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Un'identità e un destino

Il racconto lucano del battesimo di Gesù va compreso sullo sfondo della convinzione dell'epoca che il cielo fosse chiuso e lo Spirito estinto.

Battesimo del Signore

Is 40,1-5.9-11; Sal 104 (103); Tt 2,11-14; 3,4-7; Lc 3,15-16.21-22

  

Se prestiamo fede alla testimonianza di Giuseppe Flavio (Ant XVIII 5,2) il «battesimo di Giovanni non era finalizzato al perdono dei peccati ma alla purificazione del corpo, perché l’anima era già stata purificata dall’esercizio della giustizia». Vale a dire che il bagno «era ed è un segno della penitenza già fatta e della conversione già avvenuta nel senso dei profeti» (Lapide).

Era così anche per la gente di Qumrân e in generale per tutti coloro che, vivendo una forte attesa messianica, volevano sempre essere pronti.

Saremmo così di fronte a una delle pratiche più diffuse e consolidate dell’ebraismo: il bagno rituale.

Una variante del testo di Lc 3,7, dice che questa immersione nel Giordano avveniva «dinanzi (enopion) a Giovanni», che in questo modo non sembra agire propriamente come colui che battezza, ma come semplice testimone dell’immersione rituale.

La situazione politica del tempo di Gesù, le polemiche interne al mondo ebraico suo contemporaneo e la consapevolezza di un necessario rinnovamento spingevano molti nel deserto, dove veniva praticata un’ascesi severa accompagnata da bagni rituali.

L’insediamento stesso di Qumrân era situato presso la valle di Aqor, luogo di sconfitta e sventura, di cui Osea (2,17) aveva detto che il Signore l’avrebbe data alla sposa tornata fedele come «porta della speranza» (wǝnatatti lah…‘emeq ‘aqor le pǝtaH tiqwa). È in questo complesso contesto che occorre leggere il battesimo di Gesù, raccontato dai Sinottici.

Dopo aver nominato le folle (ochloi, Lc 3,7.10), Luca cambia termine e parla del popolo (laos, vv. 15.18) ed è un popolo – potremmo dire – col fiato sospeso, in attesa e pieno di domande sull’identità di Giovanni. Il quale, oltre a smentire la sua identità messianica, parla di due battesimi, non in contrapposizione, ma su diversi livelli.

Il popolo che accorre a lui pratica un bagno rituale che attesta la conversione presente, come detto da Giuseppe Flavio, ma verrà qualcuno che darà a questa pratica qualcosa di escatologico e definitivo.

Quando infatti Gesù risale dalle acque del Giordano i segni escatologici si moltiplicano: il cielo aperto, lo Spirito, la voce dall’alto: tutti e tre questi elementi ruotano attorno alla convinzione, diffusa all’epoca, che il cielo fosse chiuso, lo Spirito estinto e che Dio avesse già detto tutto al suo popolo con l’ultimo profeta. Quando per esempio Qohelet dice che nulla è nuovo sotto il sole (p. es. 1,9), esprime appunto la riflessione dei sapienti d’Israele sul fatto che il cielo è chiuso perché tutto è già stato detto. Solo nel tempo ultimo nel cielo è aperta una porta (cf. Ap 4,1).

Dopo la sua immersione Gesù prega, ed è allora che il cielo si apre, forse in risposta al desiderio del popolo e alla sua preghiera, scende lo Spirito come reale comunicazione dall’alto della potenza divina, e, da ultimo, si manifesta una voce.

Il testo è costruito con un verbo finito in apertura (kai egeneto, v. 21, che riprende la formula narrativa ebraica wayǝhi), seguito da tre infiniti (aneocththēnai, katabenai, genesthai) che raccontano la manifestazione divina culminante nella proclamazione della figliolanza di Gesù (v. 22).

Questa è fatta di un insieme di citazioni del Primo Testamento (Sal 2,7; Gen 22,2.12.16 LXX; cf. Is 42,1 LXX), che dicono molte cose dell’identità di Gesù.

Parlano anzitutto di regale figliolanza (Sal 2,7 era la formula dell’adozione divina del re nel rito di intronizzazione); e di una figliolanza che rimanda a Isacco (o uios mou o agapetos, v. 22), in cui agapetos traduce nei LXX l’ebraico yaHid e indica un primogenito destinato a morte prematura e violenta, nel quale sta l’amore/progetto del padre, tradotto per noi «compiacimento».

Secondo il codex Bezae, la voce si limiterebbe al solo Sal 2,7 e forse è la lettura più corretta, perché anche a Qumran si trovano mix di citazioni a carattere messianico, in cui però predomina il Sal 2 (Flusser).

Se così fosse, l’interesse del redattore lucano sarebbe unicamente per la figliolanza divina, mentre il testo che noi leggiamo ci racconta un’investitura messianica: non solo un’identità, ma anche un destino.

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