Il 20 giugno, in conclusione della 16a Assemblea generale della Conferenza delle Chiese europee (KEK) a Tallinn (cf. qui a p. 508), è stato pubblicato il Messaggio finale (2023cecassembly.org; nostra traduzione dall’inglese).
«La Presidenza tedesca giunge davvero in un momento cruciale per il futuro dell’UE, dimostrando la necessità per noi tutti di stare uniti e con una visione comune e forte dell’Europa», e gli episcopati europei, non solo cattolici ma anche ortodossi ed evangelici, appoggiano in pieno «l’ambizioso e lungimirante programma della Presidenza tedesca del Consiglio dell’Unione Europea Insieme per la ripresa dell’Europa e l’impegno della Presidenza tedesca a sviluppare un’Unione Europea forte, innovativa, giusta e sostenibile agendo in linea con i suoi valori e principi comuni, e promuovendo così il bene comune».
Lo hanno affermato il Consiglio degli episcopati dell’Unione Europea (COMECE), che rappresenta i vescovi cattolici del continente, e la Conferenza delle Chiese europee (KEK), che rappresenta quelli ortodossi ed evangelici, in un documento congiunto dal titolo Contributo di COMECE e KEK al programma della Presidenza tedesca EU «Insieme per la ripresa dell’Europa».
Il documento è stato consegnato il 7 luglio da una delegazione di COMECE e KEK a Michael Clauss, ambasciatore presso la Rappresentanza permanente della Germania all’Unione Europea.
La Conferenza delle Chiese europee (KEK), comunità di 114 Chiese ortodosse, protestanti e anglicane dei paesi europei, attraverso il suo Gruppo tematico sui diritti umani ha pubblicato un documento in 14 punti in cui riflette sulla libertà di religione o di credo nel contrasto alla pandemia di COVID-19. S’intitola Libertà di religione o di credo durante la lotta contro la pandemia di COVID-19 ed è uscito il 24 aprile.
Tra le conclusioni elaborate, da un lato si afferma che «è importante riconoscere che il divieto di assemblee, comprese le funzioni, non è inteso come discriminazione e persecuzione religiosa», poiché «attualmente questa misura ha lo scopo di salvaguardare la vita umana, sia dei credenti sia degli altri membri della società». Dall’altro si precisa che queste limitazioni devono avere «una base giuridica, essere necessarie, idonee, ragionevoli e generalmente proporzionate», e «considerare il principio della parità di trattamento» per tutte le religioni. Perciò non si giustifica una «malintesa disobbedienza civile», dato che negli ordinamenti democratici vi è il diritto di appellarsi in sede legale.
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