D
Documenti
Documenti, 5/2003, 01/03/2003, pag. 129

La Santa Sede al Consiglio di sicurezza

Mons. C. Migliore
La crisi irachena ha messo in luce come nella Chiesa cattolica stia emergendo in maniera consapevole una posizione sempre più critica nei confronti della guerra e della violenza, variamente giustificata. In questo senso il papa si pone quasi come un leader di un pacifismo non ideologico e radicale (Regno-att. 4,2003,76), invitando i cristiani a una responsabilità specifica, quella di essere «sentinelle della pace» (cf. qui a p. 130). Accanto all’appello del papa, cui si sono uniti numerosi episcopati (cf. a p. 132 la nota congiunta dei capi delle Chiese di Sarajevo, Gerusalemme e Baghdad) ed esponenti di altre confessioni cristiane e di organismi ecumenici (cf. la dichiarazione degli arcivescovi di Canterbury e Westminster a p. 131), non ha cessato di agire la diplomazia vaticana. L’intervento dell’osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU, mons. C. Migliore, nel corso dell’incontro al Consiglio di sicurezza sulla situazione tra Iraq e Kuwait, ha affermato che ogni decisione va presa all’interno dell’ONU. Nella conferenza tenuta all’Istituto dermopatico dell’Immacolata a Roma il 24 febbraio, intitolata «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra», mons. J.-L. Tauran, segretario per i rapporti con gli stati, ha poi ribadito: «Nessuna regola del diritto internazionale autorizza uno o più stati a ricorrere unilateralmente all’uso della forza per cambiare un regime o la forma di governo di un altro stato... Solo il Consiglio di sicurezza potrebbe, a motivo di circostanze particolari, decidere» di ricorrere alla forza.

La lettura dell'articolo è riservata agli abbonati a Il Regno - attualità e documenti o a Il Regno digitale.
Gli abbonati possono autenticarsi con il proprio codice abbonato. Accedi.

Leggi anche

Documenti, 2005-3

Capacità di male, capacità di bene

Mons. C. Migliore
Intervenendo il 25 gennaio 2005 alla 28a sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per la commemorazione del 60° anniversario della liberazione dei Lager nazisti, l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU mons. Celestino Migliore ha unito alla commemorazione la voce della Chiesa cattolica, richiamando alla responsabilità che il ricordo dello sterminio dispone per il presente e il futuro (www.vatican.va; nostra traduzione dall’inglese)
Documenti, 2003-5

Di fronte alla crisi irachena

Mons. C. Migliore, Mons. J.-L. Tauran
La crisi irachena ha messo in luce come nella Chiesa cattolica stia emergendo in maniera consapevole una posizione sempre più critica nei confronti della guerra e della violenza, variamente giustificata. In questo senso il papa si pone quasi come un leader di un pacifismo non ideologico e radicale (Regno-att. 4,2003,76), invitando i cristiani a una responsabilità specifica, quella di essere «sentinelle della pace» (cf. qui a p. 130). Accanto all’appello del papa, cui si sono uniti numerosi episcopati (cf. a p. 132 la nota congiunta dei capi delle Chiese di Sarajevo, Gerusalemme e Baghdad) ed esponenti di altre confessioni cristiane e di organismi ecumenici (cf. la dichiarazione degli arcivescovi di Canterbury e Westminster a p. 131), non ha cessato di agire la diplomazia vaticana. L’intervento dell’osservatore permanente della Santa Sede presso l’ONU, mons. C. Migliore, nel corso dell’incontro al Consiglio di sicurezza sulla situazione tra Iraq e Kuwait, ha affermato che ogni decisione va presa all’interno dell’ONU. Nella conferenza tenuta all’Istituto dermopatico dell’Immacolata a Roma il 24 febbraio, intitolata «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra», mons. J.-L. Tauran, segretario per i rapporti con gli stati, ha poi ribadito: «Nessuna regola del diritto internazionale autorizza uno o più stati a ricorrere unilateralmente all’uso della forza per cambiare un regime o la forma di governo di un altro stato... Solo il Consiglio di sicurezza potrebbe, a motivo di circostanze particolari, decidere» di ricorrere alla forza.