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Uno di loro, uno di noi

Battesimo del Signore

Is 42,1-4.6-7; Sal 28 (29); At 10,34-38; Mt 3,13-17

Con il battesimo di Gesù inizia la narrazione evangelica della sua predicazione messianica. Tutta l’attività pubblica di Gesù è racchiusa tra due avvenimenti: il battesimo al Giordano e la trasfigurazione su di un «alto monte», ultima tappa prima dell’arrivo a Gerusalemme, del suo arresto, della sua passione e morte. Il sigillo del suo ministero messianico, tra il suo inizio e il suo compimento, è dato e confermato dalla «voce dal cielo», ovvero da un versetto del profeta Isaia: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (Mt 3,17; 17,5).

La citazione di questo versetto fa poi riferimento a tutto il brano di Isaia che offre la descrizione del «servo del Signore» e che nella liturgia di questa domenica costituisce la prima lettura. 

Nel testo profetico si dice che il servo «non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta»; il suo modo di proclamare «il diritto alle nazioni» e la «verità» sarà dunque in sordina, senza tanto clamore, ma soprattutto senza «spezzare» una realtà incrinata o «spegnere» una luce di speranza seppur flebile. Una presenza, quindi, rispettosa, attenta, che entra nella realtà senza distruggerla o calpestarla, ma facendola propria, «incarnandola». Programma non facile, ed esposto al fallimento, proprio per la delicatezza con cui viene proposto, dove non è al centro la realizzazione efficace del progetto, bensì l’attenzione all’altro, alla sua sensibilità e alla sua condizione già precaria. 

Ebbene tutto questo viene messo in conto, e anche se la missione del servo si presenta difficile e incerta viene detto che «non verrà meno e non si abbatterà» (in ebraico sono gli stessi verbi che sono stati usati per la canna incrinata, «non si spezzerà», e lo stoppino dalla fiamma smorta, «non si spegnerà»). 

È proprio per questo che Gesù, in risposta alle obiezioni di Giovanni nel presentarsi davanti a lui per essere battezzato – «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» –, risponde: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Una giustizia che parte dal basso, che si schiera dalla parte di chi si riconosce bisognoso di un aiuto, di chi riconosce la propria fragilità e sa che non può salvarsi da solo. Gesù, infatti, si mette in fila con i peccatori, si presenta a Giovanni come «uno di loro», esprime con questo gesto la propria solidarietà con i «peccatori». 

Il gesto che Gesù compie è programmatico di un modo di porsi di fronte alla realtà in cui si trova accogliendola dal suo interno e facendola propria. Egli è chiamato a essere il Messia, colui che pronuncerà il «diritto sulla terra», «alleanza del suo popolo e luce per le nazioni», ma per realizzare tutto questo non alza la voce, non fa proclami; al contrario, si mescola tra la folla, tra coloro che, in fila, attendono il battesimo di Giovanni per essere purificati dai loro peccati. Tale gesto ovviamente non è di accoglienza o di giustificazione del peccato, ma di speranza verso il peccatore che si riconosca tale. 

In tutto questo, c’è una cosa che vorrei condividere: tempo fa ho ricevuto un’email da un prete, che osservava come oggi i giovani non sentano il bisogno di essere salvati e mi chiedeva qualche suggerimento in merito. Questa richiesta, a cui ho tentato di rispondere maldestramente, mi ha lasciato comunque la domanda aperta: oggi sentiamo (e ovviamente non solo i giovani) il bisogno di salvezza? Se Gesù si presentasse oggi sulle rive del Giordano per essere solidale con i peccatori, si troverebbe forse da solo? Trovo che il gesto di Gesù rimanga anche per noi estremamente provocatorio: colui che è chiamato a «ristabilire la giustizia», l’unico totalmente «giusto», si mischia in mezzo ai peccatori, tra l’altro senza nessun segno distintivo. Come a dirci che l’unica possibilità di giustizia è a partire dal riconoscere la propria ingiustizia, che solo quando si avrà il coraggio di conoscere il proprio peccato più che quello altrui, l’arte dell’autogiustificazione cadrà in ribasso e forse riscopriremo la bellezza e il desiderio dell’essere salvati.

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