«No» al Decreto sicurezza
Un documento per ribadire «la ferma decisione di metterci dalla parte degli ultimi e dei più svantaggiati che bussano alle nostre porte»: a firmarlo è il vescovo della diocesi di Cesena-Sarsina Douglas Regattieri, delegato della Conferenza episcopale regionale per il Servizio della carità, insieme ai direttori delle 15 Caritas diocesane della regione, ed è stato reso pubblico il 12 febbraio. Un testo che, in maniera esplicita, giudica negativamente il cosiddetto «Decreto sicurezza», cioè le Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale, immigrazione, sicurezza pubblica, fortemente volute dal ministro dell’Interno Matteo Salvini e approvate definitivamente il 28 novembre 2018.
Il Decreto sicurezza secondo i vescovi emiliano-romagnoli porta a «un atteggiamento vessatorio nei confronti di persone a cui si imputa il torto di essere straniere e povere, le quali saranno condannate a maggiore precarietà e marginalità, a danno di tutta la cittadinanza». I firmatari sostengono l’iniziativa dei sindaci e dei presidenti regionali che hanno promosso il ricorso alla Corte costituzionale, ma invitano anche a non rimanere inerti e mettere in atto una sorta di «obiezione di coscienza» a un decreto che non tutela la vita delle persone. L’auspicio è che si intraprendano altri percorsi, come lo «studio di strumenti giuridici e amministrativi che permettano l’accompagnamento alla legalità delle persone che incontriamo».
Avvenire – Bologna Sette 17.2.2019, 4.
Noi, vescovo delegato della Conferenza episcopale dell’Emilia-Romagna per il Servizio della carità, e i direttori delle 15 Caritas diocesane della Regione, dopo la pubblicazione e l’entrata in vigore del cosiddetto «Decreto sicurezza» (la Legge n. 132 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4.10.2018, n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione del 1.12.2018), con l’intento d’esprimere un parere che orienti i tanti fedeli che si rivolgono a noi per avere chiarezza e al fine di riaffermare ancora una volta – in ottemperanza alle finalità del nostro ministero e servizio ecclesiale e sociale – la nostra ferma decisione di metterci dalla parte degli ultimi e dei più svantaggiati che bussano alle nostre Caritas e ai nostri Centri d’ascolto, confermiamo il parere negativo riguardo a questa legge, condiviso da tante realtà cattoliche in Italia, compreso Caritas Italiana, perché concretizza un atteggiamento vessatorio nei confronti di persone a cui si imputa il torto di essere straniere e povere, le quali saranno condannate a maggiore precarietà e marginalità, a danno di tutta la cittadinanza.
Infatti, oltre a ledere la dignità di queste persone che senza documenti, senza lavoro, senza occupazione e attività di integrazione saranno costrette a trovare un proprio modo per sopravvivere, la legge indebolisce anche il nostro stesso corpo sociale, la cultura solidale che ci lega, così che si rafforza il nazionalismo e l’individualismo delle singole comunità e si costruisce un paese forte solo con i deboli e chiuso. L’obiettivo di ogni politica sociale dovrebbe essere invece il maggior bene possibile di tutta la cittadinanza, tra diritti e doveri, legalità e convivenza. Anche le comunità cristiane, a cui apparteniamo, sembrano talvolta tentate da un atteggiamento conciliante verso questa cultura dell’esclusione e dalla inconsapevolezza che nasce dal delegare ad altri l’onere dei problemi e quello delle critiche.
Come Caritas diocesane dell’Emilia-Romagna ci sentiamo quindi d’impegnarci a due livelli: a) riteniamo giusta e da sostenere la decisione dei sindaci e presidenti regionali che hanno promosso il ricorso alla Corte costituzionale. In Costituzione, l’art. 10 riconosce il diritto d’asilo e in questo momento, di fronte a un Decreto sicurezza che, a giudizio di molti, non tutela questo diritto e mette in difficoltà ulteriormente le realtà locali, i giudici della Consulta possono esprimersi in merito autorevolmente; b) inoltre, di fronte a gravi disagi inflitti alle persone, in coscienza, non si può rimanere inerti.
Riteniamo dunque giusto mettere in atto una sorta di «obiezione di coscienza» a un decreto che non tutela la vita delle persone. Non possiamo esimerci dagli obblighi di questa legge e tuttavia, come credenti e professanti, sentiamo il dovere di contrastarla con i mezzi a nostra disposizione: l’educazione delle comunità e delle persone a riconoscere il Signore Gesù presente in ogni fratello, in particolare nei poveri; l’accoglienza generosa e prudente di ogni persona che punti al loro sviluppo integrale; la cura di relazioni di prossimità e solidarietà per contrastare una cultura dell’esclusione e dello scarto; un’azione di advocacy e di partecipazione politica a difesa dei più poveri fondata sulla nostra Costituzione; lo studio di strumenti giuridici e amministrativi che permettano l’accompagnamento alla legalità delle persone che incontriamo. In un momento di confusione e disorientamento pensiamo che la Chiesa debba avere il coraggio di essere se stessa, fedele a Gesù Cristo e al magistero di papa Francesco e dei nostri vescovi e promotrice di una vera cultura della carità.