Verso la pienezza del Regno
XXXI domenica del tempo ordinario
Dt 6,2-6; Sal 17 (18); Eb 7,23-28; Mc 12,28b-34
Il Vangelo di questa domenica mostra con estrema chiarezza quanto Gesù fosse non solo un ebreo, ma anche un perfetto osservante della fede ebraica. Questione non del tutto scontata e purtroppo non ancora considerata adeguatamente, dal punto di vista sia di una riflessione cristologica sia, permettetemi di dire, anche soteriologica. Ma veniamo al testo.
Marco racconta che uno scriba, ovvero un esperto della Torah (Pentateuco), si avvicina a Gesù chiedendogli: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». E Gesù risponde come risponderebbe qualsiasi ebreo credente, ancora oggi: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”», citando a memoria Deuteronomio 6,4-6. Ma nella risposta non si ferma al primo dei comandamenti e prosegue anche con quello che, in quanto ebreo, ritiene essere il secondo: «Amerai il tuo prossimo come te stesso»; e questa volta la citazione è presa da Levitico 19,8.
Di fronte a una risposta così sintetica e precisa lo scriba esclama: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». La risposta quindi che Gesù dà non solo è più che soddisfacente per lo scriba, ma proprio tale risposta fa sì che lo chiami «Maestro», che riconosca, cioè, in lui un’autorevolezza proprio in termini di fede.
Ancora più interessante è il modo con cui, poi, Gesù congeda lo scriba: «Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: “Non sei lontano dal regno di Dio”».
Se si confronta quest’ultima affermazione con quanto Marco riporta dell’annuncio evangelico che Gesù proclama lungo le strade della Galilea – «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15) –, si può affermare che il primo e il secondo comandamento, che sintetizzano la fede ebraica, sono senza dubbio «vicinanza» al regno di Dio.
Che cosa manca a questa «vicinanza», o, ancora meglio, a cosa tende questa «vicinanza»? Se seguiamo la logica del testo, possiamo rispondere che è proprio l’instaurazione del Regno e la sua piena attuazione. Ed è qui che la figura di Gesù, con il suo messaggio, pone uno scarto che porterà a posizioni diverse e ad aperture differenti. Per molti ebrei del tempo di Gesù, e ancora per molti ebrei di oggi – dico «molti» perché il giudaismo prima e l’ebraismo poi hanno da sempre diverse sfaccettature e complessità che in questo contesto non si possono né presentare né tantomeno esemplificare –, l’instaurazione del Regno coincideva con l’avvento del Messia. Un Messia regale e davidico, per alcuni, un Messia con caratteristiche escatologiche e divine, per altri.
All’interno di queste attese è proprio il Vangelo di Marco che presenta Gesù, Cristo – ovvero Messia (a seconda che usiamo il termine in greco o in ebraico) –, come il «Figlio dell’Uomo», con un chiaro riferimento alla profezia di Daniele 7. La novità sta proprio qui: nell’identificazione di Gesù con il «Figlio dell’Uomo», così come bene lo spiega Daniel Boyarin, uno studioso ebreo (e osservante) del Nuovo Testamento: «Al contrario del Figlio dell’Uomo che corre sulle nubi, visione del futuro, Gesù è tra noi adesso – questo afferma il Vangelo e chi crede nei Vangeli. Gli ultimi giorni sono adesso, proclama il Vangelo. Tutte le idee riguardanti Gesù sono antiche: la novità è Gesù. Non vi è nulla di nuovo, nella dottrina del Cristo, salvo la proclamazione di quest’uomo quale Figlio dell’Uomo. Si tratta, com’è ovvio, di una proclamazione clamorosa, un’innovazione gigantesca destinata ad avere conseguenze storiche epocali» (D. Boyarin, Il vangelo ebraico. Le vere origini del cristianesimo, Castelvecchi 2012).
Per i cristiani dunque Gesù è il Messia; per molti degli ebrei del suo tempo e per molti di quelli a noi contemporanei – anche qui dico «molti», considerando che esistono anche gli ebrei messianici – no; la differenza fondamentale e anche irriducibile è questa. Una differenza che si presenta come due strade parallele che convergono all’infinito, un «infinito» che coincide, però, escatologicamente, con la venuta definitiva del Messia e del suo Regno. Strade dunque diverse, a partire dalla stessa radice, che camminano con speranza e fedeltà verso l’unica salvezza.