Vita e sicurezze
XVIII domenica del tempo ordinario
Qo 1,2; 2,21-23; Sal 89 (90); Col 3,1-5.9-11; Lc 12,13-21
La parabola del Vangelo di questa domenica ricorda una novella di Giovanni Verga intitolata La roba (in Novelle rusticane, 1883). In questo racconto si parla di un povero contadino, che impiega tutte le sue energie fisiche e mentali per sollevarsi dalla sua condizione di miseria e per diventare, alla fine, un ricco proprietario terriero. Raggiunto il suo fine, dato che tutto ciò che si poteva guardare fino all’orizzonte era diventato suo, si accorge che l’unica cosa che non può comprare è il tempo, la giovinezza che non c’è più, e che, inesorabilmente, è prossimo alla morte: «Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: “Roba mia, vientene con me!”».
Anche nella parabola evangelica troviamo lo stesso finale: «“Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!». Ma Dio gli disse: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?»».
Al di là della ricchezza accumulata, la questione centrale che la parabola – come anche la novella di Verga – solleva è il senso della vita, una vita che per sua natura non è eterna e, soprattutto, non consiste solo in un «fare». Ciò che viene criticato nella pagina evangelica non è tanto la ricchezza in sé, ma l’aver estromesso dal proprio orizzonte la relazione con Dio.
Significativo in questo senso è un passo del Deuteronomio: «Presenterete i vostri olocausti e i vostri sacrifici, le vostre decime, quello che le vostre mani avranno prelevato, le vostre offerte votive e le vostre offerte spontanee e i primogeniti del vostro bestiame grosso e minuto; mangerete davanti al Signore, vostro Dio, e gioirete voi e le vostre famiglie per ogni opera riuscita delle vostre mani e di cui il Signore, vostro Dio, vi avrà benedetti» (Dt 12,6-7).
Che si abbia un buon raccolto o che si sia fatta «fortuna» nella vita di per sé non è una cosa negativa, lo diventa se tale abbondanza e ricchezza viene assolutizzata, cioè diventa il centro, l’orizzonte e il fine della propria esistenza. Se questo non è il caso di molti, è invece abbastanza comune pensare che un certo benessere economico rappresenti un’«assicurazione» per la vita. Purtroppo però, nonostante le pubblicità delle società assicuratrici, gli «averi» non danno sicurezza e la vita non consiste nella «roba» di verghiana memoria.
Al centro ritorna quindi la domanda fondamentale: quale senso e quale fine ha la nostra esistenza?
Per lo stolto della parabola il fine era predisporre le cose per se stesso, e la sua stoltezza consiste proprio nel pensare che i compiti terminino una volta assicurato economicamente il proprio futuro: «Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!».
Ma dire che la vita è fragile e incerta e che gli averi non bastano è una verità ovvia, nota a chiunque, che spesso però non incide sulla nostra vita. Pochi nelle società occidentali vivono come se possesso e sicurezza non fossero gli aspetti più importanti della vita. E non è necessario essere ricchi per essere come il ricco stolto. Può essere più facile per i ricchi «accumulare per se stessi», ma chi è senza mezzi può essere ugualmente guidato dall’avidità e assorbito in «cose» anziché in Dio.
Per non fermarsi dunque ai soli «ricchi», questa parabola può essere «utile» anche per esaminare la nostra idea di pensionamento e le nostre aspettative a riguardo. Anche se non abbiamo accumulato una fortuna, è desiderio di tutti «andare in pensione» senza problemi, con una certa tranquillità economica che ci garantisca una comodità di vita. Ed è proprio questo il punto: tutto questo, che senz’altro è buono, è anche sufficiente? Un ragionamento del genere presuppone infatti che la «vita» sia il fine e che tale fine – permettetemi il gioco di parole – non abbia fine. Si vive per star bene, per far star bene i propri figli, le persone che amiamo, o anche per qualcos’altro?
