Al popolo di Dio che è in Cile
Lettera dopo l’incontro con i vescovi cileni a Roma sullo scandalo delle violenze sessuali su minori
Dopo aver scritto ai vescovi (Regno-doc. 11,2018,357), il papa il 6 giugno scorso ha rivolto (in spagnolo) una lunga lettera Al popolo di Dio pellegrino in Cile (con data 31 maggio; cf. Regno-att. 10,2018,336). Immediato il raffronto con la Lettera ai cattolici d’Irlanda firmata da Benedetto XVI per la crisi nell’Isola del 2010. Allora il fulcro era sul pentimento e sulla conversione interiore; oggi è sul «popolo di Dio», anche a motivo del diverso contesto di molte delle violenze cilene. «Ogni volta che cerchiamo di soppiantare, tacitare, annichilire, ignorare, ridurre a piccole élite il popolo di Dio nella sua totalità… costruiamo comunità… senza radici, senza storia, senza volto, senza memoria…; la lotta contro una cultura dell’abuso richiede di rinnovare questa certezza». Per questo occorre ripartire da una «Chiesa con stile sinodale» che metta Gesù al centro e crei spazi d’«ascolto», soprattutto per le vittime, «in cui non si confonda un atteggiamento critico e interlocutorio con il tradimento». Per questo – dice il papa, forse anche ridimensionando la questione delle dimissioni episcopali – «il rinnovamento della gerarchia ecclesiale di per sé non produce la trasformazione a cui ci spinge lo Spirito Santo», che invece chiede uno sguardo attento alla giustizia, che fa «guardare ai problemi senza rimanervi imprigionati».
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