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Una storia tutta ebraica e il ruolo di una donna

Maria santissima madre di Dio

Nm 6,22-27; Sal 66 (67); Gal 4,4-7; Lc 2,16-21

«Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù». Il nome e la circoncisione tolgono ogni dubbio sull’ebraicità di Gesù, anche se ancora oggi c’è qualche «cristiano» che si scandalizza di questo o cade dalle nuvole di fronte a tale dato inequivocabile. La circoncisione all’ottavo giorno e il nome Yeshua inseriscono di fatto questo bambino nella tradizione di Israele. Questo è anche l’intento degli evangelisti Matteo e Luca che ne riportano le toledot, ovvero la sua storia genealogica, che è anche la storia dei suoi avi, delle sue ave, e di tutto il suo popolo.

In tutto questo Gesù è un bambino ebreo come tanti altri: appartiene al popolo ebraico, ha una storia che lo precede che è la storia di Abramo, Isacco, Giacobbe, la storia del popolo guidato da Mosè, la storia dei profeti e dei sapienti di Israele. Il segno della sua appartenenza a questa storia è poi inscritto nella sua carne, mediante la circoncisione: è anch’egli figlio dell’alleanza del Sinai, «segullah» (proprietà, tesoro peculiare) di Dio, erede delle promesse. Anche il suo nome Yeshua è di per sé un nome diffuso in quel tempo tra la sua gente, non è né nuovo né particolare, ma semplicemente l’abbreviazione di Yehoshua (Giosuè), colui che dalle steppe di Moab porta a compimento l’esodo di Israele con l’entrata nella terra della promessa. 

Eliminare tutto questo, non tener conto delle sue origini, significa precludersi la possibilità di comprendere il senso della sua nascita, della sua storia e del suo messaggio e, ancor peggio, fare di lui e del suo messaggio un’ideologia, una figura che si può plasmare a proprio uso e consumo; e gli esempi di ciò sarebbero tanti. 

Come forse tutti sanno, i Vangeli cosiddetti dell’infanzia costituiscono una riflessione a posteriori, ovvero vengono scritti alla luce degli eventi che hanno visto Gesù adulto predicare sulle strade e nei villaggi di Galilea, a Gerusalemme, morire in croce e farsi vedere e riconoscere da risorto ai suoi seguaci, secondo Paolo, più di 500 fratelli (1Cor 15,6). Solo in un secondo tempo, quindi, si è posto l’interesse sulla sua nascita, sui fatti che l’hanno preceduta e sulle circostanze in cui è avvenuta. A rispondere a tali domande probabilmente è stata la stessa Maria, la madre, che – fedele discepola del figlio – ha poi continuato a essere un punto di riferimento importante per tutto il gruppo dei seguaci di Gesù. Ella infatti, dice Luca, «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore».

Ecco che allora la figura di Maria acquista diverse sfaccettature: Maria madre, colei che dà alla luce un figlio, Maria discepola, sempre presente insieme alle altre donne che seguono il Maestro, Maria punto di riferimento per la comunità post-pasquale, memoria vivente di quanto è accaduto fin dal suo inizio, ma, soprattutto, presenza sapiente nel comprendere e discernere il senso di quanto è avvenuto e il cammino da percorrere. 

Nell’abside della cripta della Basilica della Dormizione, a Gerusalemme, vi è un mosaico raffigurante gli apostoli in piedi con al centro Maria che, invece, è seduta. Di fatto, uno dei titoli che nel corso dei secoli si è attribuito a Maria è quello di Regina degli apostoli, ovvero di colei, che in qualche modo, presiede al loro mandato, dato che, letteralmente, il termine apostolo (dal verbo greco apostello = inviare, mandare) significa «colui che è inviato, mandato». 

Tale scena sopra descritta, allora, non può avere un valore solamente devozionistico, ma dovrebbe farci riflettere e soprattutto ampliare lo sguardo su Maria e sul ruolo, non solo materno, che ha avuto nei primi anni di vita di quel gruppo di uomini e donne che, dopo la morte del Maestro, si sono ritrovati insieme a proseguire la via. 

Anche se la festa di oggi è intitolata a «Maria, santissima madre di Dio», forse sarebbe proprio un peccato relegare questa donna al solo ruolo di madre, dimenticando o mettendo in sordina il suo ruolo di discepola e persino di Maestra e Regina, così come tenere in poca considerazione, o persino negare, l’ebraicità di Gesù significa, ancora oggi, rinunciare a una sua comprensione più profonda e autentica.

Commenti

  • 31/01/2023 Giovanna Grenga

    grazie delle tue riflessioni Ester

  • 30/12/2022 Antonio

    Un commento davvero ben fatto, scorrevole e ben argomentato. Grazie.

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