolineare la delicatezza del compito e la particolare responsabilità di coloro che esprimono il proprio parere in una consultazione.

Trasparenza, rendiconto, valutazione

73. Una Chiesa sinodale ha bisogno di cultura e pratica della trasparenza e del rendiconto (accountability, un termine inglese usato anche in altre lingue), che sono indispensabili per promuovere la fiducia reciproca necessaria per camminare insieme ed esercitare la corresponsabilità per la comune missione. Nella Chiesa l’esercizio del rendiconto non risponde in primo luogo a esigenze di carattere sociale e organizzativo. Il suo fondamento è piuttosto da ricercarsi nella natura della Chiesa quale mistero di comunione.

74. Nel Nuovo Testamento possiamo trovare pratiche di rendiconto nella vita della Chiesa primitiva, significativamente legate proprio alla custodia della comunione. Ce ne offre un esempio il c. 11 degli Atti degli apostoli: quando Pietro rientra a Gerusalemme dopo aver battezzato Cornelio, un pagano, «i fedeli circoncisi lo rimproveravano dicendo: “Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato insieme con loro!”» (At 11,2-3). Pietro risponde con un racconto che rende conto delle ragioni del suo operato. Il rendere conto del proprio ministero alla comunità appartiene alla tradizione più antica, risalendo alla Chiesa apostolica. La teologia cristiana del servizio (stewardship) offre un quadro di riferimento al cui interno comprendere l’esercizio dell’autorità e situare la riflessione su trasparenza e rendiconto.

75. Nel nostro tempo, la richiesta di trasparenza e rendiconto nella Chiesa e da parte della Chiesa si è imposta a seguito della perdita di credibilità dovuta agli scandali finanziari e soprattutto agli abusi sessuali e di altro genere su minori e persone vulnerabili. La mancanza di trasparenza e di forme di rendiconto alimenta il clericalismo, che si fonda sull’assunto implicito che i ministri ordinati non debbano rendere conto a nessuno dell’esercizio dell’autorità loro conferita.

76.Se la Chiesa sinodale vuole essere accogliente, allora rendiconto e trasparenza devono essere al centro della sua azione a tutti i livelli e non solo al livello dell’autorità. Tuttavia, chi ricopre ruoli di autorità ha una responsabilità maggiore a riguardo. Trasparenza e rendiconto non si limitano all’ambito degli abusi sessuali e finanziari. Devono riguardare anche i piani pastorali, i metodi di evangelizzazione e le modalità con cui la Chiesa rispetta la dignità della persona umana, ad esempio per quanto riguarda le condizioni di lavoro all’interno delle sue istituzioni.

77. Se nel corso dei secoli si è conservata la pratica del rendere conto ai superiori, va recuperata la dimensione del rendiconto dell’autorità nei confronti della comunità. La trasparenza deve essere una caratteristica dell’esercizio dell’autorità nella Chiesa. Oggi appaiono necessarie strutture e forme di valutazione regolare del modo in cui sono esercitate le responsabilità ministeriali di ogni genere. La valutazione, intesa in senso non moralistico, permette ai ministri di apportare tempestivamente eventuali aggiustamenti, e favorisce la loro crescita e capacità di svolgere un servizio migliore.

78. Oltre a osservare quanto già previsto dalle norme canoniche in materia di criteri e meccanismi di controllo, compete alle Chiese locali e soprattutto ai loro raggruppamenti (conferenze episcopali e strutture gerarchiche orientali) costruire forme e procedure efficaci di trasparenza e rendiconto, appropriate alla varietà dei contesti, a partire dal quadro normativo civile, dalle attese della società e dalle effettive disponibilità di competenze in materia. Tuttavia anche laddove le risorse siano scarse la Chiesa opererà per un’evoluzione del proprio operato e della mentalità comune nella direzione della trasparenza e della cultura del rendiconto.

79. In particolare, in forme appropriate ai diversi contesti, pare necessario garantire quanto meno: a) un effettivo funzionamento dei Consigli degli affari economici; b) il coinvolgimento effettivo del popolo di Dio, in particolare dei membri più competenti, nella pianificazione pastorale ed economica; c) la predisposizione e la pubblicazione (con effettiva accessibilità) di un rendiconto economico annuale, per quanto possibile certificato da revisori esterni, che renda trasparente la gestione dei beni e delle risorse finanziarie della Chiesa e delle sue istituzioni; d) un rendiconto annuale sullo svolgimento della missione, che comprenda un’illustrazione delle iniziative intraprese in materia di safeguarding (tutela dei minori e delle persone vulnerabili) e di promozione dell’accesso delle donne a posizioni di autorità e della loro partecipazione ai processi decisionali; e) procedure di valutazione periodica dello svolgimento di tutti i ministeri e incarichi all’interno della Chiesa. Anche in questo caso, si tratta di un punto di grande importanza e urgenza per la credibilità del processo sinodale e della sua attuazione.

Parte III. Luoghi

La vita sinodale missionaria della Chiesa, le relazioni di cui è intessuta e i percorsi che ne assicurano lo sviluppo non possono mai prescindere dalla concretezza di un «luogo», cioè di un contesto e di una cultura. Questa Parte III ci invita a superare una visione statica dei luoghi, che li ordina per livelli o gradi successivi (parrocchia, zona, diocesi o eparchia, provincia ecclesiastica, conferenza episcopale o struttura gerarchica orientale, Chiesa universale) secondo un modello piramidale. In realtà non è mai stato così: la rete dei rapporti e dello scambio di doni tra le Chiese ha sempre avuto una forma reticolare più che lineare, nel vincolo dell’unità di cui il romano pontefice è perpetuo e visibile principio e fondamento, e la cattolicità della Chiesa non è mai coincisa con un universalismo astratto. Inoltre, nel quadro di una concezione dello spazio in rapido cambiamento, costringere l’azione della Chiesa entro confini puramente spaziali la imprigionerebbe in un fatale immobilismo e in una preoccupante ripetitività pastorale, incapace di intercettare la parte più dinamica della popolazione, in particolare i giovani. I luoghi vanno invece collocati in una prospettiva di mutua interiorità, da concretizzare anche nei rapporti tra Chiese e in loro raggruppamenti dotati di un’unità di senso. Il servizio dell’unità che compete al vescovo di Roma e al collegio dei vescovi in comunione con lui deve parimenti misurarsi con questo scenario, elaborando le opportune forme istituzionali del proprio esercizio.

Territori in cui camminare insieme

80. «Alla Chiesa di Dio che è in Corinto…» (1Cor 1,2). L’annuncio del Vangelo, suscitando la fede nel cuore degli uomini e delle donne, fa sì che in un luogo si costituisca una Chiesa. La Chiesa non si può comprendere senza il radicamento in un luogo e in una cultura e senza le relazioni che s’instaurano tra luoghi e culture. Sottolineare l’importanza del luogo non significa cedere al particolarismo o al relativismo, ma valorizzare la concretezza in cui, nello spazio e nel tempo, prende forma un’esperienza condivisa di adesione alla manifestazione di Dio che salva. La dimensione del luogo custodisce la sorgiva pluralità delle configurazioni di questa esperienza e il loro radicarsi in contesti culturali e storici specifici. La varietà delle tradizioni liturgiche, teologiche, spirituali e disciplinari è la più evidente dimostrazione di quanto questa pluralità arricchisca e renda bella la Chiesa. È la comunione delle Chiese, ciascuna con la sua concretezza locale, a manifestare la comunione dei fedeli nella Chiesa una e unica, evitandone l’evaporazione in un universalismo astratto e omogeneizzante.

81. L’esperienza del pluralismo delle culture e della fecondità dell’incontro e del dialogo tra di loro è condizione di vita della Chiesa, non una minaccia alla sua cattolicità. Il messaggio salvifico resta uno e unico: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,4-6). Questo messaggio assume una forma plurale, espressa nella diversità di popoli, culture, tradizioni e lingue. Prendere sul serio questa pluralità di forme scongiura pretese egemoniche e il rischio di ridurre il messaggio salvifico a un’unica comprensione della vita ecclesiale e delle espressioni liturgiche, pastorali o morali. La trama delle relazioni all’interno di una Chiesa sinodale, resa visibile nello scambio di doni tra le Chiese e garantita dall’unità del collegio dei vescovi con a capo il vescovo di Roma, è presidio dinamico di un’unità che non può mai diventare uniformità.

82.Tutto questo è chiamato oggi a misurarsi con condizioni socioculturali che modificano profondamente l’esperienza vissuta del radicamento territoriale. Il luogo non può più essere inteso in termini puramente geografici e spaziali, ma richiama piuttosto l’appartenenza a una trama di relazioni e a una cultura con un ancoraggio territoriale più dinamico ed elastico che in passato. Questo non può non interrogare le forme organizzative della Chiesa che si sono strutturate sulla base di una diversa concezione di luogo e richiede anche di assumere criteri differenziati, ovviamente non contraddittori, per incarnare l’unica verità nella vita delle persone.

83. Tra i fattori di questo cambiamento vi è certamente il fenomeno dell’urbanizzazione: oggi, per la prima volta nella storia umana, la maggioranza dell’umanità vive in contesti urbani e non rurali. L’appartenenza territoriale si configura in modo diverso in contesto urbano, dove i confini tra le parti hanno un carattere più evidentemente convenzionale. Nelle grandi megalopoli bastano poche fermate di metropolitana per attraversare i confini non della parrocchia, ma della diocesi: uno spostamento che molte persone compiono più volte nell’arco della stessa giornata. La loro vita si svolge ordinariamente in luoghi ecclesiali diversi.

84. Un secondo fattore è l’accresciuta mobilità umana, per differenti ragioni, all’interno di un mondo globalizzato. Rifugiati e migranti costituiscono spesso comunità vivaci, anche per quanto riguarda la pratica della fede, rendendo così plurale il luogo in cui si stabiliscono. Al tempo stesso mantengono, anche grazie ai mezzi di comunicazione digitale, legami e relazioni con il paese di provenienza. Vivono dunque una molteplice appartenenza locale, culturale e linguistica. Anche le comunità di origine sperimentano da un lato la riduzione dei propri membri, fino al rischio di scomparire, dall’altro un ampliamento del proprio tessuto relazionale a scala globale. Come ha notato la prima sessione, emblematica a questo riguardo è la situazione di alcune Chiese orientali cattoliche: con gli attuali ritmi dei flussi migratori, i loro membri in diaspora potrebbero diventare più numerosi di quelli che vivono nei territori canonici (cf. Relazione di sintesi, n. 6c). In ogni caso diventerà sempre più anacronistico definire il loro luogo in termini puramente geografici. Sulle sfide che questo pone nei rapporti con la Chiesa latina è chiamato a riflettere il Gruppo di studio n. 1.

85. Infine non possiamo trascurare la diffusione della cultura dell’ambiente digitale, specialmente tra i giovani. Essa impatta in modo radicale sull’esperienza e sulla concezione dello spazio e del tempo, così come sul modo di vivere le attività di ogni genere, le comunicazioni e le relazioni, e anche la fede. Non a caso la prima sessione afferma che «la cultura digitale non è tanto un’area distinta della missione, quanto una dimensione cruciale della testimonianza della Chiesa» (Relazione di sintesi, n. 17b; Regno-doc. 21,2023,669). A questa sfida è dedicato il lavoro del terzo dei dieci gruppi di studio.

86. Queste dinamiche della società e della cultura chiedono alla Chiesa di tornare a pensare al senso della propria dimensione locale, in vista del bene della missione. Senza dimenticare che la vita si svolge sempre in contesti fisici e in culture concrete, dai quali non si può mai prescindere, occorre uscire da un’interpretazione unicamente spaziale del luogo: i luoghi, anche e soprattutto quelli della Chiesa, non sono soltanto spazi, ma ambiti e reti in cui le relazioni possono svilupparsi, offrendo alle persone un’opportunità di radicamento e una base per la missione, che porteranno avanti ovunque si svolga la loro vita. La conversione sinodale delle menti e dei cuori deve essere accompagnata da una riforma sinodale dei luoghi ecclesiali, chiamati a essere strade su cui camminare insieme. Questo non significa rinchiudere in appartenenze elettive l’azione pastorale, che deve poter incontrare ogni uomo e ogni donna.

87. Questa riforma va condotta sulla base della comprensione della Chiesa come popolo santo di Dio, articolata nella comunione delle Chiese (communio Ecclesiarum). L’esperienza vissuta ci ha mostrato che avviare il processo sinodale dalle Chiese locali non compromette l’unità della Chiesa tutta, ma esprime la varietà e l’universalità del popolo di Dio (cf. LG 22), né pregiudica l’esercizio del ministero di unità del vescovo di Roma, ma lo valorizza. Non bisogna pensare la Chiesa a partire dalle sue istituzioni, ma queste, anche le più importanti, vanno ripensate nella logica del servizio della missione.

88. In ragione del servizio del vescovo di Roma come principio visibile di unità della Chiesa tutta e di ogni vescovo come principio visibile di unità nella sua Chiesa, il Concilio ha potuto dire che la Chiesa, corpo mistico di Cristo, è anche un corpo di Chiese, nelle quali e a partire dalle quali esiste l’una e unica Chiesa cattolica (cf. LG 23). Questo corpo si articola: a) nelle singole Chiese come porzioni del popolo di Dio, ciascuna affidata a un vescovo; b) nei raggruppamenti di Chiese, dove le istanze della comunione sono rappresentate soprattutto dagli organismi gerarchici; c) nella Chiesa intera (Ecclesia tota), dove la Chiesa come comunione di Chiese è espressa dal collegio dei vescovi raccolto intorno al vescovo di Roma nel vincolo della comunione episcopale (cum Petro) e gerarchica (sub Petro). La riforma delle istituzioni ecclesiali non può che seguire questa ordinata articolazione della Chiesa.

Le Chiese locali nell’una
e unica Chiesa cattolica

89. La Chiesa locale, nella sua articolazione, è il luogo in cui possiamo sperimentare più immediatamente la vita sinodale missionaria della Chiesa tutta. I contributi delle conferenze episcopali parlano di parrocchie, comunità di base e piccole comunità come di ambiti di comunione e di partecipazione nella missione. Come hanno affermato i parroci riuniti a Sacrofano, «i membri delle parrocchie sono e diventano discepoli missionari di Gesù riuniti nel suo nome per la preghiera e il culto, il servizio e la testimonianza in tempi di gioia e di dolore, di speranza e di lotta». Dio è all’opera in queste realtà ecclesiali. Al tempo stesso siamo consapevoli che dobbiamo fare di più per mettere a frutto la grande plasticità della parrocchia, compresa come comunità di comunità, a servizio della creatività missionaria.

90. Oggi le Chiese locali sono composte anche da realtà associative e comunitarie che sono espressioni antiche e nuove della vita cristiana. In particolare gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica contribuiscono molto alla vita delle Chiese locali e alla vivacità dell’azione missionaria. Lo stesso vale per le associazioni laicali, i movimenti ecclesiali e le nuove comunità. L’appartenenza alla Chiesa si esprime oggi con un numero crescente di forme che non fanno riferimento a una base geograficamente definita, ma a legami di tipo associativo. Questa varietà di forme va promossa, tenendo sempre presente la prospettiva missionaria e il discernimento ecclesiale di ciò che il Signore chiede in ogni particolare contesto. L’animazione di questa molteplice varietà e la cura dei legami di unità sono competenza specifica del vescovo diocesano o eparchiale. Al Gruppo di studio n. 6 è stato affidato il compito di approfondire questi aspetti.

91. Come già nelle fasi precedenti del processo sinodale, anche in occasione della consultazione in vista della redazione del presente Instrumentum laboris, molti dei contributi pervenuti considerano i diversi tipi di consigli (parrocchiali, zonali, diocesani o eparchiali) come strumenti essenziali per la pianificazione, l’organizzazione, l’esecuzione e la valutazione delle attività pastorali, e segnalano la necessità di valorizzarli. Si tratta infatti di strutture già previste dal vigente diritto. Con gli opportuni adattamenti potrebbero rivelarsi ancora più adatti a dare forma concreta ad alcuni aspetti di uno stile sinodale: possono diventare soggetti di processi di discernimento ecclesiale e di processi decisionali sinodali e luoghi della pratica del rendiconto e della valutazione di coloro che ricoprono ruoli di autorità, senza dimenticare che dovranno a loro volta rendere conto del modo in cui svolgono i propri compiti. Si tratta quindi di uno degli ambiti più promettenti su cui agire per una rapida attuazione degli orientamenti sinodali, che conduca a cambiamenti percepibili in modo rapido.

92.Per procedere in questa direzione, molti contributi segnalano la necessità di intervenire sul profilo e le modalità di funzionamento di questi organi. Tra gli aspetti più significativi a cui prestare attenzione si segnala la modalità di designazione dei membri, puntando a che la loro composizione rifletta quella della comunità di riferimento (parrocchia o diocesi/eparchia), così da contribuire credibilmente alla promozione di una cultura della trasparenza e del rendiconto. Occorre perciò che la maggioranza dei membri non sia indicata dall’autorità (vescovo o parroco), ma designata in altro modo, esprimendo effettivamente la realtà della comunità o della Chiesa locale.

93. Uguale attenzione richiede la composizione di questi organismi, in modo da favorire un maggiore coinvolgimento delle donne, dei giovani e di coloro che vivono in condizioni di povertà o emarginazione. Inoltre, come ha sottolineato anche la prima sessione, è fondamentale che in questi organi siedano uomini e donne impegnati nella testimonianza della fede nelle ordinarie realtà della vita e nelle dinamiche sociali, con una riconosciuta disposizione apostolica e missionaria (cf. Redazione di sintesi, n. 18d), e non solo persone impegnate nell’organizzazione della vita e dei servizi interni alla comunità. In questo modo il discernimento ecclesiale realizzato da questi organismi beneficerà di una maggiore apertura, capacità di analisi della realtà e pluralità di prospettive. Infine molti contributi segnalano l’opportunità di rendere obbligatori quei consigli la cui istituzione è discrezionale nel diritto attualmente vigente.

94. Alcune conferenze episcopali condividono anche esperienze di riforma e buone pratiche già in atto, come la creazione di reti di consigli pastorali a livello di comunità di base, parrocchie e zone, fino al consiglio pastorale diocesano. Come modello di consultazione e ascolto, si propone lo svolgimento di assemblee ecclesiali a tutti i livelli, cercando di non limitare la consultazione all’interno della Chiesa cattolica, ma aprendosi al contributo di altre Chiese e Comunità ecclesiali e di altre religioni presenti sul territorio e alla società, insieme a cui la comunità cristiana cammina.

I legami che danno forma
all’unità della Chiesa

95. L’orizzonte comunionale dello scambio di doni, esplicitato nella Parte I, costituisce il criterio ispirativo della relazione tra le Chiese. Esso combina l’enfasi sui legami che danno forma all’unità della Chiesa con la valorizzazione delle peculiarità legate al contesto in cui vive ciascuna Chiesa locale, con la sua storia e la sua tradizione. Adottare uno stile sinodale permette di non pensare che su ogni questione tutte le Chiese debbano muoversi per forza con lo stesso passo. Al contrario, le differenze di ritmo possono essere valorizzate come espressione di una legittima diversità e come occasione per uno scambio di doni e mutuo arricchimento. Per potersi realizzare, questo orizzonte ha bisogno di incarnarsi in strutture e prassi concrete. Rispondere alla domanda «Come essere Chiesa sinodale in missione?» richiede di identificarle e promuoverle.

96. Strutture gerarchiche orientali e conferenze episcopali sono uno strumento fondamentale di creazione di legami e condivisione di esperienze tra le Chiese, oltre che di decentramento del governo e della pianificazione pastorale. «Il concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le conferenze episcopali possono “portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente” (LG 23). Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale» (Francesco, Evangelii gaudium, n. 32; EV 29/2138). Cercare il modo per essere Chiesa sinodale in missione richiede di affrontare questa questione.

97. A partire da quanto emerso lungo il processo sinodale, si propone di: a) riconoscere le conferenze episcopali come soggetti ecclesiali dotati di autorità dottrinale, assumendo la diversità socioculturale nel quadro di una Chiesa poliedrica e favorendo la valorizzazione delle espressioni liturgiche, disciplinari, teologiche e spirituali appropriate ai diversi contesti socio-culturali; b) procedere a una valutazione dell’esperienza vissuta del funzionamento delle conferenze episcopali e delle strutture gerarchiche orientali, delle relazioni tra gli episcopati e con la Santa Sede, per identificare le riforme concrete da attuare; le visite ad limina, che rientrano nell’ambito del Gruppo di studio n. 7, potrebbero costituire un’occasione propizia per questa valutazione; c) assicurare che tutte le diocesi o eparchie siano assegnate a una provincia ecclesiastica e a una conferenza episcopale o struttura gerarchica orientale (cf. CD 40).

98. L’esperienza delle assemblee continentali è stata la novità della prima fase del processo sinodale, dando in modo più coerente attuazione all’indicazione conciliare di prendere sul serio la peculiarità di «di ogni vasto territorio socio-culturale» alla ricerca di «un più profondo adattamento in tutto l’ambito della vita cristiana» (AG 22; EV 1/1169). Questa esperienza, così come il cammino delle Chiese di alcune regioni, solleva la questione dell’articolazione del dinamismo sinodale e collegiale attraverso appropriate espressioni istituzionali, ad esempio assemblee ecclesiali e conferenze episcopali a cui affidare compiti coordinati di elaborazione e presa di decisioni in ambito continentale o regionale. Si possono anche attuare metodi di discernimento che includano una diversità di soggetti ecclesiali nella redazione dei documenti e nei processi decisionali. Inoltre si propone che per il discernimento si possano prevedere, in forme adeguate alla diversità dei contesti, anche spazi di ascolto e dialogo con istituzioni civili, rappresentanti di altre religioni, organizzazioni non cattoliche e la società in generale.

99. Il desiderio che il dialogo sinodale locale non si concluda ma continui nel tempo e la necessità di un’effettiva inculturazione della fede in ambiti territoriali significativi spinge a una nuova valorizzazione dell’istituto dei concili particolari, sia provinciali sia plenari, la cui periodica celebrazione è stata un obbligo per larga parte della storia della Chiesa. Sulla base dell’esperienza maturata lungo il percorso sinodale, si possono pensare forme che articolino un’assemblea di soli vescovi e un’assemblea ecclesiale composta anche da altri fedeli (presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, laici e laiche), delegati dai consigli pastorali delle diocesi o eparchie coinvolte, o designati in altro modo così da riflettere la varietà della Chiesa nella regione. In questa linea andrebbe riformata la procedura della recognitio delle conclusioni dei concili particolari, in modo da favorirne una tempestiva pubblicazione.

Il servizio all’unità del vescovo di Roma

100. Rispondere alla domanda «Come essere Chiesa sinodale in missione?» richiede anche di rivisitare la dinamica che unisce sinodalità, collegialità e primato, perché possa innervare i rapporti tra le istituzioni attraverso cui trova concreta espressione.

101. Il processo sinodale ha mostrato la verità dell’affermazione conciliare, che «nella comunione ecclesiale esistono legittimamente le Chiese particolari, che godono di tradizioni proprie, salvo restando il primato della cattedra di Pietro che presiede alla comunione universale della carità, garantisce le legittime diversità e insieme vigila perché il particolare non solo non nuoccia all’unità, ma anzi ne sia al servizio» (LG 13; EV 1/320). In forza di questa funzione il vescovo di Roma, in quanto principio visibile di unità della Chiesa tutta (cf. LG 23), è il garante della sinodalità: spetta a lui chiamare la Chiesa tutta all’azione sinodale, convocando, presiedendo e confermando i risultati dei Sinodi dei vescovi; dovrebbe essere sua cura vigilare perché la Chiesa cresca in uno stile e in una forma sinodale.

102. La riflessione in merito alle forme di esercizio del ministero petrino va condotta anche nella prospettiva della «salutare “decentralizzazione”» (Evangelii gaudium, n. 16; EV 29/2122), sollecitata da papa Francesco e richiesta da molte conferenze episcopali. Nella formulazione che ne dà la costituzione apostolica Praedicate Evangelium, essa comporta «di lasciare alla competenza dei pastori la facoltà di risolvere nell’esercizio del “loro proprio compito di maestri” e di pastori le questioni che conoscono bene e che non toccano l’unità di dottrina, di disciplina e di comunione della Chiesa, sempre agendo con quella corresponsabilità che è frutto ed espressione di quello specifico mysterium communionis che è la Chiesa» (Francesco, Praedicate Evangelium II, n. 2; Regno-doc. 7,2022,198).

103. Per procedere in questa direzione si potrebbe proseguire nella linea del recente motu proprio Competentias quasdam decernere (15.2.2022), che assegna «alcune competenze, circa disposizioni codiciali volte a garantire l’unità della disciplina della Chiesa universale, alla potestà esecutiva delle Chiese e delle istituzioni ecclesiali locali» sulla base della «dinamica ecclesiale della comunione» (Proemio; Regno-doc. 5,2022,134).

104. Inoltre anche l’elaborazione della norma canonica può essere luogo di esercizio di uno stile sinodale. L’azione normativa non è limitata all’esercizio di una potestà riconosciuta in capo all’autorità, ma va considerata come vero e proprio discernimento ecclesiale. Anche se da sola gode di tutte le prerogative per legiferare, nel farlo l’autorità potrebbe e dovrebbe agire con metodo sinodale, al fine di promulgare una norma che sia frutto di un ascolto nello Spirito di un’esigenza di giustizia.

105. La citata costituzione apostolica Praedicate Evangelium ha configurato in senso sinodale e missionario il servizio che la curia romana presta al vescovo di Roma e al collegio dei vescovi. Nella logica della trasparenza e del rendiconto andranno previste forme di valutazione periodica del suo operato, affidate a un organo indipendente (quale potrebbe essere il Consiglio dei cardinali e/o un consiglio di vescovi eletto dal Sinodo). Al ruolo dei rappresentanti pontifici in prospettiva sinodale missionaria e alle modalità di valutazione del loro operato è dedicato il Gruppo di studio n. 8.

106. La stessa Assemblea di ottobre 2023 indicava la necessità di procedere a una valutazione dei frutti della prima sessione (cf. Relazione di sintesi, n. 20j), valutazione che non può prescindere dallo sviluppo impresso dalla costituzione apostolica Episcopalis communio, che trasforma il Sinodo da evento puntuale a processo ecclesiale che si distende nello spazio e nel tempo. Tra i luoghi per praticare la sinodalità e la collegialità a livello della Chiesa tutta spicca certamente il Sinodo dei vescovi. Istituito da san Paolo VI come un’assemblea di vescovi convocata per partecipare, mediante il consiglio, alla sollecitudine del romano pontefice per tutta la Chiesa, è ora, nella forma del processo per fasi, l’ambito in cui si realizza e può essere incentivata la relazione dinamica tra sinodalità, collegialità e primato. L’intero popolo santo di Dio, i vescovi a cui sono affidate le sue singole porzioni e il vescovo di Roma in quanto principio di unità della Chiesa, partecipano a pieno titolo al processo sinodale, ciascuno secondo la propria funzione. Questa partecipazione è resa manifesta dall’assemblea sinodale riunita intorno al vescovo di Roma, che nella sua composizione mostra la varietà e l’universalità della Chiesa quale «“sacramento di unità”, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi» (SC 26; EV 1/42).

107. Tra i frutti più significativi del Sinodo 2021-2024 vi è l’intensità dello slancio e della promessa ecumenica che lo contraddistingue. Può essere utile affrontare in questa luce anche la questione dell’esercizio del ministero petrino, affinché possa aprirsi «a una situazione nuova» (Ut unum sint, n. 95; EV 14/2867). Il recente documento del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani Il vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica Ut unum sint offre spunti per un ulteriore approfondimento. Il tema rientra nell’ambito del Gruppo di studio n. 10, dedicato alla recezione dei frutti del cammino ecumenico nelle prassi ecclesiali.

108. La ricchezza rappresentata dalla partecipazione alla prima sessione dei delegati fraterni, provenienti da altre Chiese e Comunità ecclesiali, ci invita a crescere nell’attenzione a come la sinodalità si realizza nei nostri partner ecumenici, tanto in Oriente come in Occidente. Il dialogo ecumenico è fondamentale per sviluppare la comprensione della sinodalità e dell’unità della Chiesa. Ma soprattutto ci spinge a immaginare pratiche sinodali autenticamente ecumeniche, fino a forme di consultazione e discernimento su questioni di interesse condiviso e urgente. Alla radice di questa possibilità vi è il fatto che siamo uniti nell’unico battesimo, da cui scaturiscono l’identità del popolo di Dio e il dinamismo di comunione, partecipazione e missione.

Conclusione.
La Chiesa sinodale nel mondo

109. In questo mondo ogni cosa è connessa ed è segnata da un desiderio dell’altro che non viene mai meno. Tutto è un appello alla relazione e una testimonianza di non autosufficienza. Il mondo intero, quando lo si contempla con lo sguardo educato dalla rivelazione cristiana, è segno sacramentale di una presenza che lo trascende e lo anima, conducendolo all’incontro con Dio, che si compirà definitivamente nella convivialità delle differenze, le quali troveranno piena composizione al banchetto escatologico preparato da Dio sul suo monte.

110. Trasformata dall’annuncio della risurrezione, la Chiesa cerca di diventare un luogo dove si respira e si vive la visione di Isaia, così da essere «sostegno al misero, sostegno al povero nella sua angoscia, riparo dalla tempesta, ombra contro il caldo» (Is 25,4). In questo modo apre il suo cuore al Regno. Quando i membri della Chiesa si lasciano condurre dallo Spirito del Signore verso orizzonti che prima non avevano intravisto, sperimentano una gioia incommensurabile. Nella sua bellezza, umiltà e semplicità, è questa la conversione continua dello stile della Chiesa che il processo sinodale ci invita a intraprendere.

111. L’enciclica Fratelli tutti ci presenta la chiamata a riconoscerci come sorelle e fratelli in Cristo risorto, proponendolo non come uno status, ma come uno stile di vita. L’enciclica sottolinea il contrasto tra il tempo in cui viviamo e la visione di convivialità preparata da Dio. Il velo, la coltre e le lacrime dei nostri tempi sono il risultato del crescente isolamento reciproco, della crescente violenza e polarizzazione del nostro mondo e dello sradicamento dalle sorgenti della vita. Questo Instrumentum laboris s’interroga e ci interroga su come essere una Chiesa sinodale missionaria; come impegnarci in un ascolto e in un dialogo profondi; come essere corresponsabili alla luce del dinamismo della nostra vocazione battesimale personale e comunitaria; come trasformare strutture e processi in modo che tutti possano partecipare e condividere i carismi che lo Spirito riversa su ciascuno per l’utilità comune; come esercitare potere e autorità come servizio. Ognuna di queste domande è un servizio alla Chiesa e, attraverso la sua azione, alla possibilità di guarire le ferite più profonde del nostro tempo.

112. Il profeta Isaia termina il suo oracolo con un inno di lode da riprendere in coro: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza» (Is 25,9). Come popolo di Dio uniamoci a questa lode, mentre come pellegrini di speranza continuiamo ad avanzare lungo il cammino sinodale verso coloro che ancora attendono l’annuncio della buona Notizia della salvezza!

 

Tipo Documento
Tema Sinodo dei vescovi Santa Sede
Area EUROPA
Nazioni