Documenti, 3/2009, 01/02/2009, pag. 77
Con grande afflizione
All’indomani della remissione della scomunica ai vescovi lefebvriani (cf. in questo numero alle pp. 69ss), l’opinione pubblica ecclesiale ha iniziato a interrogarsi sulla nuova situazione canonica e pastorale degli aderenti alla Fraternità San Pio X: su quali atti cioè siano ancora necessari perché essi possano dirsi in piena comunione con la Chiesa di Roma. Come contributo alla riflessione, riproponiamo qui i principali atti ufficiali con cui la Santa Sede aveva definito, per tutto il periodo di durata della scomunica, tale situazione: il decreto di scomunica, il motu proprio Ecclesia Dei (cf. Regno-doc. 15,1988,477ss), una risposta della Congregazione per i vescovi ad alcuni quesiti del vescovo svizzero N. Brunner e una nota che il Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi ha redatto su richiesta della stessa Congregazione per i vescovi (cf. Regno-doc. 17,1997,528ss). Ne emergono: la scomunica per chi aderiva formalmente a quel «movimento scismatico», l’acefalia dei chierici ordinati da Lefebvre prima del 1988, l’illiceità della partecipazione alle loro celebrazioni.
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